Valsinni – Nella terra di Isabella di Morra, da diversi lustri è tradizione che il carnevale si concluda con le tre rappresentazioni consecutive del Gruppo Filodrammatico locale “Il Gafio”, una ventina di non professionisti, ma certo più che amatori dilettanti. Dalla sera di sabato, dunque, nei locali della scuola secondaria, è stato presentato “Il malato immaginario”, “riproposto dopo otto anni, con diversa maturità, esperienza e impegno rinnovato”, ha ricordato il regista Ninì Truncellito, storico animatore della compagnia e già presidente del Parco letterario dedicato alla illustre conterranea, oltre che autore “della riduzione e del libero rifacimento in versi e canti”. Ideata in tre atti, nel 1673, la celeberrima commedia fu l’ultima opera del geniale drammaturgo e straordinario attore francese Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière (1622-73), tra i massimi del teatro mondiale di ogni tempo, quindi riferimento e modello assai imitato, che si congedò dalla scena e tumultuosa vita proprio appena dopo la quarta replica parigina di tale capolavoro, il 12 febbraio. Alla perfezione di una moderna commedia di costume, nella rete di incastri farseschi tradizionali, equivoci, contrasti e raffinati giochi di parole, capaci di sovrastare perfino il contenuto ideologico, corrisponde una tecnica calibrata e progressiva che, pur con il classico lieto fine, evidenzia una satira sociale pervasa di amarezza verso la società del tempo, esaltando la genuinità dei caratteri, il credibile realismo dei conflitti drammatici contemporanei. Si pensi ai rapporti tra marito e moglie, a quello educativo delle nuove generazioni e all’incongruenza di status di certi personaggi, con i loro vizi, difetti e manie, tutti intrisi nell’umana debolezza tra il patetico e il tragico. E’ noto che Molière, moralista e intellettuale diffidente verso il nascente pensiero scientifico, provasse un totale pubblico disprezzo verso i medici, che ridicolizzò anche in: “Il medico volante”, “Il dottore innamorato”, “L’amore medico”, “Il medico suo malgrado”. Il protagonista, infatti, solo con l’aiuto del fratello e della cameriera, ritorna a vivere bene fingendosi morto, in tal modo scoprendo l’infedele furbizia della moglie, l’autenticità dell’amore filiale, verso di lui e il giovane amato, ma soprattutto, liberandosi delle medicine e degli arrivisti dottori. Con una scenografia essenziale del cinquantacinquenne Giovanni Olivieri (pure nel ruolo di Ser Diafoirus) e gli evocativi, quanto popolari arrangiamenti musicali di Livio Truncellito, anche alla chitarra con Erminio Truncellito, ed entrambi attori (rispettivamente Berardo e Cleante), il regista, che è anch’egli medico, innesta riferimenti alla nostra attualità, come di rado gli era accaduto in precedenza, non celando critiche al decadimento dei costumi, sfociato nel trash televisivo (“un invito a teatro è superato, molto meglio un’autopsia”, inveisce l’innamorato contro un confuso medico). Alla presenza del sindaco Gennaro Olivieri, dell’assessore Alessandro Montesano, dei valsinnesi dirigenti scolastici di Tursi, prof. Aldo Zaccone, e di Pomarico, Giuseppe Truncellito, e di un pubblico contenuto ma caloroso, tra gli attrezzi di Antonio Lionetti e le luci e i suoni di Don Gerardo, hanno dato il meglio di sé: il divertente Fabio Truncellito (Argante), l’ammaliante Antonietta Dursi (Belinda), l’appassionata Giusi Favonio (Angelica), l’intelligente Rosa D’Alessandro (Tonietta), ed i convincenti Giovanni D’Affuso (Sganarello), Mario Ursi (Notaio), Ciccio Violante (Dottor Tommaso), Dante Laragione (Assistente), Fabiana Chierico (Lisetta), undici anni, la più giovane ed emozionata, con la partecipazione straordinaria di Franco Troilo (nei panni di un ormai “loquace” Dottor Purgone). Si ride davvero, con gustosi siparietti, e si pensa, sfiorati dal fascino di un teatro immortale. Salvatore Verde
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