Il poeta Mario Bruno Ciancia, versi genuini e una sensibilità atemporale
Mario Bruno Ciancia (o Mario
Bruno Junior) - Autore della
diaspora tursitana di liriche vernacolari e in lingua. È nato il 6 marzo 1949 a Tursi (Matera), dove
ha frequentato le scuole di base, prima di emigrare giovanisimo in Svizzera,
per studiare nella scuola Alberghiera di Lucerna.
Dal 1968, per lavoro si stabilisce
nella Germania Occidentale e ci resterà fino al 1975, quando decide di
ritornare nel paese d'origine, dopo una breve esperienza come saldatore a
Genova, nel 1972. A
Tursi gestisce in proprio e fino al 1989 un bar-trattoria. Intanto,
appassionato di boxe, nel 1986 si tessera alla Federazione Pugilistica
Italiana, diventa insegnante di Pugilato e come tale segue a Potenza diversi allievi.
Alla fine di settembre del 1989 ritenta l'esperienza tedesca, ma con una
diversa maturità di vita e di progetti, infatti, lega presto con un gruppo di musicisti,
per i quali comincia a scrivere i testi di alcune canzoni, eseguite da diversi
gruppi non soltanto italiani e trasmesse da emittenti radiotelevisive. Alcune composizioni
sono state pubblicate in Germania dalla casa editrice "Realis" e in Italia nella
raccolta "Voc' ‘nda P'trizze. Antologia di Poeti Tursitani", edita nel 2000 da
ArchiviA-Rotondella, curata dal poeta tursitano Rocco Campese.
Ciancia possiede una forza e serenità interiore che scaturiscono da un
saldo ancoraggio ai valori universali della vita incarnati in un carattere lineare,
spontaneo e bonario, tuttavia capace di grande reattività di fronte alle
ingiustizie e oppressioni, corruzioni e intrighi, falsità e ipocrisia. Pur
inserito nella rete della modernità e lavorativamente a contatto con il
pubblico, continua a prediligere la semplicità dei rapporti, il rispetto
dell'amicizia autentica, l'onestà di intenti, che traspaiono nella sua vena
poetica, che è una idealizzazione immaginifica della vita vissuta, delle
esperienze di crescita, rifuggendo il falso atteggiarsi. L'ispirazione diventa
immagine extratemporale del proprio mondo idealizzato non senza amara
conspevolezza dell'ansia di vita e del senso della perdita, dall'intimità
familiare alla tipizzazione degli umili lavori rurali, dalla lontananza della
dolce infanzia all'attuale condizione umana eterodiretta, che non completa quella
intima e ne disperde i fondamentali valori morali e unitari.
Il bilinguismo di
Mario, lingua e dialetto, è coerente con il contenuto ambivalente scaturito dalla
dualità delle esperienze e realtà vissute. Una condensazione
dell'ispirazione che si apre ai sentimenti di fratellanza universali, pur nel
travaglio dell'umana sofferenza, con lapidarie annotazioni sulla necessità di
dover essere per realizzare un progetto, e con le ansie mai sopite derivanti
dal senso dello sradicamento e dalla conservazione dei ricordi nella vivida
memoria. L'utilizzo del materno dialetto, invece, agevola l'immagine e il ritmo
dei versi, perfino nella punteggiatura che sembra far indulgere a una mitezza
interiore dell'autore, per meditare sull'umana condizione di ieri e la
spersonalizzazione dei rapporti e sul presente mercificato, tutti sentimenti genuini
che si addicono a una personalità con i piedi nel presente e con una
sensibilità fuori del tempo.
Verdiana Verde
Il senso della poesia di Mario Bruno Ciancia è ben
reso da questo piccolo omaggio (avvertenza: le traduzioni dal dialetto sono
quelle che lo stesso autore Mario Bruno Ciancia ha pubblicato, anche su facebook).
MARE
(Partecipazione
al concorso "Bibliothek deutschsprachiger Gedichte" 2009; premiata e
pubblicata nell'antologia <Augewählte Werke XII>)
Predisposte le reti
e alzati gli occhi al Cielo,
antico segno di preghiera,
il pescatore spinge
la sua barca in mare,
come carezzandola,
poi vi salta su
e s'avvia
per la sua rotta.
Restano sulla riva
le orme
dei suoi nudi piedi
conchiglie
sbiadite dal sole
e della barca
il sabbioso solco.
La bianca scia s'allontana
sempre più sfumata
e all'orizzonte lontano
dove al cielo il mar si fonde
svanisce.
Mi sibila leggero il vento
strane vecchie storie
di gente partita e mai tornata
e temo, e prego
mentre per l'aria
echeggia
il verso del gabbiano.
Mare, oh mare! Or egli
è nelle tue braccia.
LA CASETTA
Spesso mi ritorna alla mente
la casetta di lá del torrente
era assai piccola e bianca
e la vita non era mai stanca.
D'intorno fioriva ogni cosa
nell'aria c'era odore di pini.
Ci viveva zi' Nicola e Rosa
coi due figli, allora bambini,
che seguirono i loro destini
lasciandosi dietro ogni cosa.
I due, rimasti soli per anni,
soffrivano assenza e malanni
e stanchi d'attendere invano
i figli partiti, troppo lontano,
anch'essi partirono un giorno
per un viaggio senza ritorno.
Ancor oggi, perita, non stanca
la casetta assai piccola e bianca
non lungi dal cheto ruscello
soffocata d'arbusti e da rovi
accoglie ogni tipo d'augello
che torni a far nido e ci covi.
Ridarle vorrei lo splendore
del tempo in cui era una reggia
e sentire che in essa l'amore
rinato, per sempre vi echeggia.
U IARD'NÉR'
...Sì com' na f'rmicu'...
Chi mov'mènd' andìch' e lent'
d' ss' vrazz' mei' stanch'
da matìna prèst', accrucchèt'
sup' u sc'chìn', affìgn' a séra tard'
sventr's' a tèrr' ch' ssa zapp'
ca tant' ca ié
lucent', par' d'argent.
Pó, ch' na pacienza grann'
Pr'par's' i marrell'
Ch' chiandè tant'cos' bèll'.
Ma ch' ièt', a terr' o tu?
Tu zapp's' e u sou' s' d'vert't' ndu cée;
Mó t' fait' luc' sup' i cos' c_à chiandet'
Po s'ammùc't' e t' fai't' u scur'
Sup' i
cos' c_a cògghi'
Traduzione: Il giardiniere:
...sei
come una formica...
Con
i movimenti antichi e lenti
delle
tue braccia mai stanche
dal
mattino presto, incurvato
sulla
schiena, fino a tarda sera
sventri
la terra con la tua zappa
ch'è
lucente a sembrar d'argento.
Poi,
con gran pazienza, prepari
i
lotti di terreno per piantare
come
sempre, tante cose belle.
Ma
chi è, la terra o tu?
Tu
zappi ed il sole si diverte in cielo:
ora
ti fa luce sulle cose che hai piantato
poi
si nasconde e ti fa il buio
sulle
cose da raccogliere.
CHÌLLA SÈR'
Fors'
mò l' sacc'
p'cché u munn'
iér'(t') tant' cìtt'
chìlla sèr'
e 'ndì strét'
non c'ér't' mangh'
n'àn'ma dannét'.
Pur' a lun'
'ndu cèe
ier'(t) trist'
fors' avì(t') chiànt'
come ttè.
T'nìs' na curt'llét'
alu còr'
p'cché nu figgh' du tùu'
u iurn' apprèss'
avìta part'
Turs'cell' mèi'.
Saarlouis
18.02.2000
IL VIGNAIUOLO
Tra
i filari della vigna
nel
settembre rituale
a
tagliar s'appresta
l'umile
vignaiuolo
i
grappoli maturi.
Con
una mano carezza
le
perle bionde e nere
mentre
con l'altra
attento
il gambo taglia
e
con cura posa
il
frutto del suo sudor
nei
gran cesti in vimini
disposti
tra le viti
dai
pampini ormai rossicci.
Poi
col suo asinello
carico
s'avvìa al paese
e
all'uno e all'altro fanciullo
che
segue in coda
regala
qualche chicco.
Nella
cantina le botti
e
anche le barrique
aspettano
a bocc'aperta
e
a pancia asciutta
il
liquido di Bacco.
In
esse il mosto
brontolerà,
si calmerà
e
allora, solo allora
potrà
chiamarsi vino
ch'ei
fiero gusterà.
COME UN AQUILONE
(È
stata musicata da Roland Kunz, in arte Orlando, con la sua Band, Die
Unerlösten. Il CD è uscito in Germania nel 2000 ).
Ora che t'ho detto la verità
mi sento leggero
come un aquilone.
Tu
col filo nella mano
mi lasci andare su e giù
quando e come vuoi.
Lascia quel filo
lasciami andare
lasciami volare
per l'azzurro cielo
e quando non più sentirò la tua presa
scenderò leggero come una piuma
mi poserò sulla tua piccina mano
e se lo vorrai...stringimi forte a te.
L'ORTO
DI MIO PADRE
Un orto magico, lo vedevano tutti
dove l'erba selvaggia non cresceva mai.
Poco piú grande d'un palmo di mano
ma c'era proprio tutto il bene di Dio.
Era pieno di odori, di ogni tipo e natura
molte specie di fiori e tanta bella
verdura
ad occhio cresceva e quando pioveva
là c'era il sole, si, pure quando pioveva.
In quell'orto mio padre passava il suo
tempo
piantando di tutto e cogliendo ogni cosa.
Poi quando per lui il caldo era troppo
all'ombra sedeva del pioppo argentino.
Con i vimini schelti, raccolti nel fiume
intrecciava panieri d'ogni forma e misura
e da un legno trovato, con gran maestria
creava un arnese che poi regalava.
Ancora oggi la gente, del mio umile padre
conserva i ricordi per bontà ch'egli
aveva.
Non ho la sua lena e quel magico orto
diventato una selva, m'imprigiona la vita.
La ragazza camminava scalza ,
piangeva
le facevano male i piedini e piangeva
non possedeva scarpe ne soldi
per potersene comprare un paio.
Continuava a camminare e piangeva
ma un giorno lungo il cammino
vide
una ragazza seduta sopra un muretto
anch'ella piangeva, le chiese il perchè:
continuò a piangere quando notò
che alla ragazza mancavano i piedi.
Solo allora s'accorse quant'era ricca.
IL MIO GIARDINO
(nel 2011, partecipazione al
concorso "Bibliothek deutschsprachiger Gedichte", premiata e
pubblicata nell'antologia < Ausgewäählte Werke xiv>)
Ogni
volta che lo voglio
rifiorisce il mio giardino
si riveste il gran ciliegio
foglie verdi e fiori bianchi.
Tra i suoi rami salta e canta
una gazza bianca e nera
dal mattino fino a sera
la mia gazza salta e canta.
Sotto gira intorno al ceppo
miagolando il mio gattino
che si chiede ingenuamente
il perché non sa volare.
C'è sul prato verde in fiore
la mia oca che starnazza
il mio cane dormiglione
che abbaiare più non sà.
Voli muti di farfalle
inseguite dai bambini
la mia chioccia che protegge
con le ali i suoi pulcini.
Il giardino che ho inventato
è così come a me piace
e mi chiedo perché il mondo
non riesca a trovar pace.
U IURNATÈR'
Ch' nu pèr' d' scarpùn'
nu cappèll' ammusciuèt'
e i cav'z' r'p'zzèt'
ch' na zapp' 'ngoll' vet'.
Et' avùt' na iurnèt'
add' un' car'stùs'
e ll_è ditt' ch_ai sei'
cremmatìn' a iess' allè.
U bbòn' iurnatèr'
and'c'pit' d' n_or'
m_u patrùn' senza cor'
l' dìc' daccussì:
Iamm' iamm' cumparucc'
ch_a iurnèt' s' n' vet'
nunn em' fatt' nend'
e mo s_ema dè da fè.
Stu pov'r' bòn_òmm'n'
ch_a famìggh' sup' i spall'
ch_u b'sògn' da iurnèt'
nu r'sponnt' mèi' nend'.
Vers' menz'iurn'
è sp'ccèt' na marrell'
e u patrùn' a malapèn'
l' fai't' ì a mangè.
Iamm' iamm' cumparucc'
ch_a iurnèt' s' n' vet'
nunn em' fatt' nend'
e mo s_ema dè da fè.
N_ata vot' zappa zapp'
e u patrùn' òcch' occh'
l' uardàit' s' facìt'
avaramend 'zappa zapp'.
U pòv'r' schianèt'
dall' e dall' s_è stanghèt'
ma iè(t) cundènd' ch_a famiggh'
quann' iè(t) crèi' pò mangè.
Traduzione: Il lavoratore alla giornata
Con un
paio di scarponi
un cappello
stropicciato
e i pantaloni
rattoppati
con una zappa
sulle spalle va.
Ha avuto una
giornata
presso un
avarone
e gli ha detto
che alle sei
domattina
dev'essere lì.
Il bravo
lavoratore
anticipa di
un'ora
ma il padrone
avarone
gli dice così:
forza, forza
amico mio
che la giornata
se ne passa
e non abbiamo
fatto nulla
adesso dobbiamo
darci da fare.
Questo
pover'uomo
con la famiglia
da mantenere
per il bisogno
della giornata
non risponde mai
niente.
Verso
mezzogiorno
ha terminato un
pezzo di terra
ed il padrone a
mala pena
gli permette di
mangiare.
Forza, forza
amico mio
che la giornata
se ne passa
e non abbiamo
fatto nulla
adesso dobbiamo
darci da fare.
Di nuovo zappa e
zappa
ed il padrone
attento attento
lo guardava se
faceva
veramente zappa
e zappa.
Il povero
lavoratore
dagli e dagli
s'è stancato
ma è contento
che la famiglia
l'indomani può
mangiare.
MARE
Predisposte le reti
e alzati gli occhi al Cielo,
antico segno di preghiera,
il pescatore spinge
la sua barca in mare,
come carezzandola,
poi vi salta su
e s'avvia
per la sua rotta.
Restano sulla riva
le orme
dei suoi nudi piedi
conchiglie
sbiadite dal sole
e della barca
il sabbioso solco.
La bianca scia s'allontana
sempre più sfumata
e all'orizzonte lontano
dove al cielo il mar si fonde
svanisce.
Mi sibila leggero il vento
strane vecchie storie
di gente partita e mai tornata
e temo, e prego
mentre per l'aria
echeggia
il verso del gabbiano.
Mare, oh mare! Or egli
è nelle tue braccia.
CHÌLLA SÈR'
Fors' mò l' sacc'
p'cché u munn'
iér'(t') tant' cìtt'
chìlla sèr'
e 'ndì strét'
non c_ér't' mangh'
n_àn'ma dannét'.
Pur' a lun'
'ndu cèe
ier'(t) trist'
fors' avì(t') chiànt'
come ttè.
T'nìs' na curt'llét'
alu còr'
p'cché nu figgh' du tùu'
u iurn' apprèss'
avìta part'
Turs'cell' mèi'.
Traduzione: Quella sera
Forse adesso lo
so
perché il mondo
era tanto
silenzioso
quella sera
e nelle strade
non c'era
neanche
un'anima
dannata.
Pure la luna
nel cielo
era triste,
forse aveva
pianto
come te.
Avevi una
coltellata
al cuore
perché uno dei
tuoi figli
il giorno
seguente
doveva partire,
mia piccola
Tursi.
Saarlouis 18.02.2000
COME UN AQUILONE
(È stata
musicata da Roland Kunz, in arte Orlando, con la sua Band, Die Unerlösten. Il
CD è uscito in Germania nel 2000).
Ora che t'ho detto la verità
mi sento leggero
come un aquilone.
Tu
col filo nella mano
mi lasci andare su e giù
quando e come vuoi.
Lascia quel filo
lasciami andare
lasciami volare
per l'azzurro cielo
e quando non più sentirò la tua presa
scenderò leggero come una piuma
mi poserò sulla tua piccina mano
e se lo vorrai...stringimi forte a te.
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