Omaggio alla Famiglia Capitolo di Tursi
È deceduta il mese scorso a Roma la signora Anna Cascella. Un nome che ai tursitani
di oggi non dirà quasi nulla. Ma a qualcuno si, per fortuna; di certo a coloro che
hanno una certa età o frequentazioni di storia di Tursi, il nostro amato paese,
con il quale la signora Anna ha avuto un legame sentimentalmente profondo e non
superficiale.
L'anziana donna, novantacinquenne, spentasi all'improvviso ma serenamente nella sua abitazione del bel quartiere
Monteverde della capitale, era la moglie, ormai vedova da oltre mezzo secolo
del prof. Guido Capitolo (Tursi
05.9.1906 - Udine 09.01.1960), docente e preside nelle scuole superiori del
Friuli Venezia Giulia. Dal cognome del marito credo che davvero solo in pochi
non colleghino la sua vita alle vicende di una delle più importanti famiglie
tursitane, dalla fine del Settecento al Novecento, che sta per estinguersi
definitivamente.
Guido aveva insegnato a lungo nei licei, con
indiscusse capacità, professionalità e umanità, ed è autore di racconti brevi
(tra gli altri: "La felicità", "La cipollina", "L'inferno è per i
galantuomini", "Le grandi foreste e i poponi", "La vita come sogno") e di
poesie (la raccolta "Preludi. Versi" è del 1927, con la prefazione della zia Maria Carmela Giuseppa Antonia Domenica
Vincenzina Ayr, docente di Lettere, saggista, poetessa, probabilmente la
donna più importante nella storia millenaria di Tursi, dove era nata il 21
novembre 1873, morta poi a Roma il 7 maggio 1958).Nella scheda redatta dal Liceo
di Udine (proveniente dall'archivio del poeta Vincenzo Alberto Di Noia, a
suo tempo fornitaci tramite il fratello Salvatore
Armando Di Noia, Tursi, 04/4/1935 - 16/02/2011) si sottolinea:
"Guido
Capitolo studiò nel Convitto Nazionale di Matera, conseguì nel 1925 la
maturità classica a Potenza e si laureò in filosofia presso l'Università di
Napoli nel Novembre del 1929 discutendo la tesi « La filosofia storica nel
secolo XVI in Francia», tesi che fu poi pubblicata nella collana di letture
filosofiche diretta da A. Aliotta presso l'Editore Perrella in Napoli. Insegnò
nel Liceo di Matera e vinse la cattedra di storia e filosofia dapprima nel
Liceo pareggiato "Ovidio" di Sulmona e poi, sempre in seguito a
concorso, nei Licei dello Stato e fu assegnato al Liceo Scientifico di Udine
nell'ottobre del 1935. Da quell'anno fino ai primi giorni del 1960, per cinque
lustri - grande mortalis aevi spatium! - svolse la sua attività
ininterrottamente nel nostro Liceo, come docente e come Preside, e sempre come
educatore, perché dell'educatore ebbe il pathos umano e la genialità
artistica". Guido, intellettuale "libero, amato e stimato nel mondo in cui
viveva, una leggenda della scuola udinese, ha scritto Valentino Castelllani, prestigioso sindaco di Torino", aveva collaborato
con Piero Calamandrei e lasciato un
segno di rettitudine, moralità e discrezione.
Guido era fratello di Manlio Capitolo (Tursi, 28 novembre 1902 - Roma, 21 agosto 1954),
colto e notissimo giurista, chiamato dal CLN a presiedere il Tribunale di Venezia,
appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, poi presidente del Tribunale
di Roma e consigliere della Corte di Cassazione, dal 1948. I due fratelli legati,
da un affetto profondo, sono certamente tra i figli più amati, rispettati
e stimati nella memoria della comunità tursitana.
La scomparsa prematura di Manlio, non aveva ancora 52 anni, è stata raccontata
con intenso struggimento in La verità è semplice dal fratello Guido, che
morirà solo sei anni dopo, e con un anno in più di età. A Manlio è stato
intitolato il nuovo Istituto tecnico commerciale e per geometri e tecnici del
turismo di Tursi. Più sfortunato fu il loro fratello maggiore, Vincenzo Capitolo (Tursi 10.8.1900 -
19.3.1939), appassionato di letteratura e dotato di acuta intelligenza, vittima in modo irreversibile di un disagio esistenziale giovanile che lo
caratterizzò tra solitudine e strutture di cura fino alla morte precoce,
avvenuta a 38 anni.
A Manlio e Guido sono dedicati versi immortali del
cugino, il grande poeta di Tursi Albino
Pierro (Tursi il 19 Novembre 1916- Roma il 23 marzo
1995), ma liriche e citazioni si ritrovano anche nella interessante produzione
poetica dei maestri Elementari tursitani Alberto
Di Noia, a Udine, e di Vincenzo
Cristiano (Tursi, 17 agosto 1865
- 21 maggio 1952), poi direttore didattico a Moliterno, in provincia di
Potenza. Anna Cascella e Guido Capitolo hanno avuto due figli, entrambi sposati
e senza prole: Aldo (1947-2009), funzionario
della Banca Commerciale, deceduto a 62
anni, e Giuliana (1939), docente di
Italiano e Storia nelle scuole Secondarie di 2° Grado di Roma, unica
sopravvissuta della grande famiglia che, non essendoci più eredi, è destinata al
tramonto.
Vincenzo, Manlio e Guido erano figli del primogenito di Vincenzo
Capitolo, Domenico Capitolo (Tursi,
02.4.1864 -14.6.1931), che fu un validissimo avvocato e poi notaio negli anni
1927-30, ma anche umanista e letterato, e di Maria Ayr, detta Marietta
(Tursi 26.6.1876 - Roma 26.4.1955), insegnante Elementare per diverse
generazioni. I genitori si erano sposati il 19 luglio 1899 ed ebbero tre figli,
appunto. La famiglia visse sempre a
Tursi, in via Garibaldi n. 42, ma dopo la morte del padre emigrarono a Udine,
rendendo effettiva un decisione maturata da tempo (ufficialmente dall'8 marzo 1939,
cioè poco prima della morte del fratello Vincenzo). Con la dipartita di Guido a
Udine (Manlio è sepolto nel cimitero romano del Verano, assieme alla madre
Maria), la signora Cascella e i figli si trasferirono a Roma, nel grande appartamento
che era stato di Manlio, dove Giuliana e Aldo sono ritornati spessissimo negli
ultimi anni per stare vicino alla loro madre.
Verdiana C.
Verde
Su invito della prof.ssa Giuliana Capitolo,
alla metà di luglio, ho incontrato nella sua abitazione la signora Cascella. Aveva
ancora un gradevolissimo aspetto, direi perfino bella e dai modi gentilissimi,
anche se non più totalmente autonoma, avendo una difficoltà di deambulazione
che la costringeva su una più comoda sedia con le rotelle, assistita però da
una giunonica badante della Romania, precisa, taciturna e sorridente. La
signora Anna leggeva il quotidiano "La Repubblica" ancora senza occhiali. Il suo sguardo
si aprì come un balcone sulla primavera, rinverdendo uno squarcio sul passato,
al momento delle presentazioni, quando le fu detto la mia provenienza. Mi
invitò a trattenermi tutto il tempo necessario e a ritornare in autunno perché
le avrebbe fatto tanto piacere, e questo ci tenne a sottolinearlo. Il grande
appartamento con numerose stanze tutte soleggiate era caratterizzato da un
sobrietà contenuta ed elegante allo stesso tempo, dava l'idea del tempo
trascorso e del modo signorile di chi ci aveva vissuto.
Non molte le fotografie
appese ai muri, quasi tutte in bianco e nero, ma tantissimi i libri della enorme
biblioteca privata. Testi che difficilmente ti aspetteresti di trovare nella
dimora dei Capitolo e che fanno piazza pulita sulla loro indole, apertamente
progressista e di sinistra, con una
tradizione di famiglia di gente perbene, onesta e senza ostentazione del
potere. Collocato in una zona importante, la casa è in uno stabile credo di
sette piani, nei quali risiedevano, negli anni Cinquanta, le famiglie di
personalità importanti della cultura italiana, come Pier Paolo Pasolini (ricordato con una targa marmorea sul portone
d'ingresso), Marcello Mastroianni, Attilio Bertolucci (il giovane figlio Bernardo, poi maestro del cinema
mondiale, era allora assistente del Pasolini cineasta). Appena qualche
caseggiato più in là, viveva il poeta Giorgio
Caproni. Con Manlio si
conoscevano tutti e si frequentavano. C'era voglia di sapere, di capire e di
interpretare tutte le umane vicende familiari, per quanto io potessi,
nell'amabile conversazione con la signora Giuliana, reduce da una operazione al
colon (un cancro ai polmoni aveva portato alla tomba
l'amatissimo fratello Aldo).
Nei mesi precedenti avevo fornito, tramite
telefono e via e-mail, tante fotografie,
alcune notizie su Tursi e piccole delucidazioni sui rapporti familiari sollecitatemi
dalla prof.ssa Elena Chiari Petitti,
sua cugina torinese, figlia di Antonio
Chiari (Sassari, 21/7/1905 - Cherasco, Cuneo, 11/01/1945, figlio di Carmela
Ayr e Francesco Chiari). Giuliana mi
spiegò che stava scrivendo, anzi correggendo le bozze del libro ("Aldo", Giuliana Capitolo, Roma 2012)che aveva
voluto dedicare al fratello, stampato in proprio, e del quale mi ha fatto poi dono in ottobre. Adesso,
dopo averlo letto d'un fiato e commosso, anche perché in forma di diario si
ripercorre tutto il calvario degli ultimi mesi e giorni e istanti di Aldo, lo
rigiro tra le mani, mentre ripenso con tristezza alla signora Anna Cascella,
che più non rivedrò.
Salvatore
Verde
I CAPITOLO IN
A.PIERRO, A.DI NOIA E V.CRISTIANO (a cura di Verdiana C.
Verde)
A Guido
Capitolo (Albino
PIERRO, Metaponto, Garzanti Editore Milano,
1982, pp.38-39)
Addù ti n'ha'
iùte, Guì? /Mbàreche
t'hè chiamète frète tue, /e tu mò ha' ‘a i'èsse
cuntente, / all ‘atu munne, / ca lle pòi risponne. // Aqquebbàsce, / ci ha'
rumèse ni picche di terre / cchi lle fè nasce i fiore nd' i staggione, / e nui
si ni stavéme arraugghiète / chi a na bbànne e chi a n'ate / chi chiatrète nd'
u fridde o rivigghiète / nda nu sbutte di chiante. // Nun c'è nisciune, Guì, / ca
si pò dè na mène; eppure l'amm' ‘a réje / stu muragghione àvete d'u munne / menze
sciullète; / ll'amm' ‘a fè i'èsse forte / sti vrazzicèlle noste fine fine / ca
pàrene di vitre / o i vrazzicèlle ianche d'i rnahète.
A Guido Capitolo. Dove te ne sei andato,
Guido? Forse ti ha chiamato tuo fratello, / e tu ora devi essere
contento, all'altro mondo, / che gli puoi rispondere. / / Quaggiù,
/ ci hai lasciato un poco di terra per farli nascere i fiori nelle
stagioni, / e noi ce ne stiamo avvoltolati / chi da una parte e chi da
un'altra / chi ghiacciato nel freddo o svegliato / in uno scoppio di
pianto. / / Non c'è nessuno, Guido, / che possa darci una mano; /
eppure dobbiamo reggerlo / questo muraglione alto del mondo / mezzo
crollato; / dobbiamo farle essere forti / queste nostre braccine sottili
sottili / che sembrano di vetro / o le braccine bianche dei malati. (traduzione dell'autore)
A Manlio
Capitolo (Albino PIERRO, "Appuntamento, 1946-1967", Editori Laterza Bari, 1967, pp. 36-38)
Manlio, / già sei nella terra, / ed io non so se ancora t'inseguono / quei
frastuoni di trombe, / tu che solo in campagna / eri felice, o quando davi
un'anima / a quell'unica tomba abbandonata / di un piccolo cimitero di
montagna. // La piccola persiana, non più verde, della finestra / chiusa sopra i tetti, / -ricordi?- / continua
a parlare, nel suo deserto, / col filo di spago mosso lieve dal vento, / e
sembra che ripeta le tue parole / in un linguaggio d'arido splendore / senza
spazio né tempo: / "E pensare che al mondo ci sono i fiori". // Non so quante
volte le scandivi / queste ed altre parole / perché le udissero i morti insieme
ai vivi: / ed erano colpi di martello / che giungono lenti e precisi / al fondo
musicale delle cose, / ma che poi rimanevano inerti: / inutili ponti d'amore / fra
solitudini ed abissi; / e, lampada votiva nella notte, / tu ardevi trasfigurato
nel tuo pallore. // Ora ti cerca il vento a Monteverde. // Non riesce a
dimenticarti / né a darsi pace, il vento, / da quella dolce sera in cui ti vide
/ a colloquio col rospo sbigottito / che salvasti festoso dalla strada; / ti
sorprese nel buio delle piante / dove tornava il guizzo delle stelle / e, a
scatti, s'accendevano / innumerevoli arcate di sogni. / Io potrò pure ritornare
al villaggio / per rivivervi la funebre adolescenza / nell'ora dei notturni
distacchi / legati alle partenze cupe per il collegio: / vi troverò , in più,
la tua casa deserta / divenuta la nave obliqua nel porto defunto. / Andrò
allora a cercarti nella solitudine dei burroni / e ti riudrò, forse, nei loro
bisbigli; / e guarderò a lungo la sottile falce di luna / che tu così spesso guardavi,
/ prima che l'odore delle frasche dei forni / con l'odore caldo del pane / ci
accogliessero, a sera, / dalle mitiche passeggiate al convento. // Ma tu mi
parli, ora, così poco / dalla tua grande pace. / Hai proprio tanto da dire / a
quella bambinetta innamorata / che è venuta a trovarti nella tua nuova città? /
E' morta, e tu lo sai, di poesia, / e ha deciso, forse, di non lasciarti / se non quando sarà finito il vostro discorso
/ che non sarò meno lungo dell'eternità. // Manlio, mio Manlio, / come ardevi
quella sera nel tuo pallore, / -ostia gigante di luce / comparsa sui vetri neri
di una finestra-; / con quali innumerevoli voci / mi riparlava la tua anima / in
quel vago accennare della notte sul mare / attratto dal buio della campagna
deserta / in cui vagavo sereno col tuo ricordo. // Poi, come l'onda mi fransi /
sul ciglio della strada rombante / -l'infallibile lama che taglia il velo dei
sogni- / e mi confusi alle ombre, / e più deserto implorai / a quali mai
rondini e a quale / mai torrida estate lontana / avrei potuto ripetere, / -e
anch'io con un sospiro- / ciò che diceva tuo padre / guardando le stelle di
luglio, / ciò che tu ripetevi / ricordando tuo padre: / "Ah poter sapere, poter
sapere, / perché i morti non tornano".
Don Guido Capitolo (Vincenzo Alberto DI NOIA,
"C'ete nd'u core poesia vernacola
tradotta in italiano dall'autore", Cultura Duemila Editrice, Ragusa, 1992, pp.
106-07)
DON GUIDO CAPITOLO / Come
su' mò/ nun ci furére senza di don Guido,/ aqquè, luntène assèi:/ avìje cangète
vite/ e mi sintìje n'ate,/ cchiù mmègghie assèi di prime;/ ci stavìje
cuntente,/ pure si scunfinnète a nn'àtu pizze/ di munne. / Po', doppe ancun
anne appéne,/ a la scurdète, a Pertegada,/ nu brutte jurne fridde di jnnère/
l'àgghie avute tra chèpe e colle/ come na mazzète:/ Don Guido è morto!/ Avìte
schitte cinquant'anne fatte. / Mbàriche tante duhòre/ nun l'avére pruvète/ si
m'avèrene dète averamente/ nu sacche di mazzète. / Mi sintìje sciullè u munne
colle/ e avìje schitte vògghie di scappè:/ murìvite cchi gghille/ ‘a vògghie di
ci stè. / Fridde di jnnère/ m'è rumèse aqquè daintr'u core.
DON GUIDO CAPITOLO / Come sono adesso/ non
ci sarei senza di don Guido,/ qui, lontano assai:/ avevo cambiato vita/ e mi
sentivo un altro,/ migliore assai di prima;/ ci stavo contento,/ pure se
sconfinato ad un altro pizzo/ di mondo. / Poi, dopo qualche anno appena,/
all'improvviso, a Pertegata,/ un brutto giorno freddo di gennaio/ l'ho avuta
tra capo e collo/ come una mazzata:/ Don Guido è morto!/ Aveva solo
cinquant'anni fatti. / Forse tanto dolore/ non l'avrei provato/ se m'avessero
dato davvero/ un sacco di mazzate. / Mi sentii crollare il mondo addosso/ e
avevo solo voglia di scappare:/ morì con lui/ la voglia di restarci. / Freddo
di gennaio/ m'è rimasto qui dentro il cuore!
"Il paesello natio - 6
gennaio 1949" ((Vincenzo CRISTIANO in Foglie secche e note gaie Versi, Tip. Degli Orfanelli -
Tursi (Matera), 1950, pp. 16-18 e 74-76)
Se siam da Policoro un po' distanti/ siam poi
d'Anglona più vicini a' piani,/ che ricordano Pirro e gli elefanti/ e il
console Levino ed i Romani:/ Tursi si noma il loco ov'io son nato,/ da grotte e
da burroni circondato. / Vetusto è si, ma come è costruito,/ ma come son le
fontamenta rose;/ per giunta è forse un po' malsano il sito/ con le sue strade
ripide e fangose, / dispensando po' febbri a la sua gente/ gli scorre a' piè
precipite torrente. / E pur così com'è sporco e immondo/ col fango
attaccaticcio che t'imbratta/ da non aver l'egual forse nel mondo/ possiede
terra a ogno coltura adatta,/ e ‘l popol suo energico ed attivo/ dà grano,
frutta ed olio a chi n'è privo. / Eppur così com'è può darsi vanto/ d'aver dato
i natali ad un Oliva/ nell'arte del pennello illustre tanto,/ una cui figlia
sposa se ne giva/ all'illustre Mancini, gran giurista,/ sommo parlamentar,
sommo statista. / Eppoi fra' trapassati noti a noi/ della Betulia Liberata
autore/ Brancalasso, un Casano, un Ayr poi/ mio tanto venerato precettore,/ di
cui estinta ancora non è l'eco/ del suo valore noi latino e greco. / Fu lui che
mi guidò nei primi passi/ con mano esperta, docile e paziente;/ fu lui la
fresca fonte, da cui trassi/ il modesto saper ch'orna la mente;/ fu lui, che
pago alfine potè dire:/ Or va' fidente verso l'avvenire. / lE degno ancor nel
semplice mio stile/ d'un fraterno pensier sincero e mesto/ l'amico
impareggiabile e gentile/ Capitolo si colto e poi sì onesto/ da dire al
cliente: Qual consiglio darti?/ La causa non va, puoi rassegnarti. / E Cucari
non fu il compagno mio/ tanto famoso per le sue macchiette/ e pel suo stile
pien d'umore e brio?/ Nemico un dì di codici e pandette,/ divenne un civilista
rinomato,/ a Napoli ed altrove assai stimato. / Ecco Ferrara Andrea dall'alato/
e poderoso ingegno che al gradino/ ultimo è giunto come magistrato/ e dopo lui
Peppino Camerino,/ or giudice a riposo e molto noto,/ che fu fra' miei alunni
il più devoto. / Ayr Carmela si modesta e buona,/ dallo sguardo pensoso e
sempre mesto,/ fa parte della nobile corona./ Appena giovinetta ella ogni
testo/ spiegava da Virgilio a Cicerone,/ da Senofonte, a Socrate e Platone. / I
Capitolo ancora, altri scolarì,/ a nome Manlio il primo e l'altro Guido;/ si
giovani, sì buoni e a tutti cari,/ molto profondi: è proprio questo il grido:/
è l'un distinto ed alto magistrato,/ preside illustre l'altro e letterato. / I
Pierro infin: tre amabili fratelli,/ che seguon del saper la nobil via./ Furono
i tre tesori, i tre gioielli/ d'una maestra laboriosa e pia./ Valente penalista
è già Peppino,/ poeta esimio il terzo a nome Albino. /
"Presso il
sepolcro dell'avv. Domenico Capitolo (2 - 11 - 1939)" (Vincenzo
CRISTIANO)
M'aggiro meditando in questo loco/ di mestizia e di
lutto e son già presso/ al tuo sepolcro, o anima di fuoco. / Dal carattere fiero e mai dimesso,/ dal cuore
retto e dall'ingegno acuto,/ eri d'un pezzo egual sempre a te stesso. / Con
nobil gesto, generoso aiuto/ mai tu negavi, e sol per un nonnulla/ tu sì
eloquente diventavi muto. / Perché mostrassi un'anima fanciulla/ e il maschio
volto lo rigasse il pianto/ bastava un bimbo che gemesse in culla. / Nessuno
più di te felice tanto/ coi tre gioielli avuti dal Signore,/ gloria per te, pel
paesel gran vanto, / pel vecchio precettor sublime onore. / Eppure un gran
dolor t'era serbato, / un dolor che non ebbe mai l'eguale,/ per Vincenzino tuo
tant'adorato. / La sua mente sì lucida e geniale/ un morbo l'offuscò, s' che la
sorte/ tanto benigna ti si fe' rivale. / Parve non t'abbattessi e fossi forte/
all'improvviso colpo del destino/ ma fossi tratto innanzi tempo a morte. /
"Ch'io ti perdessi fu voler divino/ - mi par sentire in rassegnato accento -/
eternamente or mi sarai vicino. / L'affetto mio non sarà mai spento/ e avrà di
me pietà il Sommo Iddio,/ o tu che fosti in vita il mio tormento, / riposa pure
in pace, angelo mio". / Ed or si plachi alfin l'anima inquieta,/ ammira,
ammira, o spirito angoscioso,/ di Manlio e Guido la splendida meta / e fia
anche per te dolce il riposo. /
Tursi, 30 dicembre 2012
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