Isabella Morra di Valsinni, poesia e tragedia del XVI secolo. Ma sono tanti coloro che di notte vedono la sagoma di Isabella al di sopra dei bastioni
"Essere poeta non è mai
stato facile, figuratevi esserlo nel 1500", con queste parole Alessio Lega
narra la vicenda della triste fine di Isabella di Morra, la bella poetessa
petrarchesca lucana del XVI secolo, tenuta prima prigioniera dai fratelli nella
rocca di Favale (Valsinni) e poi da loro sgozzata per la relazione che ella
aveva con un nobile spagnolo, Diego Sandoval de Castro.
Isabella nacque molto
presumibilmente nel 1520, era la terza di otto figli di Giovanni Michele Morra
e di Luisa Brancaccio. Condusse una vita infelice e inquieta nel castello di
famiglia, una severa rocca sulla valle del fiume Siri, oggi Sinni, sognando la
corte francese. Gli altri figli furono Marcantonio, Scipione, Decio, Cesare,
Fabio, Porzia e Camillo.
Dopo la sconfitta delle truppe di Francesco I di
Francia, di cui il padre era alleato, e la vittoria di Carlo V, per il possesso
della penisola, il genitore fu costretto a emigrare a Parigi, nel 1528, assieme
al secondogenito Scipione. Il feudo di Favale passò alla Corona di Spagna,
per essere successivamente affidato al primogenito Marcantonio.
Isabella
manteneva una segreta relazione con Diego Sandoval de Castro, poeta spagnolo
e barone di Bollita (l'attuale Nova Siri), inviandogli messaggi e versi
tramite il suo pedagogo. Scoperta la cosa, i fratelli di Isabella uccisero lei
e il suo pedagogo nel 1546. Poco più tardi, in un agguato nel bosco di Noepoli,
ammazzarono anche Diego Sandoval, per poi fuggire in Francia.
La giovane donna,
certa della morte che i fratelli le daranno scorge il mare aspettando il padre
o qualcuno che venga a liberarla: "Sopra la rocca c'è Isabella, anima mia, ha
chiuso gli occhi e vede il mare. Messa in prigione su una stella, bella mia, chi
vuol venirla a liberare?". Di che natura fosse la relazione tra don Diego e
Isabella, rimane ad un mistero. Certo si sa che le lettere che lui
spedì ad Isabella furono inviate a nome di sua moglie, Antonia Caracciolo, sposata
per procura e amica di lei. Perdute invece restano le risposte di Isabella a
Diego.
Che si trattasse di una relazione sentimentale o di una semplice
amicizia intellettuale i fratelli ne furono informati, così Decio, Cesare e
Fabio decisero rapidamente di porre fine al rapporto uccidendo prima la sorella
e poi il nobile spagnolo. Alcune fonti anglosassoni ipotizzano che fu picchiata
a morte, mentre altre fonti italiane indicano che fu pugnalata. Don Diego,
temendo che la vendetta si abbattesse su di lui, si munì invano di una scorta:
i tre assassini, con l'aiuto di tre zii, gli tesero un agguato vicino al bosco
di Noepoli, lo attesero per tutta la notte e lo uccisero.
L'omicidio di
don Diego de Sandoval provocò, all'epoca, dure reazioni molto più ampie che non
l'uccisione di Isabella. Nel codice d'onore del XVI secolo, infatti, era
ammissibile lavare col sangue il disonore arrecato alla famiglia da uno dei
suoi membri, specie se donna. Per questi motivi, i tre fratelli furono
costretti a fuggire in Francia, dove raggiunsero Scipione e il padre. Di Fabio
non si hanno notizie certe, Decio si fece prete e Cesare sposò una nobildonna
francese. Marcantonio non prese parte al delitto, fu imprigionato per alcuni
mesi e in seguito rilasciato. Camillo, l'ultimogenito, fu invece completamente
assolto dall'accusa di complicità nel delitto.
Secoli dopo, nel 1928 il
filosofo abruzzese Benedetto Croce, si interessò della vicenda e pubblicò il
saggio "Storia di Isabella Morra e Diego Sandoval De Castro", che di fatto
riportò alla luce la storia e la poesia di Isabella. Croce fece effettuare scavi
alla ricerca delle spoglie della giovane donna, senza ottenere risultati, tanto
che ancora oggi non si conosce dove sia ubicato il corpo di Isabella.
Questo ha
alimentato fantasie, miti e leggende, come quella del fantasma della poetessa che,
non avendo ricevuto degna sepoltura, vaghi ancora per le stanze del castello.
Ma sono tanti coloro che di notte vedono la sagoma di Isabella al di sopra dei
bastioni.
Salvatore Verde
I FIERI ASSALTI DI
CRUDEL FORTUNA
I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo, piangendo la mia verde etate,
me che 'n si vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate,
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna;
e, col favor de le sacrate Dive,
se non col corpo, almen con l'alma sciolta,
esser in pregio a più felici rive.
Questa spoglia, dove or mi trovo involta,
forse tale alto re nel mondo vive,
che 'n saldi marmi la terrà sepolta.
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