La morte del prof. Pietrino Digno, asceso al cielo con il suo maggiolino
Si svolgeranno sabato mattina (23 novembre), alle ore 10, nella cattedrale dell'Annunziata di Tursi, i funerali di Pietro Antonio Digno, ma lui per tutta la comunità tursitana era da sempre affettuosamente Pietrino.
Il Professore, perché era davvero uno dei pochi laureati della sua generazione, è deceduto all'improvviso nella prima serata di giovedì 21, probabilmente per un fatale infarto che a 77 anni non gli ha lasciato scampo. Era da solo nella sua abitazione di viale Venezia. A dare l'allarme l'amatissima cugina, la poetessa Rosa Maria Fusco, che si era recata da lui verso le ore 19 circa, non avendo ricevuto risposta alle insistite telefonate.
Vani i soccorsi e i tentativi di rianimarlo, a lungo tentati dal servizio di guardia medica e del 118, subito richiamati dalla professoressa Fusco, mentre abbracciava il suo corpo sempre più freddo, donandogli gli ultimi attimi di tenerezza. Era sul letto, in pigiama, perché anche in questo era una persona speciale: mai si sarebbe appisolato senza, pure durante la giornata. Pietrino Digno se ne è andato in modo discreto, senza dare fastidio e senza clamore, in una normale giornata d'autunno, quando la luce dura poco e il tramonto è precoce. Nella sua sobria casa popolare, da pensionato impegnato si affaccendava ancora tra le sue amate carte.
Era nato a Tursi il 27 aprile 1936. Suo padre, Filippo Digno, non lo conobbe mai. Era legionario in Africa e morì a causa di una malattia tropicale, quando Pietrino aveva appena tre mesi. La madre, Grazia Carmela Fusco, rimase vedova e con un'altra bambina da accudire, non si risposò mai più e condusse una vita specchiata ed esemplare. Stimolato come tanti suoi coetanei a "prendersi la Terza Media", Pietrino proseguì gli studi da privatista e poi regolarmente, diplomandosi da ragioniere a Lagonegro. Con tale maturità tecnica, tentò e superò un concorso all'Eni di Enrico Mattei, quindi si recò a lavorare a San Donato Milanese, dove restò per alcuni lustri.
Nel frattempo continuò a studiare fino a laurearsi brillantemente in Scienze Economico-Marittime all'Istituto Nautico di Napoli, il 7 aprile del 1970. Commercialista, libero professionista dal 1980, anche Revisore dei conti, vinse il concorso a cattedre per le Discipline economiche negli Istituti tecnici e si trasferì a Roma, insegnando fino alla pensione, negli anni Novanta. Mai recise totalmente i legami con Milano e con il suo (e il nostro) paese natale, dove negli ultimi tempi era ritornato definitivamente.
Uomo di vaste e sparse letture, non soltanto dell'ambito tecnico-professionale, era dotato di una memoria portentosa, talvolta strabiliante, come si evinceva dalle sue corrette e dotte citazioni. Di gradevole aspetto, sempre curato e con indosso il vestito, aveva modi garbati e gentili e dai toni sommessi ma talvolta fermi. Era l'incarnazione di un personaggio straordinario, nel senso letterale, che, ci piace pensarlo, avrebbe rapito l'attenzione di cineasti come l'ironico Woody Allen o il visionario Terry Gilliam oppure il tenerissimo Pupi Avati, se solo lo avessero conosciuto da vicino.
Come è capitato, invece, a quasi tutti i compaesani che si sono sempre fermati all'apparenza svagata, di una persona dolce e innocua, sovente a bordo del suo maggiolino-maggiolone cabrio Volkswagen di colore nero, mentre circolava con il clacson strombazzante. Cosa che voleva essere quasi un richiamo di attenzione preventiva per la sua guida entusiasta, non certo per mettersi in mostra. Non ne aveva bisogno, lui personaggio lo è stato sempre, anzi, a modo suo unico, somigliante in questo ai più problematici protagonisti dei graziosi film corali irlandesi, dove si mostra che in ogni pur piccolo paese ce n'è almeno uno, che strappa il sorriso immediato e poi aiuta a riflettere, agevolando la comprensione delle umane vicende.
Ma il richiamo forse più amabile va a film come Oltre il giardino di Hal Ashby o Forrest Gump di Robert Zemeckis. "C'era in lui qualcosa di antico e ingenuo - ci dice non a caso, con commozione e profondità, la Fusco -, perciò non si è mai sposato (lo stesso fece la sorella Antonietta), forse per l'assenza (del modello) della figura paterna, forse per il genuino affetto appagante verso proprio tutte le cugine che lo hanno attorniato, dell'ampia nostra famiglia. Aveva una naturalezza di approcci relazionali, come quando studiava Psicologia del lavoro e poi divenne amico del grande prof. Enzo Spaltro, di qualche anno più grande di lui, che lo portava con sé tra il pubblico televisivo di ‘Test', la fortunata trasmissione degli anni 1983-84.
Diceva sempre, e non a torto, che all'Italia di oggi manca una vera classe dirigente e soprattutto imprenditori illuminati come Adriano Olivetti e uomini come Enrico Mattei, che sosteneva fosse stato ucciso per la sua lungimiranza in tema di petrolio. Ma non risparmiava neppure l'amato paese, con qualche non velata critica, sintomo chiaro di sincera inquietudine. Ad esempio quando si riferiva al turismo, sosteneva che, per favorire quello proiettato nel futuro, Tursi si dovesse aprire al cosmopolitismo".
A parte i tanti cugini e l'amorevole sorella (già deceduta), era un uomo intriso di solitudine ma non solitario, anzi socievole, a volte triste ma non infelice, che si è fatto da solo. Una vita irreprensibile la sua, che ci spinge verso tante semplici domande, sulla ricerca dell'essenza della stessa esistenza. Mi domando, una per tutte, perché non siamo mai riusciti ad andare oltre il guscio delle convenzioni?
Personalmente lo avevo incontrato l'ultima volta appena martedì e come sempre ci eravamo salutati con molta cordialità, sorridendo e con la mano alzata. E questa ritualità dei gesti continuava da decenni tra noi, credo che mi volesse bene, ma di certo aveva capito che anche io gliene volevo. Nei suoi abituali ritorni a casa, dopo i tanti anni vissuti tra Milano e Roma, mai una volta che non sia capitato di fermarci a scambiare quattro chiacchiere. Elemento familiarissimo del paesaggio umano tursitano, era di un'apertura affettiva disarmante e credo che sarebbe il primo a sorridere della sincera commozione che adesso ci prende.
Penso perfino che abbia incarnato uno dei miti dell'umanità: diventare grandi e rimanere bambini. E in questo ritrovo un senso di grandezza, la cui mancanza mi addolora.
Salvatore Verde
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