Tursi - “Ieri mattina ci ha lasciati la signora Wanda, la madre di Tursi. Colei che aveva saputo entrare nelle case di tutti i tursitani, per aiutare le donne nel loro momento più bello e, in parte, anche più doloroso. Con i suoi modi, la sua cordialità e giovialità, era diventata una di noi. Sento di interpretare un sentimento comune dicendole un sincero grazie per tutto quello che ha fatto”. E’ l’incipit dell’omelia fatta nella cattedrale dell’Annunziata dal parroco don Battista Di Santo, durante i funerali svoltisi domenica pomeriggio. Alla cerimonia d’addio hanno partecipato, oltre ai familiari, parecchie centinaia di persone, molti erano anche gli uomini, i mariti. Le diverse generazioni del secondo dopoguerra erano simbolicamente e fisicamente rappresentate. Eppure la notizia della morte di Wanda Bianchini, 71 anni, avvenuta il primo giugno presso l’ospedale di Policoro, dov’era ricoverata da alcuni giorni, aveva colto l’opinione pubblica di sorpresa e solo all’ultimo era giunta la notizia. A tutto ha rimediato il rapido passaparola. Ostetrica diplomata, Wanda, come la chiamavano tutti confidenzialmente, arrivò a Tursi appena diciottenne, nel 1952, “su suggerimento di un parente marchigiano, assistente edile che aveva lavorato in quel periodo alla costruzione della strada che porta a San Rocco e quindi in Rabatana” ricorda Mario Bruno, “Lui si era trovato bene, tanto che sposò poi una tursitana, e così avvenne anche per Lei”. Infatti, iniziò a prestare servizio da subito, e tre anni dopo sposò Rocco Montagna, divenendo poi madre di due figli e assumendo la condotta ostetrica comunale, l’ultima. E’ stato calcolato che ha aiutato a nascere circa cinquemila bambini, prima di concludere la dignitosa carriera professionale, pochi anni addietro, presso l’Asl di Montalbano Jonico, all’ospedale di Policoro, dove le partorienti si recavano nella quasi totalità. Originaria di Fano (Ps) e donna di straordinaria bellezza e intelligenza, con i suoi modi aperti, leali ed irreprensibili ha contribuito non poco allo svecchiamento della mentalità paesana, costretta a confrontarsi con una cultura urbana, nuova e progressista. Fu anche inconsapevole modello per molte signorine del posto, con la voglia di emanciparsi e perciò di aiuto anche per le ragazze madri. Fino all’ultimo con l’abituale sigaretta, per decenni unico momento di ‘riposo’ dopo le continue fatiche del parto casalingo, puntualmente affrontate e superate ad ogni ora e con qualsiasi clima. Allora il paese non era quello che appare oggi, e la sua assenza, comunque, indica ai tursitani la fine di un’epoca storica.
Salvatore Verde
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