Il libro "Se la catena non si spezza" di Franco Santamaria recensito da Monica Borettini
Da anni ormai i telegiornali di alcune emittenti televisive ci hanno abituati ad una disgustosa spettacolarizzazione degli eventi di cronaca. Li hanno conditi e infarciti di orpelli ed elementi esornativi straripanti aggiungendo colonne sonore strappalacrime e microfoni in fallica, violenta attesa, puntati contro i volti di chi non ha più lacrime né parole. Commenti romanzati, esasperati con il solo scopo di ottenere ascolti record, non preoccupandosi minimamente di calpestare la dignità della persona umana (sia essa vittima o carnefice).
Franco Santamariacon il suo libro "Se la catena non sispezza" ha fatto esattamente il contrario e per questo, a mio avviso,merita ammirazione certa. Partendo da fattidi cronaca indissolubilmente legati alla sua terra, per la quale sente un amoreviscerale e per la quale intende combattere una guerra personale, confortatadal supporto della sua arte pittorica, letteraria e poetica, ha smontato dall'inutileimpalcatura fuorviante ed umiliante, storie crude, appassionate, vere,violente. Ci regala così un saggio illuminante - introiettato in una sorta diliturgia precisa e puntuale - sull'ignoranza, sulla follia, sull'indifferenza,di quella società che vive ai margini, che da secoli viene calpestata senzapossibilità di riscatto.
La costante diFranco Santamaria sembra (come ebbi modo di rimarcare in un'altra miarecensione sulla sua opera) volersi consolidare sulla "generosità" di volerdare voce ad un certo tipo di comunità alui tanto caro, che non ebbe mai la forza nè la possibilità di prendere laparola. Questi personaggi passati attraverso il fuoco, le spine e i chiodiapparentemente senza moralità, nè pietà alcuna, trasudano una luce radente, soffocante,un'angoscia di fondo che tinge la pagina di un cromatismo inquietante. FrancoSantamaria è un pittore e si vede, si sente. Tratteggia infatti con padronanzadi impostazione tecnica, una violenta simbologia che mai si sottraeall'esternazione descrittiva di denuncia, di una tensione panica, dalle tintemai ammorbidite.
E non concede un attimo di respiro allettore, il quale trovandosi immerso nel magma in fermento di questa prosa scarna, secca e prepotente, altro non puòfare che costringersi alla riflessione.Interrogarsi con lucidità ferina. Imbotolato nella ricerca di quei perchéirrisolti, che creano l'astuta, malvagia drammaticità di certe vicendeumane, dal sapore quasi animalesco. In un paesaggio totalmente privo difluttuazione onirica, di buonismo, di comprensione, i personaggi si muovono trale pietre aguzze e il rosso del sangue: crudi, corrosi, sfiancati protagonistidi una nudità palpabile.
Uomini, donne,fanciulli, bambini che azzannano loro malgrado, l'osso bianco dell'infelicità: ildolore fisico e psichico. Essi sono ben consci che la rassegnazione è la lorounica via di sopravvivenza. Paiono fantasmi di pianura, di colli erbosi eodorosi che hanno quasi paura a respirare, nel rigore di un silenzioprospettico, che ben poco lascia alla speranza. Non sanno che per essere vivi,alla fine, bastano davvero poche cose: prendere coscienza di ogni battito delcuore e utilizzarlo per amare qualcuno e poi la sana, affettuosa curiosità peril mondo e i suoi misteri.
In tutto questo si avverte, la rabbia delnarratore, la sua voglia di aiutarli, di abbracciarli in un largo e morbido"pallium" che li conforti, che li riscaldi. Franco Santamaria ha modalitàtrasparenti e schiette che non si fanno contaminare da inutili gestualitàsceniche né d'effetto.Non manca una certa ironia di fondo cheseppur per brevi tratti, stemperando la drammaticità del testo, ci strappa unsorriso un po' amarognolo.
Santamaria conosce la potenza della parola, la suasacralità e la maneggia con una certa cura. La scompone, la riduce fino a fareemergere la sua sostanza più cruda e impietosa a cui regala nuova forzacombattiva e profondità di riscatto.Con la parola si può fare molto e FrancoSantamaria lo sa bene, così come i suoi personaggi, che ci guardano con insistenza,con una tenerezza urlata, dal fondo sporco del nostro io più nascosto, cheattende, che pretende, un'attenzione altra. Il nostro tutto, ciò che accende ildesiderio è di non restare indifferenti, di vigilare continuamente per nonlasciare che il vuoto rimanga tale e ci invada.
Monica Borettini,critica letteraria, scrittrice
Franco Santamaria,Se la catena non si spezza
Prefazionedi Letizia Lanza, Postfazione di Pasquale Matrone
BastogiEditrice, Foggia 2005 - ISBN 88-8185-815-5, € 8,00
BastogiEditrice Italiana, Via Zara 47, 71100 Foggia
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