Natale chiude il ciclo festivo dell'annualità
morente e apre le porte al nuovo anno, rincuorando la gente che spera in un lieto
avvenire. La datazione natalizia fa riferimento al testo del profeta Malachia (3.20), che parla del sole di
giustizia, identificato dall'esegesi con Gesù
Cristo, e ciò spinse i cristiani a celebrare la nascita del Salvatore lo
stesso giorno, quando i pagani festeggiavano il sole invictus, la rinascita solare, poiché, superato il solstizio
invernale, i giorni incominciano ad allungarsi di nuovo. Un'altra ipotesi
collega il giorno a quello del 25 marzo, festa dell'Annunciazione, ossia del
concepimento del Figlio di Dio. L'osservanza del 25 dicembre risalirebbe al
tempo di Papa Liborio (IV secolo) e
da Roma si diffuse rapidamente nelle
altre chiese occidentali. Nell'oriente si festeggiava il 6 gennaio, così come
avviene oggi nel culto ortodosso.
La
Natività è attesa con gran fervore da coloro che serbano nel cuore l'autentica
fede religiosa, ma anche da una varia umanità secolarizzata (nell'Occidente industrializzato
si incrementa molto l'attività commerciale, spendendo non soltanto la
tredicesima nei regali o per acquistare prodotti necessari e altri più o meno voluttuari).
La nuova generazione, vissuta e attratta dal benessere economico e dal progresso
tecnologico, spende e spande facilmente, per soddisfare i propri desideri
effimeri.
Pur consapevole dei nuovi usi e costumi natalizi, intendo
parlare del Natale di oltre sessanta anni addietro, all'epoca dei nostri nonni
e genitori, quando la festa era vissuta senza sfarzo e consumismo ed era ricco
di religiosità, di affetti genuini e di valori imprescindibili. I ragazzi di
famiglia proletaria aspettavano con ansia il Natale per indossare il nuovo
modesto abitino, ricevere qualche piccolo regalo e farsi una buona mangiata di
frittelle (crespelle e panzarotti), tipici alimenti del
periodo. Le nostre nonne e madri, l'antivigilia della festa prendevano la
farina di grano tenero e acqua tiepida per preparare con gran maestria e sudore
della fronte la pasta. In attesa della lievitazione sotto calde coperte,
facevano un altro tipo di pasta per produrre i famosi calzoncelli. Mediante il matterello di legno venivano spianati dei
pezzi di pasta, sino a farne delle grandi sfogliate sottili. Sulla metà di esse
si collocava il condimento, porzioni d'impasto zuccherato di ceci cotti o
castagne lessate e sbucciate, poi si coprivano con l' altra metà della
sfogliata e ritagliate. Con la stessa
sfogliata si facevano altri tipi di frittelle, i guanti, cosparsi di zucchero o di miele dopo la cottura.
Le donne prendevano
una grossa padella di rame, la riempivano d'olio d'olivo e la deponevano sopra
al treppiede, sotto al quale ardeva continuo il fuoco di ramaglia secca. All'avvenuta
bollitura dell'olio, le donne prendevano la pasta lievitata, poco alla volta in
piccole porzioni e dopo essere state trasformate
in larghi anelli, le immergevano nell'olio bollente. Porzioni della stessa
pasta, ma in forma allungata, venivano arricchite con gusto da acciughe e fette
di peperoni secchi, poi inumiditi in acqua calda. All'ultimo si friggeva del
baccalà polposo (ricordo che durante la frittura era vietato bere, ritenendo
tale atto contrario alla buona cottura
delle crespelle).
Tute le specialità venivano messe dentro grossi
piatti fondi o cestini di vimini, per essere poi mangiate al momento più opportuno.
Allora c'era l'usanza di offrire crespelle a familiari ed amici colpiti di
recente da un evento luttuoso, i quali si astenevano da preparare libagioni
sfarzosi. La sera della vigilia le famiglie si riunivano per cenare,
sistemandosi intorno al tavolo o accanto al camino sempre acceso, alimentato
dal tradizionale ceppo natalizio, e in un clima di allegria e di buon appetito
facevano una scorpacciata di crespelle, di castagne arrostite e fichi bianchi
secchi o con la mandorla in mezzo.
Dopo le ore 22, il suonare a lungo delle campane
della Cattedrale e della chiesa di S. Maria Maggiore in Rabatana, chiamava a
raccolta le genti per assistere alla funzione religiosa. Subito dopo grandi e
piccoli uscivano dalle case e si incamminavano. Per ripararsi dal freddo, i
ragazzi e le ragazze indossavano modesti
abitini laboriosi e cappellini fatti all'uncinetto. Le donne anziane e giovani
si coprivano la testa e le spalle con un pesante scialle scuro. I maschi
anziani portavano ampi mantelli, pesanti e scuri, arrotolati sulle spalle ed il
cappello di feltro scuro con larga falda. I giovani, vigorosi e resistenti al
rigore invernale, facevano uso di indumento meno ingombrante e di coppola alla
siciliana, per ostentare il fisico atletico, che attirava l'attenzione delle figliuole
in cerca di marito. Io insieme ai
genitori e ad altri familiari preferivo andare alla chiesa della Rabatana, dove
fui battezzato e dove si poteva ammirare un artistico presepe. Il Prevosto Don Salvatore Tarsia, assistito da
chierichetti, celebrava con grande impegno il rito religioso. Verso mezzanotte,
dopo le rituali preghiere, ad un segnale convenuto, qualcuno faceva scorrere lentamente
su un filo di corda, sospeso lungo la navata centrale, una piccola stella, che partiva
dall'ingresso principale ed andava a fermarsi sull'altare maggiore. Dopodichè il
celebrante annunciava la nascita di Gesù Bambino, prendendo fra le mani un bambinello
di cera e lo innalzava in segno di giubilo e di devozione .I fedeli, osannanti,
onoravano la sacra immagine, intonando in coro la canzone "Tu scendi dalle
stelle", accompagnati dal suono delle zampogne.
Al termine della Santa Messa, i fedeli rendevano omaggio
al Bambinello deposto nel presepio e poi si salutavano affettuosamente,
scambiandosi gli auguri. Rientravano alle rispettive case, felici, contenti e
sonnolenti . Nella cattedrale la cerimonia religiosa era più solenne, perché vi
partecipavano il Vescovo, i sacerdoti del capitolo, le autorità comunali e molti
fedeli. Il giorno della festa era preparato un buon pranzo, costituito da
fusilli fatti in casa, conditi con gustoso sugo di pelati e pezzetti di carne di
bovino o di castrato, oppure di salciccia casereccia. Per secondo si mangiava
un po'di carne d'agnello, oppure un buon pollo ruspante arrostito alla brace o
cotto al forno insieme alle patate, con modesto contorno d'insalata verde o di
verdura cotta. Il tutto innaffiato da buon bicchiere di vino di produzione
propria o acquistato presso le cantine pubbliche delle sorelle VINCI, MONTAGNA E MARCIANTE. La
festa terminava felicemente con la visita ai parenti ed alle fidanzate dei
giovani futuri sposi, che si inebriavano di bicchierini di liquore e di gustosi
dolcetti.
Natale non si festeggia solo abbuffandosi di
libagioni, scambiandosi regali e divertendosi in famiglia o nei locali pubblici,
ma si deve vivere con intensità, riflettendo soprattutto sul vero significato
religioso, per onorare sinceramente la nascita di Gesù e farne impegno di
riordinare la propria vita conformemente alla volontà di Dio e
dell'insegnamento di Cristo. Formulo di cuore l'augurio di buon Natale e
Capodanno ai parenti ed a tutti i compaesani, ai quali raccomando concordia,
unità, correttezza e di operare per la pace ed il bene comune. Un commosso e
rispettoso pensiero rivolgo alla memoria di tutti coloro, che ci hanno
lasciato, augurando loro la pace dell'anima ed il godimento della sfolgorante luce
di Dio.
Francesco D'ERRICO
|