KILLER DELLE
VECCHIETTE: QUELLO CHE NON SI DICE
SUCCEDE A TARANTO, MA TUTTA ITALIA NE PARLA
E' una cosa normale? E, soprattutto, è possibile che simili
situazioni siano tollerate?
I fatti. Leggendo i giornali si viene a sapere che alcune persone sono detenute
(altre, invece, hanno già scontato la pena detentiva inflitta) per una serie di
reati per i quali, invece, si ha il reo confesso con tanto di ritrovamento
delle prove. Ma per la giustizia italica tutto ciò non è sufficiente ed in
carcere si ritrovano un po' tutti: innocenti (presunti colpevoli) e colpevole
(per sua stessa ammissione).
Il 10 febbraio del 2006, Sebai Ezzedine - un 33enne
immigrato tunisino - rilascia una confessione al dott. Nobile della Procura di
Milano, successivamente confermata dinanzi al P.M. di Taranto Dott.ssa
Montanaro, nell'ambito della quale ammette la propria responsabilità in merito
all'omicidio di 15 anziane signore. Si tratta di donne sole, sgozzate nelle
loro abitazioni, che ricordavano al reo confesso le donne che da bambino lo
picchiavano e seviziavano. Sulla decisione del Sebai di confessare la verità e
di scagionare persone che egli sapeva con sicurezza essere innocenti ha, senza
alcun dubbio, influito il suicidio di Vincenzo Donvito il quale, dopo aver
proclamato per anni la sua innocenza, non ha retto al regime carcerario ed al
tormento di essere recluso ingiustamente e si è tolto la vita impiccandosi in
carcere.
13 agosto del 1995, omicidio di Celestina
Commessatti - Condannati: Giuseppe Tinelli, Davide Nardelli, Vincenzo Donvito. La confessione del Sebai è supportata da una perquisizione
locale effettuata presso un pregiudicato della zona nell'ambito della quale
venivano rinvenuti gioielli di sicura appartenenza della Commessatti e che il
ricettatore afferma essergli stati venduti da un tunisino rispondente al nome
di Fathi Said, pseudonimo di Sebai Ezzedine.
17 maggio del 1997, omicidio di Pasqua
Rosa Ludovico - Condannati: Vincenzo Faiuolo, Francesco Orlandi. Il Sebai nella dichiarazione rilasciata all'autorità giudiziaria
afferma la completa estraneità di Faiuolo ed Orlandi ai fatti di sangue per cui
sono stati condannati. Uno dei punti fondamentali di questa confessione, e
dalla quale si desume l'innocenza degli stessi, è l'individuazione dell'ora
esatta della morte della vittima che è avvenuta in un'ora in cui i due
fratellastri si recavano nei campi a lavorare e vi rimanevano per tutto il
pomeriggio. Alla luce delle dichiarazioni del Sebai veniva emesso decreto di
perquisizione locale dell'appartamento di cui il tunisino aveva la
disponibilità fino al momento del suo arresto. In data 15.05.2006 il reparto
operativo dei Carabinieri di Taranto procedeva ad ispezionare la cantina dove,
all'interno di una buca, rinvenivano oggetti che le nipoti della vittima
riconoscevano essere appartenuti alla loro zia. In tutti questi casi, il Sebai
afferma la completa estraneità dei condannati ai delitti da lui commessi.
E, soprattutto, riferisce circostanze precise e pienamente
concordanti, relative sia alle modalità che ad i tempi di esecuzione degli
omicidi. Le modalità di uccisione delle vittime sono state definite dai periti
incaricati del "caso Totaro" come una sorta di "firma dell'autore". Il Sebai,
inoltre, descrive la scena dei crimini con dovizia di particolari dimostrando di
essere a conoscenza dello stato dei luoghi in cui i delitti sono stati
commessi.
29 luglio del 1997, omicidio di Maria
Valente - Condannati: Giuseppe e Arcangela Tinelli, Carmina Palmisano. Il Sebai, già condannato per questo omicidio, confessa di
non aver mai conosciuto i coimputati e di aver sempre agito da solo. Anche in
questo caso a carico dei condannati non c'è nessuna prova. Infatti in casa
della Valente venne rinvenuta solo un'impronta digitale appartenente al Sebai.
L'innocenza dei condannati è ulteriormente suffragata dalla sentenza
emessa dal Gup di Lucera in data 15.02.2008 il quale ha rilevato che nessun
dubbio è scaturito dalle emergenze processuali "in ordine alla ricostruzione
del fatto ed alla sua ascrivibilità ad un'azione cosciente e volontaria del
Sebai". L'uomo è già stato condannato con sentenza definitiva a quattro
ergastoli per altrettanti omicidi (all'epoca non ancora confessati) e, in primo
grado, a 18 anni per un altro delitto compiuto nel foggiano per il quale il gup
del tribunale di Lucera (Foggia) Carlo Chiriaco ha ritenuto la sua confessione
«pienamente attendibile».
A questo punto la "logica" e i precedenti giurisprudenziali
vorrebbero che - di fronte all'ammissione di colpa da parte di Sebai Ezzedine
ed in base ai riscontri oggettivi - i condannati innocenti venissero
scarcerati, almeno coloro che non sono già fuori dopo aver scontato una pena
ingiustificata. E invece nulla, perché la giustizia (e la "g" è minuscola non a
caso) prima di tirarli fuori dalle patrie galere attende che il tunisino venga
condannato in via definitiva di fronte alla Cassazione per i quindici delitti
commessi in terra pugliese. Si noti bene, l'attesa secondo i tempi biblici italici.
Invece a Taranto, dove il 19 dicembre 2008 e l'8 gennaio 2009 si è tenuta
l'udienza contro Sebai, questo non è credibile, perché si è autoaccusato dei
delitti solo per scagionare i veri responsabili, che ha conosciuto in carcere. La richiesta di assoluzione per il Sebai è giunta da parte
del Pm Antonella Montanaro al termine del processo con rito abbreviato per
l'uccisione di Grazia Montemurro, di 75 anni (Massafra, 4 aprile 1997), e di
Pasqua Rosa Ludovico, di 86, (Castellaneta 14 maggio 1997). La stessa richiesta
ha fatto il Pm Vincenzo Petrocelli per l'omicidio di Celeste Commessatti, di
73, (Palagiano, 13 agosto 1995). A sorpresa, però, vi è stata una
richiesta di condanna, formulata nel corso dello stesso processo con rito
abbreviato, riguardante l'omicidio di Rosa Lucia Lapiscopia, di 90 anni, uccisa
a Laterza (Taranto) il 21 agosto del 1997. La richiesta di condanna è stata
presentata dal Pm Maurizio Carbone.
A Taranto per due magistrati su tre, dunque, Sebai non è credibile. Il
tunisino è stato etichettato dalla pubblica accusa come un «mitomane» che vuole
scagionare detenuti che ha conosciuto in carcere. Solo l'omicidio Lapiscopia,
per il quale è stata chiesta la condanna, era ancora insoluto, quindi senza
alcun condannato a scontare la pena.
Il gup Valeria Ingenito nel corso dell'udienza ha respinto la richiesta
di sospensione del processo e l'eccezione di legittimità costituzionale
dell'art. 52 del Codice di procedura penale nella parte in cui prevede la
facoltà e non obbligo di astensione del pubblico ministero. L'eccezione era
stata sollevata dal legale di Sebai, Luciano Faraon. Secondo il difensore, i pm
Montanaro e Petrocelli, che hanno chiesto l'assoluzione del tunisino per tre
dei quattro omicidi confessati dall'imputato, "avrebbero dovuto astenersi
per gravi ragioni di convenienza per evidenti situazioni di incompatibilità,
esistente un grave conflitto d'interesse, visto che hanno sostenuto l'accusa di
persone, ottenendone poi la condanna, che alla luce delle confessioni di Sebai
risultano invece essere innocenti e quindi forieri di responsabilità per errore
giudiziario". Non solo i pm erano incompatibili, ma incompatibile
era anche il foro del giudizio, in quanto da quei procedimenti addivenivano
responsabilità delle parti giudiziarie, che per competenza erano di fatto
delegate al foro di Potenza.
L'ingiustizia si evidenzia nel fatto che a decidere sulle eventuali
responsabilità dei magistrati requirenti sia un collega dello stesso foro. Si
palesa, altresì, dal fatto che la procura di
Taranto è spaccata sull'attendibilità del serial killer delle vecchiette
pugliesi, Ben Mohamed Ezzedine Sebai. Per due pm il tunisino non è credibile e
va assolto dall'accusa di aver compiuto tre omicidi; per un altro pm è invece
credibile e va condannato a 30 anni di reclusione. Strano che proprio in
quel caso la credibilità non dia seguito ad alcuna conseguenza per i magistrati
che hanno sbagliato, non essendoci innocenti in carcere da risarcire. Da tener
conto che il pm Vincenzo Petrocelli è stato coinvolto
in un altro caso di grave errore giudiziario, in quanto già accusatore di Domenico
Morrone, 15 anni di carcere da innocente, risarcito con 4,5 milioni di euro.
Per questi motivi l'avv. Luciano Faraon di Venezia, difensore di Sebai,
si è rivolto al Premier, al Guardasigilli, al Procuratore generale presso la
Cassazione, al CSM e al Procuratore generale di Lecce. Mentre il difensore di
alcuni dei condannati «per orrore», Claudio Defilippi, avvocato di Modena,
legale di 6 delle otto persone (una si è suicidata in carcere dopo la
condanna), ha chiesto al Guardasigilli di inviare gli ispettori per verificare
l'operato della procura di Taranto. Tutto lettera morta. Così come è per tutte
le interrogazioni parlamentari che hanno sollevato problemi di etica
giudiziaria e forense di quel foro. Si nota l'astensione alla lotta della
classe forense tarantina contro i magistrati di quel foro per procedimenti di
declaratoria di errori giudiziari.
Presidente Dr Antonio Giangrande - ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE
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