Generazione 500 e quelli che
vanno di fretta
Si
aggira nelle nostre cittadine una generazione di 27-30enni, il passo è sempre svelto
perché, dice qualcuno, "c'è sempre da fare". E ci sarebbe molto da fare, ma non
sempre capita. Sembra che abbiano fretta, anche quando si salutano per strada, ma,
secondo qualcun altro, è solo apparenza. Quelli che una occupazione bene o male
l'hanno trovata difficilmente raggiungono al mese i mille euro. E così altrove
viene definita "Generazione mille euro". Eppure in questa regione, ci dicono
non senza sconforto e un allusivo sarcasmo, "se non si è protetti o ben
indirizzati, nemmeno ai cinquecento euro mensili si arriva".
Protetti
vuol dire che il concetto antropologico di Banfield sul familismo
amorale è
tuttora vigente? "Altro che sconfitto, nemmeno il modernismo e una
cultura più
matura di cui sarebbero dotate le nuove generazioni riescono a
scalfirlo". E'
quanto afferma il 31enne Sandro, con laurea in Lettere. " Ma non sembri
la
solita lamentela" ribatte un neolaureato di Matera.
"Ma si
corre per strada - ci rammenta Mino - anche per un'altra ragione: il
30enne,
magari con una laurea e che non ha ancora trovato lavoro, quando
incontra un suo
amico o coetaneo, lo saluta frettolosamente; ma è solo per nascondere il
ritegno
del proprio status di disoccupato, ed evitare di esporlo. Atteggiamento
opposto
invece da parte di chi un lavoro l'ha trovato e ne ostenta la stabilità.
E'
questo il mercato del lavoro, lo stato delle cose: disoccupati, precari,
stabilizzati.
"In
questa regione - interviene un 35enne di Potenza - convivono una
generazione di
18-20enni e quella di 33-35enni. Vi è un salto generazionale, con un
vistoso buco
intermedio. E ciò è dovuto al fatto che molti dei neodiplomati si
iscrivono
alle università di altre regioni e solo una bassa percentuale fa
ritorno,
atteso che in regione abbia già un posto predestinato oppure spera di
trovarlo".
Un
buco generazionale, dunque, di quelli che pure si sono verificati (ma in
misura
meno visibile) nelle passate generazione, almeno a partire dagli anni
‘70. Ma
allora vi erano condizioni diverse, la disoccupazione intellettuale
(così la definivano)
era una costante, con l'adattamento ad altre soluzioni lavorative
rispetto
all'indirizzo dei propri studi. E quindi, fra un adattamento e l'altro,
fra
concorsi pubblici e terziario, i 45-50enni di oggi una identità
lavorativa
l'hanno ricavata. Molti erano i diplomati, meno i laureati: biologi e
geologi (ad
esempio) hanno spesso trovato da insegnare matematica e scienze alle
medie e
alle superiori. Geometri, periti e maestri si sono ritrovati spesso a
fare gli
impiegati pubblici. Un arcipelago di occupati e non sempre soddisfatti.
La
legge 285/1977 contribuì all'assorbimento.
Da
almeno un quindicennio i giovani maturano una nuova coscienza, con la
consapevolezza che non solo la regione sta stretta, ma addirittura la
nazione.
In molti vanno via per costruirsi una carriera che assecondi le proprie
aspirazioni. E spesso realizzano i propri sogni: vi sono giovani lucani
ai
vertici di banche in Inghilterra, altri in aziende pubbliche in Spagna e
Francia, altri persino in Svezia nel web-marketing, altri addirittura
negli
Stati Uniti come ricercatori. "Al di là delle retribuzioni, sono le
soddisfazioni che diventano appaganti", conferma Piero.
E' giusto
che vi sia una maggiore circolazione di idee (favorite anche dagli
Erasmus), un
interscambio di esperienze ed una approfondita conoscenza delle lingue e
dei
costumi. Ma, concludono due giovani materani, il fatto di andare via non
rappresenti un alibi specie per la nuova classe politica, e lasciar le
cose
come stanno. Perché, dagli anni ‘70 in poi, le cose in questa regione
sono
radicalmente cambiate. Oggi vi è una maggiore presa di coscienza in
termini di
risorse naturali (acqua, gas, petrolio, agricoltura), in termini di
consapevolezza del territorio e della sua cultura (turismo, beni
culturali,
prodotti di origine controllata). Fra una disillusione e l'altra
(tirocini
formativi, convenzioni con favoritismi specie nella sanità), Giulio
insiste su
una inversione di rotta. Perché, quelli che restano e hanno voglia di
viverla
questa regione, "intendono non dare tregua, incalzare la classe
dirigente
perché sostenga le determinazioni giovanili". Hanno fretta nei loro
passi, ti
salutano quasi di corsa perché - lasciano comprendere - non c'è più
tempo da
perdere. "Diamoci tutti da fare".
Armando
Lostaglio
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