Tursi - Strano destino quello dell'arancia "a staccio" (come amano dire i tursitani, indicando il frutto), una sub-specie agrumicola unica al mondo, per la quale si chiede da più parti e motivatamente il marchio "Dop" (Denominazione di origine protetta). La casuale scoperta avvenne alla fine del XVIII secolo nel territorio tursitano della famiglia Lapolla, che da alcune generazioni aveva notato una mutazione genetica spontanea nel proprio terreno da loro coltivato. Nel Novecento è stato studiato, analizzato e catalogato in agronomia e nel cosiddetto repertorio ortofrutticolo nazionale, definitivamente ad opera del materano Antonio Valicenti (da poco scomparso), nel secondo dopoguerra all'Ispettorato agrario. Nulla di minimamente paragonabile alla varietà d'arancia "biondo comune tursitano", piccolo e zuccherino (da diversi e autorevoli studiosi italiani ritenuto di importazione arabo-saracena tra il IX-X sec.), essendo "lo staccio" di grandi dimensioni e a forma di un disco ingrossato, anche vagamente come un s(e)taccio, prodotto su un albero sempre più maestoso, e con alcune altre caratteristiche davvero notevoli: il sapore d'aranciata amarognola, a tratti asprigna, e la grandezza con il peso unitario, che può raggiungere anche un chilo. Purtroppo, proprio a causa di tali "eccessive" qualità, unitamente a certa "obsolescenza tecnica dei campi", ne è stato decretato nel tempo la fuoriuscita dal mercato, il ridimensionamento produttivo e l'abbandono colturale, tanto da rischiare la definitiva estinzione totale un ventennio addietro. Poi, il ripensamento dovuto a una nuova sensibilità culturale e scientifica, la valorizzazione di un esemplare importante della tradizione contadina locale e l'apertura progressiva di una nicchia prima regionale e dopo nazionale, hanno spinto alcuni proprietari ed imprenditori agricoli a tentare il recupero e il rilancio, come arancia per la famiglia, ne basta uno, ed elemento per la trasformazione industriale, ottimo per i canditi con i suoi grandi spicchi e la spessa buccia, ma soprattutto sfruttando una adattabilità davvero senza precedenti sia del frutto (si tiene sulla pianta fino all'estate senza problemi, anche a fine agosto, inizi di settembre) che del succo (varia con meraviglia, in senso più dolciastro, con il trascorrere dei mesi dalla naturale maturazione autunnale). Insomma, parliamo di un albero di arancio staccio che delizia soprattutto il palato ed anche la vista meravigliata. In passato, prima del definitivo declino, con la vendita diretta e al dettaglio i piccoli coltivatori ci vivevano, mantenendo pure un'intera famiglia.
Quanto mai opportuna, dunque, l'iniziativa di affrontare a più voci la questione della "valorizzazione della produzione dell'arancia staccia, con nuove tecniche di promozione e commercializzazione", nel terzo seminario tematico formativo, organizzato nei giorni scorsi a Tursi, nella sala consiliare (debitamente arredata di piantine coltivate in serre e pronte per la fornitura tramite il Consorzio Vivaisti Lucani, www.covilvivai.com). L'importante appuntamento si è concretizzato grazie alla collaborazione di parecchi enti e soggetti (sub)istituzionali, nell'ambito del progetto Realtà Sostenibile Equal fase II, rappresentato dal responsabile progettuale Giulio Murolo. Il sindaco Antonio Guida si è augurato che "lo studio e gli sforzi produttivi abbiano una risonanza almeno nazionale, come dev'essere anche per il percoco tursitano, e 90.000 euro sono già spendibili per le strade rurali" e Rosa Sarubbi, assessore comunale all'Agricoltura e attività produttive, nel ringraziare i sindaci viciniori che hanno recentemente aderito all'iniziativa, ha aggiunto che "la valorizzazione delle tipicità tursitane coincide con quella di un intero territorio dalla grande tradizione agricola". Antonio Lauria, consigliere comunale di minoranza e anche della locale Comunità montana Basso Sinni, ha fatto osservare "la debolezza strutturale dell'attuale sistema, con la frammentazione delle aziende agricole (piccole, tranne eccezioni), le numerose opere di civiltà delle campagne realizzate (acqua potabile, elettrificazione, strade interne, magazzini) e il protocollo d'intesa con l'Alsia, proprio a sostegno degli ecotipi pero-arancio-percoco, non senza porre il quesito sul futuro prossimo degli enti comunitari, che si vorrebbe inopinatamente sopprimere". Marcello Longo ha spiegato "l'impegno di Slow Food per i prodotti tipici" e il giovane tursitano Antonio Gennaro Gatto, presidente dell'appena nato Consorzio per la tutela e la valorizzazione dell'arancia staccia di Tursi e Montalbano Jonico ("sette i soci fondatori, con atto del 30 gennaio 2007"), unitamente a Vincenzo De Vincenziis, vice sindaco di Montalbano, hanno sottolineato finalità e obiettivi e mezzi operativi del neo nato strumento consortile, al quale hanno già aderito anche i comuni di Valsinni, Colobraro e San Giorgio, tutti promotori del "Progetto integrato territoriale - Territorio sub regionale". Seguiti con attenzione e curiosità crescenti gli specialisti Carmelo Mennone, direttore dell'Azienda Pantanello dell'Alsia, con la relazione sul "recupero del germoplasma di arancia staccia", e Francesco Contò, docente di Economia e Politica agraria all'Università degli studi di Foggia, già della Basilicata, con la "redditività dei prodotti tipici nel Meridione" ha problematizzato il senso di un'avventura ("se la partecipazione non è ampia, ne vale la pena? Nessun giovane vuol fare l'agricoltore e senza il futuro la storia non ha senso"). Dopo gli interventi coordinati da Salvatore Martelli, presidente del Distretto agroalimentare di Qualità del Metapontino, le conclusioni di Roberto Falotico, assessore regionale all'Agricoltura, Sviluppo rurale e Economia montana di Basilicata, "arrivato nonostante che a Matera di festeggiasse il primo Dop del vino". Egli ha insistito sulla necessità vitale dell'assunzione di un'ottica almeno distrettuale nel portare avanti tale richiesta e sfidato tutti a ritrovarsi l'anno prossimo, per un primo consuntivo delle cose fatte e da fare, incitando gli operatori ad andare avanti nonostante le mille difficoltà, il senso di solitudine e le critiche che immancabilmente arriveranno, ma la Regione e il Dipartimento (era presente il direttore generale Franco Pesce, oltre che commissario dell'Alasia) saranno a fianco un'azione meritoria che, superando la logica stretta del campanile, ha ricadute tutte positive, anche a fini occupazionali. Ma certificazione è necessaria, poi decide il mercato".
Insomma, qualcosa sembra stia muovendosi adesso nella direzione giusta, con il Consorzio di tutela e valorizzazione della tipicità e con una serie di iniziative e attività, finalizzate all'iter della richiesta della Dop, facendo motivatamente intendere ai produttori ed operatori di filiera l'attuale convenienza diretta ed i vantaggi ad incrementare la produzione "perché supportati dalle azioni di promozione e commercializzazione". Se alcuni agricoltori, i presenti in verità non erano numerosissimi, hanno manifestato i propri dubbi dichiarandosi apertamente demoralizzati, non mancano anche i più convinti sostenitori strategici, come Fulvio Aldo Rolando Mazzei, vice presidente del consorzio, che possiede circa 400 piante. Egli si augura che "la produzione attuale intorno ai 350 quintali possa salire nel prossimo quinquennio almeno a 3-4000, se vogliamo essere presenti davvero in un mercato di nicchia nazionale e oltre". Il tempo ci dirà se si tratta di vera rinascita, come ci auguriamo.
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