Tursi - La pregevole pubblicazione di oltre trecento pagine in grande formato voluta dall’Amministrazione Provinciale materna nel 75° anniversario della sua istituzione, dal titolo “la Provincia di Matera. Segni e luoghi”, curata dall’antropologo prof. Angelo Lucano Larotonda, dell’Università degli studi della Basilicata, è certo un’opera straordinaria e non solo celebrativa, per la qualità e quantità dei diversi contributi di storia sociale e di antropologia che annovera, lodevolmente coerenti nell’impianto complessivo, e con un adeguato apparato iconografico anche a colori di Antonello Di Gennaro e Francesco Pentasuglia. Dopo la selettiva diffusione a causa dei costi, affronta il gusto e la valutazione, com’è giusto che sia più o meno superficiale o approfondita, del pubblico e del suo lavoro di lettura. Inevitabile o quasi lo scandaglio settoriale e i rimandi territoriali di un testo prezioso e di valore per future sorprendenti consultazioni. Privi di certezze riguardo a prossime edizioni, che potrebbero limare alcuni sfuggiti refusi o piccole inesattezze, come capita anche ai grandi e alle creazioni librarie più raffinate, non ci sembra perciò vano né inopportuno segnalare un paio di imprecisi riferimenti collocati nella tabella “2. Cinema” di pagina 71, a conclusione del capitolo “I segni del tempo: la storia e le sue trame” di Michelangelo Morano, e nella storia di Tursi, a più riprese. Intanto, l’elenco dei film girati nel materano non è esaustivo, 18 in tutto sono anzi poca cosa rispetto alla cinquantina di lungometraggi girati in Basilicata o che alla nostra regione si richiamano in maniera esplicita nell’opera-testo-prodotto, in stragrande maggioranza dei casi girati-realizzati proprio nella provincia di Matera. Poi, se voleva essere una selezione autoriale, ci sono assenze significative ed importanti che meriterebbero qualche indicazione circa il criterio adottato. Facciamo anche sommessamente notare che i fratelli TAVIANI, Paolo e Vittorio, e non Emilio per due volte, sono nativi di San Miniato in provincia di Pisa, dunque toscani e non veneti, come parrebbe dal doppio refuso di stampa, relativo al cognome “Tavian”, rafforzato, si fa per dire dall’altro “Allosanfan”, francesistico titolo del loro famoso film “Allonsanfan”, appunto. E potrebbe non apparire un refuso invece, per l’ordinato incolonnamento, la collocazione temporale di “Cristo si è fermato a Eboli” di Francesco Rosi, retrodatato di ben dieci anni, 1969 anziché 1979. La seconda segnalazione ci riguarda da vicino, interessando Tursi. A pag. 284-85, Claudia Montemurro a proposito della Rabatana dice bene e chiaramente: “Qui si trova anche un presepe in pietra del XV secolo, opera di Altobello Persio”. Peccato che molto prima, a pag. 155, nello spazio dedicato alla “Musica nella cattedrale di Matera”, proprio l’esimio curatore, elogiando “la notevole levatura” dello scultore, affermi: “Già pochi anni dopo un presepe assolutamente simile a quello materano era collocato nella chiesa della Rabatana di Tursi, opera di anonimo imitatore di Altobello”. A complicare anche temporalmente la querelle, non poteva mancare nella simbologia del terzo, l’affermazione di Dinko Fabris nel capitolo “I segni della musica. Paesaggi sonori”, che vorrebbe collocarsi nel giusto mezzo. A pag. 148, infatti, la didascalia della foto del celebrato presepe recita testualmente: “Tursi, chiesa di Santa Maria Maggiore, bottega di Altobello Persio, Presepe, pietra scolpita e dipinta, fine XVI secolo”. E’ anche il caso di informare che sia la Cassa Rurale dell’Icona (ricordata a pag. 62 dallo stesso Morano), scomparsa di fatto e nella denominazione, e sia la banda musicale (pag. 159, citata da Nicola Pavese), avendo chiuso da un decennio circa, non possono quindi essere in attività. Si potrebbe aggiungere la ripetizione di un’intera colonna nelle pagg.68-69, ma invero sembra una lunga miopia tipografica e del revisore delle bozze, poichè piuttosto consistente. Dettagli, certamente, che nulla tolgono al grande lavoro svolto e all’ottimo perfettibile risultato. Salvatore Verde
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