Tursi - L’agevole grafica e la linearità dei contenuti, in una sessantina di pagine, rendono di facile e breve lettura l’ultima miniguida primaverile sulla Città di Pierro, dal chiaro intento divulgativo. “Tursi turistica ‘a terra d’ù ricorde’ … un po’ di storia, cosa vedere, usi, costumi e tradizioni”, di Sabina Piscopo e Teresa Crispino, con le foto del padre Nicola Crispino (rispettivamente nipote e fratello dell’attuale assessore alla Cultura Francesco Ottomano) è edito dalla Fondazione Sassi di Matera, nell’ambito del “Progetto Tursi”, e diffuso dalla locale Proloco (con il contributo volontario di tre euro). Ottimo negli assaggi di rendicontazione contemporanea, con alcune pregevoli annotazioni descrittive sulla Diocesi e sulle chiese, oltre che sui luoghi caratteristici, contiene anche un buon apparato fotografico, però, penalizzato dall’eccessiva miniaturizzazione. Tuttavia, diverse affermazioni sul piano storico, tanto più senza alcuna indicazione bibliografica e privo di altri riferimenti, sono quantomeno molto avventuristiche e discutibili, compresa l’interessante ed itinerante apertura della Piscopo (analogamente alla chiusura del voluminoso “Tursi La Rabatana”, con la stessa committenza, ma altrettanto incerto sul piano delle argomentazioni storiche locali). Le più evidenti forzature, in mancanza di appurate verità e di acclarate verosimiglianze, necessiterebbero di articolati chiarimenti da parte delle autrici, per comprendere alcune conclusioni che appaiono francamente apodittiche. Infatti, volendo fermarci alle più macroscopiche, se l’affermarsi dello stile barocco risale notoriamente al ‘600, quale ragionamento relativo alla cappella della Madonna delle Grazie, porta a dire “di chiaro stile barocco, costruita tra il XII e il XIII secolo”? Come pure (tralasciando l’abbinamento usualmente solo di buon senso tra il Trittico “giottesco” e la nominazione della Madonna dell’Icona), da dove scaturisce che la chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana, “a tre navate”, sia stata “Cattedra Vescovile fino al 1545”? Un salto pindarico appare, inoltre, la certezza effettiva che fu “il lavoro di artigiani fatti giungere dal paese lucano a costruire ‘Palazzo Tursi’ (con lo stesso numero di gradini della ‘pitrizza’)”, la dimora genovese del Duca Carlo Doria; né si può stabilire che la stessa scalinata fosse “in origine un selciato a gradini di pietre calcaree, poi fatta costruire dallo stesso nobile genovese nel 1600, a sue spese al posto di un pericoloso viottolo”. Diversamente, qualsiasi piccola ricerca su Tursi, e vale per tutti i cultori, rischia di sfociare in una mera ipotesi di rigorosa fantasia. Che, se dichiarata, non va intesa in un’accezione necessariamente negativa. Salvatore Verde
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