Omaggio
al Presidente Sandro Pertini, per non dimenticare. Con il suo intervento alla Camera su Fernando Santi
La
uils, nell'anniversario della Sua
nascita (25.09.1896), vuole ricordare con profondo affetto e devozione Sandro
Pertini che è stato e continua ad essere, in modo particolare per noi della
UILS, un faro di luce a cui rivolgersi per illuminare questo periodo buio della
nostra Repubblica; una Repubblica a cui invece uomini come Sandro pertini hanno dato lustro ed hanno
donato la loro vita affrontando innumerevoli sacrifici al fine di consentire
alle generazioni future un avvenire migliore di quello vissuto da loro.
Non vogliamo fare nessun commento sull'attuale situazione
politica, diciamo solo che tutti dovremmo fare una attenta e responsabile
riflessione su cosa sta accadendo nel mondo ed in particolare nel nostro Paese
e su cosa fa la politica per alleviare i disagi che crescono giorno dopo
giorno. Tutti abbiamo la nostra
dose di responsabilità, ma le maggiori pesano sulla classe politica che, a
nostro parere, anziché interessarsi dei problemi reali che soffocano il Paese
(vedi la crescita economica e l'occupazione) si interessa dei fatti e della
vita privata di uomini politici e in particolare del Presidente del Consiglio.
Siamo certi che non siano queste le priorità che interessano i
cittadini; crediamo invece che, in un periodo così delicato e fragile, essi
reputino più urgente accantonare le polemiche e concentrasi sulle soluzioni da
adottare per far uscire l'Italia dal collasso economico nel quale si trova a
causa di speculatori senza scrupoli del capitalismo e questo soprattutto perché
questa situazione di crisi danneggia in particolare i cittadini più deboli e
più poveri. A nostro avviso oggi la politica non fa il proprio lavoro con il
dovuto senso di responsabilità, così come invece avveniva quando i padri
costituendi dedicavano la propria vita alla cosa pubblica per affrontare e
risolvere di volta in volta i problemi che si ponevano e ostacolavano lo
sviluppo della società.
Nella prima Repubblica la politica si muoveva ed operava
nell'interesse del Paese per dare prestigio all'Italia nel mondo e molte
Nazioni della Comunità Europea prendevano ad esempio il nostro modello di vita
e di sviluppo per importarlo nei loro Paesi; ed anche se alcuni politici
operavano per propri interessi e per propri scopi elettorali, ciò che prevaleva
nell'azione politica era pur sempre l'interesse collettivo e l'onore
dell'Italia. Pertini, in segno di devozione e di amore per il Paese, nelle sue
visite ufficiali come primo gesto si inchinava di fronte alla nostra bandiera
tricolore e con deferenza la baciava in segno di ossequio e di rispetto per il
simbolo di unità del popolo Italiano.
Questa cultura e questi valori vanno via scomparendo e su di essi
prevalgono invece soltanto interessi e vantaggi personali; ma per coloro che
hanno vissuto quell'importante passato, come per noi della UILS, questa cultura
e questi valori debbono essere ripristinati e mai dimenticati perché la libertà
che oggi noi godiamo la dobbiamo ai sacrifici che uomini come sandro Pertini hanno fatto dedicandosi
con tutte le loro forze alla battaglia per la libertà, la democrazia e la
giustizia; valori che per loro erano considerati anche al di sopra degli
effetti più cari. Per ricordalo con amore e devozione, in ossequio alla grandezza
morale dei valori umani che ci a lasciato e per non dimenticare, vogliamo
allegare a questo nostro messaggio il Discorso pronunciato da Sandro Pertini
alla Camera dei Deputati nella seduta del 23 ottobre 1969 per commemorare, dopo
il suo decesso, il parlamentare socialista e segretario nazionale della
CGIL Fernando Santi.
Antonino
Gasparo, Presidente UILS, Unione Imprenditori Lavoratoti Socialisti
Via
Baccina 62, 00184 - Roma - Tel. 06.6797812 - Fax. 06.6797661 - www.uils.it
In
ricordo di Fernando Santi - discorso pronunziato da Sandro Pertini alla
Camera dei Deputati nella seduta del 23 ottobre 1969
"Onorevoli colleghi,
raccogliamoci nel ricordo di Fernando Santi. Non debbo lasciarmi andare
sull'onda della commozione, altrimenti la parola si spegnerebbe sulle labbra.
Ma quanti ricordi sorgono dal fondo dell'animo mio e incontro mi vengono come
antichi amici. Sono tappe di un vasto arco di tempo che va dagli anni venti ad
oggi. Allora eravamo giovani entrambi e contestavamo, ma contestavamo in nome
di un'alta idea.
Egli, adolescente, aveva già preso il suo posto nel partito, nella sua Parma,
sorretto da una fede vigorosa, da una viva intelligenza e dalla tenace
devozione alla classe operaia, di cui sin da ragazzo aveva conosciuto per
esperienza personale la grama esistenza fatta di stenti, di rinunzie. Scriverà
più tardi, costretto ancora ad una vita difficile: "Quella nuda povertà
era cosa per me naturale. Mio padre l'aveva ereditata da suo padre e suo padre
dal padre di suo padre. Di mia madre non dico. I suoi erano braccianti della
bassa verso il Po, gialli di secolare polenta Sotto la scorza nera dell'aria e
del sole. Fin da bambina aveva preso ad andare per i campi, quando l'estate chiama
tutte le braccia o a spigolare grano o in cerca di radicchio selvatico per la
cena. Le lunghe serate le passava al telaio, un telaio di legno sul quale
tesseva una ruvida tela. Fu quella l'unica cosa che portò mia madre in dote.
L'inverno andava a servire in città e fu li che conobbe mio padre ferroviere.
Si vollero presto bene".
Fernando Santi non dimenticherà mai quell'amara esperienza. Più di tutti noi,
sapeva comprendere che cosa voglia dire la miseria, un salario insufficiente
alle necessità di una famiglia, l'ansia di uscire da condizioni così avvilenti
e di tendere ad un riscatto che consenta ad ogni creatura umana di vivere
dignitosamente. Con quel ricordo della sua infanzia, che mai l'abbandonerà, partecipa alle
lotte della rovente Parma d'oltre torrente. Ed è a fianco dei braccianti della
bassa padana, a contatto con la miseria, ch'è stata la miseria sua, di suo
padre e di sua madre, ch'egli si forma. Si getta nella lotta con assoluta
dedizione e quale segretario della Camera del Lavoro diventa una guida sicura
per la sua gente.
Ma prove più dure attendono il movimento operaio parmense. Ed ecco Fernando
Santi battersi sulle barricate erette dal popolo di Parma contro le orde
fasciste e dalle colonne del quotidiano Il Piccolo con la sua penna di
vero scrittore. Ormai restare a Parma per lui vorrebbe dire la morte. Va a
Torino a reggere quella Camera del Lavoro e poi a Milano. La sua attività non
ha tregua. Resta al suo posto liberamente scelto e affronta con sereno coraggio
la violenza fascista. Esule in patria, si fa rappresentante di commercio per
portare a casa un po' di pane e ai compagni la sua parola di propagandista
clandestino.
Conosce il carcere, l'ultima volta a San Vittore nel 1943. Coopera alla
ricostruzione del partito socialista, ma per sfuggire ad un nuovo arresto si
rifugia nella libera Svizzera. Nel 1944 partecipa all'insurrezione ossolana e
alla costituzione di quella piccola repubblica sorta per volontà e virtù di
popolo, primo faro di libertà acceso nell'Italia oppressa. Rientrato a Milano
nell'aprile 1945 si getta nell'insurrezione. Il resto della sua vita di sindacalista, di parlamentare, di uomo di partito è
a voi tutti noto perché io lo ricordi.
Desidero solo mettere in luce il suo modo d'intendere la politica, la sua
coscienza di uomo libero, la forza della sua intelligenza. Egli si diceva
"riformista"; ma soggiungeva. "Perché appunto voglio le
riforme". Un giorno, in uno dei suoi discorsi, chiari e limpidi come il
suo spirito, parlò dei riformisti, alla cui scuola era cresciuto: "Nobile
stirpe - disse - che si è estinta senza lasciare eredi". Non è vero. Lui
era l'erede di quella "nobile stirpe". Riformista era perché voleva -
ripeto - le riforme; e socialista era, ma per un socialismo dal volto umano.
Per un socialismo che mai astraesse dall'uomo, dalla sua dignità e
dall'esigenza insopprimibile della libertà. Ascoltiamo ancora lui; ci sembrerà
di sentirlo vicino a noi come un tempo: "Solo chi ha fame - disse un
giorno - apprezza il sapore del pane, solo chi ha sete di giustizia sa dare
alla giustizia il suo vero volto: giusto e umano.
"Il benessere che vogliamo conquistare per i lavoratori non è fine a se
stesso. E' una condizione per una dignità più umana e sociale senza la quale
l'uomo - che per noi è il fine di tutte le cose - si sente lo stesso umiliato e
offeso, estraneo al consorzio civile, nemico agli altri e a se stesso". Bramava
dire che così si era fatto alla scuola dei maestri di vita come Filippo Turati,
Claudio Treves, Camillo Prampolini. Ed aveva ragione di affermare questo non
solo per rivendicare un privilegio, ma anche per rispondere a chi con
sufficienza definiva "romantici" questi socialisti che come lui erano
persuasi non potersi avere socialismo senza libertà. "Romantici",
uomini come Fernando Santi che con fermezza seppero battersi; che hanno sempre
pagato di persona; che il partito hanno servito senza mai servirsene e che non
consideravano la politica quale occasione propizia per ottenere poltrone e
prebende, ma quale missione d'assolvere solo nell'interesse della classe
lavoratrice e del paese.
Così, proprio un "romantico" come Fernando Santi rifiuta il Ministero
del lavoro pur di non scendere a compromessi con la propria coscienza. Questa
sua concezione umana del socialismo lo portò ad essere comprensivo verso chi la
sua fede non condivideva. Non era un fazioso e non considerò né il suo partito
né se stesso depositari della verità assoluta. Non apparteneva alla categoria
di chi vuole che la lotta politica sia non un fecondo e aperto confronto di
idee bensì un contrasto di rancori personali. Riprendendo un brano d'un suo
nobilissimo discorso, oggi quando si parla di Fernando Santi giustamente si
dice: "Di lui ci potevamo fidare".
Ma di lui si potevano fidare non solo i compagni, i lavoratori, cui dedicò tutto
se stesso, ma anche gli avversari. Perché' Fernando Santi ha sempre combattuto
a visiera alzata, lealmente. Ricordo quando qui, a Montecitorio, andò ad
inchinarsi dinanzi alla salma di un avversario di sempre, spentosi
improvvisamente mentre parlava in quest'aula. Un collega gli rimproverò quel
gesto di cavalleresca pietà. Egli bruscamente - come era uso fare quando udiva
affermazioni assurde -gli rispose: "Solo uomini di sincera fede possono
fare quello che ho fatto io. E poi l'avversario io lo combatto quando è in
piedi non quando è caduto". Questo suo umano modo di sentire lo portava ad ascoltare quanti si battevano in
nome dei principi per lui essenziali. Egli era persuaso che uomini provenienti
da sponde differenti potessero incontrarsi su un comune terreno, il terreno
della libertà, della giustizia sociale, della pace.
Era, quindi, contrario a steccati fra i partiti, che pur essendo animati da
ideologie diverse, potevano, tuttavia, riconoscersi in codesti principi, i
quali, in buona sostanza, costituiscono il porto di salvezza di questa nostra
inquieta umanità. Da qui la sua costante aspirazione del sindacato unico. Egli,
che nell'azione sindacale aveva dato il meglio di sé stesso, legandosi sempre
più al movimento operaio, sentiva che la forza della classe lavoratrice risiede
soprattutto nella sua unità. Peraltro dinanzi ai lavoratori, al di sopra dei
confini ideologici, stanno gli stessi problemi e quindi le soluzioni non
possono non essere comuni.
Ascoltiamo ancora una volta la sua parola, che vivrà nel cuore dei lavoratori e
di quanti si battono per il riscatto della classe lavoratrice: "Il
sindacato nel suo significato storico è anzitutto un fatto di democrazia e di
libertà, un fatto di civiltà, una immensa forza liberatrice". Fernando Santi sarebbe stato il più degno a tenere a battesimo l'unità
sindacale. E forse quando l'amarezza per l'irriconoscenza altrui si faceva in
lui più pungente, lo confortava il pensiero di poter essere egli il segretario
generale del sindacato unico. Tutti l'avrebbero accettato, perché tutti in lui
si sarebbero riconosciuti. Ecco perché a Parma uomini di partiti diversi e di
diversa estrazione ideologica si trovarono così strettamente uniti intorno al
suo feretro. Onorevoli colleghi, sentiamo e sentiremo per lungo tempo la sua
mancanza. Quando uomini come Fernando Santi se ne vanno per sempre, portano via
con se qualche cosa di noi stessi e noi ci sentiamo più soli.
Lo faremo rivivere nel nostro ricordo: faremo rivivere l'uomo di fede dalla
coscienza retta, dal forte ingegno. Scrittore nato, oratore efficacissimo, che
ripugnava all'oratoria paludata, perché considerava una offesa verso i semplici
non parlare in modo semplice. Ricorderemo anche la sua ironia che non
risparmiava alcuno. Eppure nessuno di noi gliene voleva per questo, perché
sapevamo che la sua ironia non era mossa da malanimo. Ricorderemo la sua
amarezza - che per pudore celava nell'animo suo - quando non fu più rieletto.
Crudeltà spietata di uomini e di partiti che spesso si ripete. Ricorderò, io,
le visite che quasi quotidianamente gli facevo quando fu ricoverato al
policlinico di Roma, colpito da male inesorabile. In quelle visite era tra noi
risorta la nostra antica fraterna amicizia, libera delle scorie della politica.
E dopo aver sentito dai sanitari la verità del suo male, dovevo usare violenza
all'animo mio, colmo di tristezza, per entrare nella sua camera sorridendo.
Parlavamo di tutto e di tutti. Un mattino non lo trovai più nella solita
stanza. Era stato trasportato a Parma. Ai primi di settembre ricevetti una sua lettera: "Sono venuto a Parma per
vedere di passare il punto dalla malattia alla convalescenza. Ma niente si vede
ancora in questa direzione". Il suo destino l'ha portato a morire nella
sua terra, fra la sua gente. Sino all'ultimo fu assistito dai suoi figlioli
Piero e Paolo e dalla compagna di sua vita Maria. Compagna della sua vita e
della sua lotta, coraggiosa, fiera del suo Nando; sempre al suo fianco a
condividere sacrifici, delusioni, persecuzioni. E senza mai lagnarsi.
Fernando Santi lasciò scritto di sua moglie Maria, da poco a lui sposata:
"Quella della casa restava la pena maggiore di mia moglie. Non ci arriverò
mai ad avere un abbaino tutto per noi. Per i poveri non c'è proprio fortuna. Lo
diceva rassegnata senz'ombra di rimprovero". Dolce e forte compagna di
Fernando Santi, oggi, in quest'aula, ove tante volte si è levata serena e
pacata la sua nobile parola, noi tutti - amici compagni avversari - lo
ricordiamo con affetto e con riconoscenza. Con riconoscenza, onorevoli
colleghi, perché Fernando Santi, nato povero e morto povero, ha lasciato a noi
tutti una ricchezza: il suo esempio.
Sandro
Pertini
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