50° Unione
Cattolica della Stampa Italiana - Manifesto per un'etica dell'informazione
In
occasione della festività di San Francesco di Sales,
Patrono dei giornalisti, domenica 24
gennaio , com'è tradizione, nella chiesa di san Giovanni
Bosco di Potenza si terrà una celebrazione eucaristica
presieduta dall'arcivescovo di Potenza Mons. Agostino Superbo.
Nella
circostanza, l'UCSI ha elaborato il "manifesto per un'etica dell'informazione"
che ora propone a tutti quanti si interrogano e si riconoscono in un percorso di etica della responsabilità, alla quale ci
stimola anche la festività del santo patrono, e a coloro che sono impegnati nel
campo delle comunicazioni sociali. Il manifesto
costituirà l'itinerario formativo dell'anno associativo appena iniziato.
Questo manifesto vuole
contribuire alla messa a fuoco dei criteri di un'informazione sempre più
consapevole delle implicazioni etiche della propria attività e della propria
missione. Il manifesto riguarda coloro che appartengono al sistema dei media e
sono collegati in qualunque forma a un'attività di informazione, cioè i
comunicatori, i pubblicitari e i giornalisti; ma anche agli editori e ai
manager editoriali, nonché il sistema politico-istituzionale che detta le
regole. Esso è proposto dunque alla libera adesione dei professionisti della
carta stampata e del sistema radio-televisivo, di coloro che operano
nell'ambito dell'informazione anche con l'ausilio dell'informatica, degli
addetti stampa in enti
pubblici e privati, dei
relatori pubblici, degli studiosi dei fenomeni della comunicazione, dei docenti
di queste discipline. Il manifesto presuppone i diversi codici di
autoregolamentazione della professione, i cosiddetti "codici
deontologici", e li accetta. Esso però offre indicazioni ulteriori
riguardo a temi che non sono esplicitamente affrontati da tali codici o che,
rispetto ad essi, risultano non regolamentati oppure si trovano collocati in
una sorta di "zona intermedia", apparentemente neutra dal punto di
vista morale. L'auspicio di questo manifesto per un'etica dell'informazione è
che esso, con il suo richiamo ad un'etica della responsabilità, consenta di
rendere più concreto e più facilmente realizzabile ciò che è previsto dalla
deontologia.
1.
Viviamo in una società dello spettacolo. Il giornalista, pur conoscendo
l'importanza delle modalità
comunicative legate allo spettacolo e la loro capacità di
attrazione, è consapevole che la sua attività si colloca su di un piano
diverso. L'informazione non è spettacolo, anche se può far uso di forme che
sono proprie dello spettacolo. Il compito di una corretta informazione non può
essere quello dell'intrattenimento.
2.
Viviamo nella società in cui tutto è comunicazione. Ne deriva un'overdose di
messaggi proposti con i più diversi formati. In questo quadro risulta
difficile, spesso, compiere una scelta o stabilire il corretto ordine fra ciò che
è importante e ciò che non lo è. Il farlo, nelle varie fasi in cui ciò può
realizzarsi, è anzitutto compito del giornalista. Lo è, in particolare, il momento
conclusivo di questa scelta. Ma il giornalista è chiamato a dare ragione,
pubblicamente, dei criteri di valutazione che lo hanno indotto a prendere
determinate decisioni. Nella selezione delle notizie, dunque, egli porta una
precisa responsabilità.
3.
Allo stesso modo è del giornalista anche la responsabilità della forma, del
taglio e dell'impostazione secondo cui le notizie sono date. Egli sceglie le
notizie, le confeziona e le ordina decidendone la gerarchia. Qui, in particolare,
emerge la responsabilità collegiale delle redazioni: a cominciare dai vertici
del giornale.
4.
Il giornalista non può essere obbiettivo: interpreta le notizie che riceve. Ma
vi è una grande differenza fra l'interpretazione delle fonti e la manipolazione
o la falsificazione delle notizie. Compito del giornalista resta l'approssimazione
massima alla verità. La necessità d'interpretare, in altre parole, non
significa rinunciare all'onestà intellettuale. Perciò il giornalista dev'essere
in grado di dar ragione pubblicamente dei criteri che sovrintendono alla sua
interpretazione. Essi possono trasparire dal contesto della sua attività e dal
modo in cui egli la svolge. Insomma: il riferimento a un'ideologia o a una
credenza di fondo non sono mai, nel contesto dell'attività giornalistica,
giustificazioni valide.
5.
Ma al giornalista non bastano solo preparazione e onestà. Oggi ci vuole
qualcosa di più. E questo qualcosa di più, questo valore aggiunto, è l'aspetto
etico. Il giornalista, di nuovo, non dice "la" verità. Dice la
"sua" verità. Ma la deve dire cercando di rispettare e di riproporre,
dal suo punto di vista, le informazioni che ha cercato. Di tutto questo,
infatti, è responsabile. Lo è nei confronti del pubblico dei suoi lettori; lo è
nei confronti del suo editore; lo è nei confronti di ciò di cui scrive; lo è
nei confronti di se stesso. Ecco ciò che concorre a definire la sua credibilità.
6.
La questione della credibilità, e cioè della fiducia nei confronti di ciò che
il giornalista scrive e di ciò che egli rappresenta, costituisce anche il
criterio che può orientare il suo rapporto nei confronti dei cosiddetti
"poteri forti" e delle direzioni delle Relazioni Esterne che
distribuiscono i budget pubblicitari e gestiscono gli uffici stampa. In ciò i
Relatori Pubblici hanno rilevanti responsabilità, comprese quelle
dell'inquinamento delle fonti primarie dell'informazione. Che si possono meglio
evitare con l'alleanza positiva delle categorie professionali dei comunicatori
e dei giornalisti. Molto spesso - ben lo si sa - da parte di istanze estranee
all'attività giornalistica provengono sollecitazioni che vogliono ridurre
quest'attività a una funzione puramente strumentale. Si tratta allora, in primo
luogo, di salvaguardare l'autonomia della professione e il diritto alla libera
espressione delle proprie opinioni, che sono uno dei fondamenti della
democrazia. Ma non è solo questo. Si tratta più ancora di non perdere,
nell'eventuale acquiescenza a tali istanze estranee, l'identità, la dignità e,
appunto, la credibilità che sono proprie di questo mestiere. Senza le quali,
appunto, il giornalismo e la comunicazione perdono identità e valore.
7.
Queste identità, dignità e credibilità sono oggi minacciate, come accade in
molti altri ambiti professionali, dalle commistioni editoriali, dalle rendite
di posizione, dalla burocratizzazione dei ruoli, dalla routine. È necessario
invece aprirsi ad altre prospettive, evitando il "campare di rendita"
e recuperando, proprio nell'epoca dell'uso sistematico dell'informatica, il
ruolo altamente creativo di questa professione. Coniugare competenza tecnica e
creatività: ecco la sfida del giornalismo del futuro.
8.
Le indicazioni finora date sembrano precetti astratti. Questo, in parte, è
vero. Ma si tratta di criteri che possono orientare nell'attività solo se sono
messi alla prova su di un terreno concreto: il terreno della pratica quotidiana.
È questo che manca oggi, forse, al corretto esercizio della professione: la
consapevolezza che le scelte compiute, le prescrizioni della deontologia, sono qualcosa
che va verificato e messo alla prova giorno per giorno. Solo così il mestiere
del giornalista può mantenere dignità e spessore.
9.
La professione va insomma sottratta non tanto all'influenza - il che è
impossibile - di quelle istanze che provengono da luoghi estranei al
giornalismo, quanto alla subordinazione nei confronti di esse. È lo stesso giornalista
a esserne per primo consapevole e a rivendicare la propria autonomia come
condizione essenziale dell'esercizio, dei compiti e della missione che sono
propri della sua attività professionale. Lo hanno fatto e lo stanno facendo,
anche a rischio della vita, molti giornalisti in tutto il mondo.
10.
Per mantenere desta questa consapevolezza si ritiene proficuo un sempre più
stretto legame tra l'ambito della professione giornalistica e l'ambito della
ricerca e dell'insegnamento in materia di comunicazione. A tutti i livelli, ma
soprattutto a quello universitario. È necessario, in altre parole, affiancare
all'esercizio corretto della professione una vera e propria attività, sia più
in generale su di un piano educativo, sia nell'ambito più specifico della
formazione. Le indicazioni di questo manifesto possono essere sviluppate,
trasmesse e diventare patrimonio comune anche delle nuove generazioni di giornalisti
solo attraverso la collaborazione fra chi svolge la professione e chi se ne
occupa come studioso e insegnante.
Tutto ciò, in positivo, può riuscire se le
criticità insite nel sistema dei media vengono affrontate con la collaborazione
e il sostegno, in particolare dell'Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, della Federazione della
Stampa e delle Associazioni professionali dei pubblicitari e dei Relatori
Pubblici, finalmente riconosciute e ad iscrizione obbligatoria, che possono
così gestire i rispettivi codici deontologici. Meglio con l'alleanza dei cittadini,
associati in forme di cittadinanza attiva, fruitori principali
dell'informazione e delle opinioni. In definitiva lo scopo di questo manifesto
è di richiamare ciascun giornalista e comunicatore a uniformare ciò che egli sceglie
nella sua attività quotidiana ai criteri etici riconosciuti alla base del
proprio lavoro. Solo così può essere salvaguardata la cultura delle professioni
dei giornalisti e dei comunicatori e la loro funzione di servizio alla
comunità: facendo corrispondere ciò che il professionista è con ciò che egli
fa, nella misura in cui lo fa bene.
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