Tursi - C’è qualcosa di ammirevolmente fuggevole e gigantesco nell’immane lavoro di scavo della lingua arcaica tursitana, portato avanti da una vita da padre Giovan Battista Mancarella, che ha appena pubblicato in 120 pagine “Il dialetto di Tursi”, per le Edizioni del Grifo di Lecce, stesso editore del precedente libro “Lessico dialettale di Tursi” (1994). Entrambi i testi con la collaborazione di Rocco Campese, cultore locale, che ha portato a compimento la sua ancora inedita “Raccolta” lessicale, qui riconosciuto coautore “per il suo determinante apporto”. E fa riflettere l’impatto visivo della riproduzione quasi integrale della medesima foto aerea di copertina del nostro centro storico (una sorta di Y rovesciata, partendo dalla Rabatana sullo sfondo in alto), dominata dal secco colore terraneo, tutto contornato dal grigio (prima era quasi verde): segno di rarefazione dell’oggetto della ricerca (al tramonto) nel trascorrere del tempo (anche per lo studioso). Una ricerca totalizzante e passionale, poi confluita nella prima specifica pubblicazione “Ricerche linguistiche a Tursi”, nel 1988, nella quale l’autore contestava “l’interpretazione linguistica di una Lucania riorganizzata secondo un’area frantumata in cinque varietà dialettali, con sistemi fonetici diversi cioè in continuità di un comune territorio latino-romanzo”. Successivamente ha confermato la sua idea di una regione come area dialettale compatta, “la quale solo in epoca medievale, quando è stata attraversata da popolazioni in movimento, ha finito per fissare, proprio nel territorio meridionale, maggiormente andato incontro alla mobilità sociale, un sistema di compromesso, con esiti oscillanti per le stesse vocali etimologicamente uguali”. Se la prima ipotesi penalizzava proprio l’ara dell’antica diocesi di Anglona-Tursi, quella di padre Mancarella sulla “compattezza” consente di risalire all’originario sistema fonetico a sette vocali del romanzo comune”. Esiti non condivisi da altri studiosi (Pavao Tekavcic, Paolo Martino, Francesco Avolio), che hanno approfondito lo schema vocalico e fonetico della cosiddetta area Lausberg. L’articolazione del nuovo contributo linguistico è affidata ad un complesso e diacronico apparato tecnico esplicativo, che ha “utilizzato tutto il materiale raccolto durante la cinquantina di inchieste della Carta dei dialetti italiani, sviluppate negli anni1965-1987 dai ricercatori del Cdi, depositato nell’Archivio Fonetico del Salento (Lecce) e controllato tanto sulle trascrizioni che nelle registrazioni. Anche questi risultati hanno confermato l’assoluta assenza di un sistema a 5 vocali di tipo ‘isolano’ nella Lucania meridionale”. I capitoli si occupano di: suoni e segni, flessione nominale, articolo, pronomi personali, possessivi, dimostrativo, morfologia verbale, relativo e interrogativo, indefiniti, congiunzioni, indeclinabili, lessico tursitano (gli ultimi riguardano la fonetica dei dialetti lucani, dall’unità romana alla distinzione romanza, e l’antica unità continentale del tursitano). Insomma, un libro di non agevole lettura, frutto di grande, accurata e faticosa ricerca, ottimo per ricercatori, studiosi e specialisti, e, forse anche, per il comune lettore che mai ha riflettuto sulla natura storica del proprio linguaggio. Salvatore Verde
|