Il grande poeta tursitano Albino Pierro ha reso immortale il dialetto del suo paese
Albino
Felice Pierro nacque nella Rabatana di Tursi il 19 novembre 1916, da Salvatore
Pierro e Margherita Ottomano. I Pierro erano una famiglia di benestanti e abitavano
nel loro palazzo (u pahazze). Albino
ebbe un'infanzia triste.
La morte prematura della mamma gli lasciò una grande
ferita, la sua vita fiorì nella solitudine e una profonda malinconia lo
accompagnò sempre. La sua immaginazione fu simile a quella del Leopardi: "Mia madre, morì poco dopo la mia nascita. La
mia nutrice non aveva quasi latte. E mi
davano alle donne del paese, madri fresche, per una poppata. Ancora oggi,
quando torno a Tursi, incontro vecchiette che mi ricordano il debito: Don
Albine, io vi ho dato il latte".
Il poeta per tutta la sua vita, sognerà
le braccia della madre che mentre moriva lo stringeva al petto. In una delle
sue più belle poesie in dialetto tursitano ricorda quell'evento con parole
forti e ricche di dolcezza: "Ma ié le
vògghie bbéne 'a Ravatène / cc'amore ca c'è morta mamma méie: / le purtàrene
ianca supr' 'a sègge / cchi mmi nd'i fasce com'a na Maronne / cc'u Bambinèlle
mbrazze. / Chi le sàpete u tempe ch'è passète... / e nun tòrnete ancore a lu
pahàzze".
Finché era nei confini casalinghi, il giovane Albino era
obbligato a parlare italiano, quello gentilizio di una famiglia che
daràraffinati giuristi e professori. Fuori delle mura, per le vie del suo amato
paese, c'era il dialetto. "E io ne ero
incantato - dice il poeta -. Mi
piaceva ascoltarlo dai contadini, nei loro racconti". Il suo paese natale, i
burroni odorosi d'argilla, gli asciutti torrenti e le scarne colline, la luna e
il cielo stellato, tutto questo arricchisce il suo animo solitario. Il poeta racconta
che venne dato per morto: "Mi
avevano già vestito e messo nella bara. La nutrice disse d'aver udito, il grido
di mia madre morta. All'improvviso tornai a vivere".
Questo è quanto venne
raccontato ad Albino dalle sue due zie Assunta e Giuditta, che lo allevarono
dopo che il padre si risposò in terze nozze. A peggiorare il suo stato d'animo
fu una malattia agli occhi, a cinque anni quasi cieco, fu costretto a stare per
lunghi periodi al buio, così imparò a suonare il mandolino. Un oculista,
a Roma, scongiurò il peggio: "Il
ragazzo potrà leggere tanto da diventare professore universitario, non cieco",
questo il dottore riferiva alle sue amate zie.
La biblioteca di casa, e ancor
di più quella dei Capitolo vicini e parenti stretti, contribuirono alla
formazione del poeta, leggeva Shakespeare, i francesi, ma i russi lo
hanno formato, leggeva Dostoevskij. Il palazzo dove il giovane Albino ha
vissuto è circondato da inaccessibili burroni, di notte si sente il fruscio del
vento, il canto delle civette lo cullano. Soffrì quando dovette trasferirsi,
per continuare gli studi, prima a Taranto, poi a Salerno e a Sulmona.
A
Tarvisio conobbe Waldi: "Aveva
fatto il giro del mondo, conosceva dieci lingue, ma vestiva di stracci e
scriveva elogi funebri a pagamento. Mi insegnò il tedesco". Quell'incontro
arricchì il suo animo spingendolo ancora di più nel suo amore per la natura. Si
innamorò con passione d'una ragazza che, in seguito, si fece suora. Passava
giornate nella soffitta di Waldi a leggere le Confessioni di Sant'Agostino o la Bibbia in tedesco.
Nel 1939 approda a Roma, dove si stabilisce
definitivamente. Nel 1944 consegue la laurea in Filosofia ed inizia ad
insegnare Storia e filosofia nei licei. Negli anni Quaranta, già allietati per
il poeta dalla nascita della figlia Maria Rita, inizia la sua collaborazione
con le riviste "Rassegna Nazionale" e "Il Balilla", frequentava centri
culturali, conobbe scienziati e letterati. Viveva una Roma martoriata dalla
guerra, ricorderà per sempre la paura che leggeva negli occhi della gente
mentre attraversava la città con sua moglie e la figlioletta stretta fra le
braccia.
E scriveva tanto. Ma in italiano. Ricordiamo i suoi versi immortali in
opere come Liriche, Mia madre passava, Il
transito del vento, Il paese sincero. Il 23 settembre 1959, accadde così
senza volerlo, scrisse di getto la prima poesia in dialetto tursitano, sei mesi
dopo era pronta la prima raccolta in dialetto intitolata A terra d'u ricorde. Il poeta stesso non riesce a capire il perché
di questa sua scelta: "I critici cercano
di capire com'è nata questa mia nuova lingua. Io non lo so. C'era in me il desiderio
di fare poesia e quello che mi urgeva dentro nacque in dialetto. Ma la mia
volontà, in questo, non ebbe nessuna parte. Perché un giapponese scrive versi
in giapponese?".
Sulla lingua scritta per la prima volta da Pierro, il Dipartimento
di Lingue di letterature romane e della Scuola Nazionale di Pisa ha pubblicato Le Concordanze, un dizionario costruito e
formato da tutte le parole pubblicate nei libri di Pierro. Solo il Porta e il
Belli avevano avuto un simile omaggio. A Stoccolma viene organizzata una serata
in suo onore, le sue poesie recitate per due ore in dialetto tursitano. Fu
consacrato fra i grandi lirici del novecento italiano da critici come
Gianfranco Contini e Gianfranco Folena.
Le sue opere sono pubblicate in
inglese, francese, persiano, portoghese, spagnolo, romeno, arabo, neogreco,
olandese e svedese. Nel 1976
ha vinto il "premio Carducci" per la poesia. Alla
fine degli anni Ottanta fu vicino del Premio Nobel per la Letteratura. Le
raccolte I'nnammurète e Metaponto, sono entrambe del 1963, ma
ristampate nel 1966 in
un unico volume, escono quindi Com'agghi'a
fè (1977), Ci uéra turnè (1982), Si po' 'nu jurne (1983), Un pianto nascosto (1986). È uscito
postumo Nun c'è pizze di munne che
costituisce l'apice della sua lirica in dialetto tursitano.
Il 23 marzo 1996,
ad un anno esatto dalla scomparsa, il Consiglio comunale ha proclamato Tursi
"Città di Pierro" e intitolato a lui l'Istituto Comprensivo di scuola
dell'Infanzia, Primaria e Secondaria di Primo Grado. Al comune di Tursi sono
stati poi donati la casa e la biblioteca contenente migliaia di libri.
Tursi, fra
le sue vie, nella struttura architettonica dei suoi antichi palazzi, nel suo
incantevole paesaggio, circondato da rosei calanchi, mostra i segni di un
glorioso passato, la cultura si nasconde negli anfratti delle vie di questo
borgo che con la sua bellezza atavica e misteriosa ha affascinato il poeta fin
dai suoi primi anni di vita. Tursi è la patria di uno dei più grandi poeti
dialettali del Novecento: Albino Pierro.
Antonella
Gallicchio
SE ME NE ANDRO' PRIMA DI TE
Se me ne andrò prima di te,
sentirai come soffoca il cielo vuoto
com'è infinitamente triste la pioggia
e come uccide la primavera
con i suoi campi invasi da passeri morti.
Un'anima ti canterà nel vento
il cielo che ti aveva sognato.
ALBINO PIERRO
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