Fine del mondo o fine di un mondo? Una meditazione per il tempo
di Avvento di don Alessandro Andreini*
Non c'è dubbio: il tempo di Avvento, quest'anno, è stato
segnato in modo tutto particolare da quella previsione, circolante ormai da
molto tempo, per cui la fine del mondo sarebbe ormai imminente. Qualcuno, tre
anni fa, ha avuto addirittura l'idea di farne il soggetto di un film piuttosto
scadente. Ora, però, ci siamo davvero, e pare che, in molte parti del mondo, la
febbre da apocalisse stia raggiungendo temperature altissime. Che dire in
proposito? Non potrebbe trattarsi, anche per noi che, tutto sommato, rimaniamo
piuttosto scettici di fronte ad annunci come questo, di una salutare
provocazione e perfino di una riscoperta di quell'urgenza cristiana che abbiamo
messo un po' da parte?
In realtà, come veniva suggerito in alcuni articoli
comparsi su vari quotidiani alcune settimane fa, sembra che la natura e il
contenuto della profezia Maya, che dovrebbe realizzarsi domani 21 dicembre - ma
anche l'individuazione del giorno esatto a partire dagli antichi testi sacri di
quella civiltà pare assai controversa e discutibile -, siano molto diversi da
come ce li immaginiamo. Non si tratterebbe, infatti, della fine del mondo, ma
della fine di un mondo, più precisamente dell'ingresso in una nuova era: la
fine di un impero dominato dalla violenza e dalla sopraffazione e l'inizio di
un'era in cui si affermeranno i miti e i poveri, coloro che sapranno rinunciare
al superfluo e riusciranno ad abbracciare un nuovo stile di vita segnato dalla
sobrietà e dalla condivisione.
Non, dunque, la fine del mondo, ma il crollo, la fine, la
consumazione di un certo modo di stare al mondo. E non sarebbe questo, dopo
tutto, il cuore dello stesso annuncio evangelico sul quale proprio il tempo di
Avvento ci invita a meditare? Del resto, sappiamo che Gesù stesso non ha
disdegnato di ricorrere al cosiddetto linguaggio "apocalittico". Anche il
pacifico e mite Maestro di Nazaret ha parlato di oscuramento del sole e della
luna, della caduta di stelle dal cielo, di angoscia di popoli in ansia, paura e
attesa di ciò che dovrà accadere. E ci ha invitato a stare attenti, perché
proprio quando si verificheranno questi segni potremo essere certi che la
nostra liberazione sarà finalmente vicina.
In effetti, quali altre immagini riuscirebbero a descrivere in
modo adeguato la straordinaria novità che la sua proposta di vita ha portato
nel mondo, ponendosi in aperto e perfino drammatico contrasto con il vecchio
sistema di vivere ormai testato da secoli e capace, al di là di momentanee
turbolenze, di dare al mondo una certa stabilità? Né c'è da sorprendersi che
sia finito presto sul patibolo un uomo che si è messo in testa di riconoscere
atutti, ma proprio a tutti, la dignità che ci appartiene, che ha insegnato a
rispettare tutti, a venerare addirittura la libertà della coscienza di tutti,
rivelando agli uomini e alle donne la loro libertà, la sacralità della loro
persona e della loro coscienza!
Se ci si pensa bene, in effetti, si oscurano davvero il sole e
la luna quando accade che gli uomini e le donne del mondo si risvegliano e
cominciano a prendere coscienza della propria dignità e della propria libertà:
si spengono - diventano cioè irrilevanti, inutili, perfino ridicoli - i grandi
sistemi di condizionamento delle coscienze umane, gli spettacoli di potenza e
di affidabilità che continuamente ci vengono messi di fronte per convincerci
che va bene così, che è meglio non occuparsi direttamente delle cose, che
possiamo starcene comodi sui nostri divani tanto c'è chi pensa e organizza per
noi. Cadono davvero le stelle dal cielo, astri che hanno attirato l'attenzione
per qualche giorno, qualche ora, presentandosi come i salvatori del mondo,
salvo poi scoprire che hanno semplicemente cercato di salvare se stessi. Ed
ecco, invece, sorgere le vere stelle, i veri astri, come si legge nella
profezia di Daniele: «i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento;
coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle
per sempre».
Come al solito, l'annuncio di Gesù punta all'oggi della nostra
vita: «In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto
questo avvenga». Appunto, come sembra suggerire la stessa profezia maya: non la
fine del mondo, ma la fine di un mondo, un nuovo inizio, l'alba di un mondo
nuovo. Poiché la storia ci dice che nessuna fine del mondo è accaduta all'epoca
di Gesù - né accadrà certo il 21 dicembre! -, è chiaro che qui si tratta
proprio dell'affermarsi di un modo nuovo di stare al mondo. Dell'annuncio che
il mondo fondato sulla violenza e sull'ingiustizia forse sopravvive ancora
negli angoli oscuri della storia e nelle menti contorte di tante persone
malate, ma è ormai definitivamente smascherato. Da che Gesù è venuto nel mondo,
nulla è più come prima. Da che nel nostro cuore fioriscono pensieri di pace e
di fraternità, da che, misteriosamente, vi si accende la luce e la forza dello
Spirito, la nostra vita cambia: davvero, non passerà questa generazione, prima
che io mi sia incamminato in una vita nuova!
Del resto, la tradizione cristiana da secoli canta proprio il 21 dicembre
un'antifona - una delle grandi antifone che ritmano la conclusione dell'Avvento
- che parla precisamente del nuovo inizio, della luce nuova che illumina ogni
uomo: «O Astro che sorgi, splendore di luce eterna, sole di giustizia: vieni,
illumina chi giace nelle tenebre e nell'ombra di morte!». Non ci resta che
accogliere la novità di questa luce e lasciare che finisca il mondo vecchio e
ripetitivo della violenza e della paura perché cominci anche in noi il mondo
nuovo della pace e del dono di sé. Davvero: non la fine del mondo, ma la fine
di un mondo!
* Don Alessandro Andreini, consulente ecclesiastico Unione Cattolica Stampa Italiana Toscana
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