Da Francesco Ferrentino,
operaio alla Fiat di Melfi, la storia esemplare del suo licenziamento
assurdo e vergognoso
"Mi chiamo Francesco Ferrentino e
sono, non voglio dire ero, un operaio
della SATA di Melfi. La mia storia è abbastanza comune a molti operai
sindacalizzati del gruppo FIAT, perché diversi tra loro hanno fatto la mia
stessa esperienza. Vado per ordine. Sono entrato in SATA nel 1995. Vengo da
Baragiano, un piccolo paese della Basilicata. Dalla calma piatta mi sono
ritrovato nello stabilimento automobilistico, in quel periodo, più avanzato
d'Europa.
"Il
prato verde" della FIAT che all'esterno richiamava l'idea della massima
produttività, dell'alta tecnologia e di un modo di lavorare nuovo, migliore e
più sicuro. Per noi operai era un manicomio. Ritmi incredibili. Mattina, pomeriggio, notte. Un sistema di
controllo che non ti lasciava respirare. Eravamo tutti giovanissimi, sembrava
di stare di nuovo a scuola, ma senza l'allegria di quel tempo.
Molti mollarono subito,
dopo pochi mesi. Gli altri si adattarono, non erano e non sono molte le
occasioni di lavoro nella mia regione. Qualcuno cercava di organizzare un minimo di
struttura sindacale, ma era complicato. Essere
sindacalizzato più che una garanzia diventava una condanna.
La
FIAT ci ha utilizzati brutalmente fino a che ha potuto, fino a che è riuscita a
controllarci. Poi non ce l'abbiamo fatta
più e siamo scoppiati. 2004, ventuno giorni di sciopero, tutti uniti, compatti.
Quella è stata una liberazione. Mi ricordo che con una piccola tenda mi sono
accampato fuori lo stabilimento e lì sono rimasto per tutta la durata della
lotta. Ventuno giorni di discussioni, solidarietà, ma anche di illusioni. Cosa
ci aspettavamo? Che tutto cambiasse? In
realtà cambiò poco. Qualche soldo in più in busta paga, meno controlli, meno
provvedimenti disciplinari, all'inizio anche ritmi di lavoro più lenti. Ci aspettavamo di più, e allora rimanemmo
delusi. La delusione ci riportò indietro. La forza collettiva che avevamo messo in campo si sgretolò di nuovo.
Ognuno cominciò a pensare ancora una volta solo a se stesso. Solo pochi
rimasero legati all'idea che era possibile difendere i nostri diritti
collettivamente. Io fui uno di quelli. Non
credevo più ai grandi sindacati. Né alla FIM né alla UILM, che nei ventuno
giorni si erano schierati subito con l'azienda, ma nemmeno alla FIOM che si era
accontentata di troppo poco. Neanche
gli altri sindacati "alternativi", allora presenti, UGL e FAILMS, ci
avevano fatto una bella figura. Pensammo che ci volevano altri sindacati e alla
fine, io e alcuni altri, approdammo alla FLMU CUB. Eravamo pochi, ma potevamo almeno fare una coerente politica di difesa
dei diritti degli operai senza avere contro qualcuno del nostro stesso
sindacato. Niente di eccezionale:
qualche sciopero contro i ritmi troppo elevati, per una turnazione meno
disumana e, principalmente, la denuncia sistematica delle situazioni di lavoro
pericolose.
Per la FIAT, però, era già
troppo. Circa un anno fa l'azienda mi ha buttato fuori per un volantino
sindacale a firma del mio sindacato, in cui, oltre ad indire uno sciopero, si
criticava il comportamento di un capo. Ero un delegato dell'RSU e la condotta
della FIAT era apertamente antisindacale. Tanto più che insieme a me furono licenziati in tronco altri due operai, Donatantonio Auria, anche lui appartenente
alla FLMU CUB, e Michele Passannante, direttivo provinciale FIOM. Anche un
terzo operaio, Vincenzo Miranda, dipendente della CEVA Logistics, terziarizzata
Fiat, è stato licenziato. Il motivo di questi tre licenziamenti era diverso
dal mio, anche se questi provvedimenti sono stati tutti presi quasi
contemporaneamente. L'accusa nel loro caso era stata un avviso di garanzia
nell'ambito di un'indagine per attività terroristiche. Per la Fiat era già una
condanna. Già un mese dopo il licenziamento il PM aveva chiesto per questi tre
operai l'archiviazione da ogni accusa, in quanto estranei ad ogni addebito. Archiviazione che fu disposta dal GIP il 28
marzo 2008, eppure la Fiat si è rifiutata di ritirare i licenziamenti.
Io e Auria facemmo ricorso
all'articolo 28, ma i giudici di Melfi lo rigettarono perché, secondo loro,
nonostante io fossi stato eletto dai miei compagni e riconosciuto dalla stessa
FIAT quale rappresentante sindacale, il mio sindacato era poco rappresentativo
e non aveva diritto di denunciare l'azienda per condotta antisindacale. Feci
allora ricorso all'articolo 700, cioè chiedendo il reintegro immediato in
attesa del giudizio definitivo, per i "gravi impedimenti" che il
licenziamento mi stava creando. In prima istanza
lo persi. Solo in appello i giudici mi hanno dato ragione. Nel frattempo è
passato un anno che auguro a pochi. Quando
si dipende dal salario, perderlo è la fine. Ci stavo rimettendo anche la salute
mentale. Poi finalmente il
reintegro. Reintegro per modo di dire, perché la FIAT non mi ha voluto far
entrare materialmente nello stabilimento e ha accettato di farlo solo per
farmi visitare da un medico aziendale, una cosa incomprensibile visto che non
ero un neo assunto, ma già dipendente. Era
tutta una manfrina per perdere tempo e continuare a tenermi sotto pressione.
Pensavo che comunque fosse finita e che, al termine della cassa integrazione,
il 12 gennaio, potessi finalmente rientrare. Invece la FIAT, dopo quattro
giorni dalla riassunzione formale stabilita dal giudice, mi ha licenziato di
nuovo. Motivo: avrei detto il falso nelle dichiarazioni fatte al giudice nella
causa per il mio reintegro. Una cosa assurda. Il mio avvocato mi ha
spiegato che le dichiarazioni fatte al giudice sono sempre legittime, sarà poi
il giudice stesso a darmi torto o ragione facendomi perdere o vincere la causa.
Come può la FIAT, parte in causa,
utilizzare mie dichiarazioni in un processo per motivare un altro licenziamento
per lo stesso motivo? Tanto più che nella sentenza in cui si accoglie il
mio ricorso e si dispone il mio reintegro, i
giudici hanno sottolineato che nei passaggi del volantino incriminato "non
è ravvisabile alcun contenuto offensivo e/o denigratorio". E' palese
che mi si licenzia di nuovo per lo
stesso motivo e che in questo modo la Fiat vuole aggirare la sentenza del
Tribunale di Melfi. La Fiat fa però oggettivamente anche un'altra cosa: opera
un pesante condizionamento del processo penale intentato per diffamazione
contro di me dal capo unità in questione. Quanti dei numerosi compagni di
lavoro finora pronti a testimoniare sulla veridicità dei fatti riportati dal
volantino avranno adesso il coraggio di farlo, sapendo che la Fiat è pronta a
licenziarli sulla base delle dichiarazioni che faranno al processo?
Ora
siamo di nuovo punto e a capo. La FIAT
se ne frega. Ha i soldi e gli avvocati e anche il tempo. Per me, invece,
inizia di nuovo la strada accidentata dei ricorsi legali, l'ansia di perderli,
le ristrettezze economiche.
Perché
vi scrivo questa lettera? Vi scrivo sperando che la mia esperienza, che è
simile a quella di molti altri operai sindacalizzati FIAT, riesca ad essere
conosciuta, che diventi esempio di come si vive oggi sul versante dei diritti
in una grande fabbrica, perché finora,
io e i miei compagni siamo stati degli invisibili e questo ha aiutato la FIAT a
liquidarci nel silenzio generale.
Francesco Ferrentino
Baragiano,
06/01/2009 - Per contatti: cell. 3934336291 - Tel.
0971-993396
La solidarietà dell'amico operaio
a Francesco Ferrentino
La lettera allegata è di un delegato RSU licenziato dalla Fiat a Melfi
ingiustamente per ben due volte nell'arco di 15 mesi. La storia di Francesco Ferrentino di Baragiano non è
sicuramente conosciuta da tutti voi. La sua lettera è stata inviata a molti giornali,
purtroppo solo "Il Manifesto" l'ha pubblicata e solo alcuni stralci sono stati
diffusi dal "Quotidiano della Basilicata".
Molti sono quelli che non hanno il coraggio di
mettersi contro le ingiustizie poste in essere dalle multinazionali come la Fiat
e la colpa di Francesco è stata quella di averlo fatto e di avere difeso i
compagni di lavoro senza accettare compromessi.
Da quando sono rientrato in fabbrica, dopo 14 mesi
di licenziamento, gli operai che incontro mi chiedono "quando rientrerà Francesco
Ferrentino in fabbrica?", gli stessi operai che non hanno avuto il coraggio di
protestare affinché fosse ritirato il suo licenziamento.
Operai sempre più isolati che non protestano per
paura di perdere il posto di lavoro e di ritrovarsi a loro volta sul lastrico
in una regione che non offre quasi nulla se non le ricchezze naturali estorte
dalle multinazionali e espropriate ai cittadini lucani che in cambio ricevono
solo le briciole.
L'auspicio mio è che al di là dei buoni consigli
sui libri da leggere possiate dare anche un contributo fattivo affinché la
storia di Francesco possa uscire dall'isolamento della fabbrica e che quindi
Francesco possa ritornare più presto al suo posto di lavoro.
Donato
Auria - Operaio Fiat di Melfi
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