Tursi - L’artista Francesco Paolo Pandolfo, 78 anni, si è spento nella Città di Pierro, dov’era arrivato nel novembre del 1967, come collaboratore scolastico della nascente scuola professionale regionale Iniasa, poi Crfp e oggi Ageforma provinciale. “Ciccio”, com’era appellato con affetto, è deceduto nella sua accogliente casa-laboratorio di via Roma la sera di domenica 9 ottobre, mentre infuriava il maltempo. “Da poco addormentatosi, si era risvegliato verso le ore 22 con un malore che pareva superato. Si è seduto appena e mi ha guardato, appoggiando in alto la testa con un lieve rantolo, poi … era già tutto finito”, ci ha raccontato con dolore la signora Caterina, amatissima compagna di una vita. Inutile anche il subitaneo soccorso dei locali sanitari del “118”. “E’ la morte istantanea degli uomini giusti, onesti e sinceri”, hanno ripetuto Salvatore Giampietro e i coetanei della Libera associazione dei pensionati, che frequentava assiduamente da anni nella sede al lato della centrale Cattedrale, manifestando loro fino all’ultimo un impegno civile e politico di rara coerenza. Il giorno dopo sarebbe andato al San Carlo di Potenza “per una terapia molto alleviante”, mi aveva detto alcuni giorni prima, e ci sperava. Era da parecchio tempo acciaccato da malattie sfibranti, che però mai ne hanno intaccato la lucidità, la serena sopportazione con grandissima dignità, e soprattutto la voglia di continuare a disegnare, dipingere e creare. I funerali si sono svolti nella mattinata di martedì con la partecipazione di una piccola folla di parenti, colleghi di lavoro e affezionati estimatori, tra i quali Luigi Caldararo, artista che (lo) stimava. Nell’omelia, il parroco don Battista di Santo ha reso omaggio “ad un uomo mite, gentile, discreto e amante del bello, del giusto e della verità, direi la bontà in persona”. Accompagnata dai figli Marcello e Maria, insegnante di matematica a Camerino, e dalle loro rispettive famiglie, la salma è stata poi trasportata nel cimitero di Garaguso, paese d’origine, dove vive e lavora il figlio. Anche se il sindaco di Tursi Salvatore Caputo gli aveva offerto una targa “al merito” nel dicembre del 2002, per la comunità locale, che non si è ancora resa ben conto della gravità della perdita umana e artistica, è rimasto un “garbato forestiero”. Un talento sconfinato, appassionato ed autentico, affascinato dalla pittura classica e autodidatta, “per questo ho dovuto studiare molto, più di quanto si chieda comunemente ai ‘titolati’, ma l’ho fatto per me, per acquisire la cultura di un metodo”, ci diceva. Centinaia di libri, riviste, ritagli stampa, fanno il paio con la sua sterminata produzione, tra quadri, tele, disegni, schizzi e bozze, molti in bianco e nero, suggestivi e stimolanti. Sono migliaia di pezzi, “forse più degli attuali abitanti di Tursi e Garaguso insieme”, ammetteva sorridendo, tutti ordinati, schedati e raccolti per argomento, temi e figure, da ottimo e generoso collezionista. Ritratti umani, scorci paesaggistici, panorami, scene di vita rurale, riflettono la sua continua ricerca di misurarsi con la perfezione visiva, non a caso, curiosamente, poeti e scrittori gli chiedevano alcune illustrazioni da inserire nei loro libri, riproduzioni “immaginate” soprattutto del tempo passato. “Sento un insopprimibile bisogno interiore di disegnare e di dipingere, con una inesauribile vena creativa che scaturisce dalla vita stessa, anzi, tutto sembra stimolarmi e spingermi a fissarne il senso percepito su foglio o tela che sia”. Mai che abbia pensato di vendere un’opera, ”piuttosto l’ho regalata, perciò non ho mai fatto le mostre: non riesco a separarmene, è come se dovessi abbandonare un figlio, perciò a distanza di anni a volte ho rifatto quadri già realizzati, perché potevo sempre migliorali ed io con loro, è come se le immagini crescessero con me”. Quasi un tentativo di cogliere il senso (del dinamismo) della vita che scorre, apparentandolo al linguaggio del fumetto, mentre descrive la “narrazione di un’esistenza”. Il maestro Pandolfo ha amato Tursi “più di quanto l’amino tantissimi tursitani”, ci confidava sovente, dispiacendosene, “perché è un paese che meriterebbe molto di più, se solo lo si sapesse valorizzare adeguatamente. Infatti, agli intelligenti e ai creativi sensibili non è mai (stato) indifferente, con la sua storia, il suo paesaggio e i suoi volti”, così amava ripetere. Avrebbe meritato pure lui (aggiungiamo noi) un giusto riconoscimento in vita, ma non si può escludere che accada in futuro, perché la sua arte genuina rivela tutta la semplice genialità dell’artista, che abbiamo perduto, per sempre.
Salvatore Verde
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