L'ECCIDIO DI
RIONERO IN VULTURE DEL 1943, NELLA POESIA DI ANTONIO PALLOTTINO, UN PREMIO NELLE
SCUOLE PIEMONTESI
Rionero
in Vulture. Il libro di poesia "L'acetosa sollevò il capo" di Antonio
Pallottino - edito da Lacaita nel 1997 - sarà oggetto di analisi per gli
studenti piemontesi nel Premio Scolastico Basilicata, indetto dall'Associazione
culturale di Chieri "Amici della Lucania". Il concorso vede coinvolte le
scolaresche delle Medie inferiori e superiori di Chieri, Andezeno, Riva,
Cambiano, Santona, Pino Torinese e Precetto, nella cintura del capoluogo
piemontese. La premiazione avverrà nel Comune di Chieri il prossimo 9 maggio.
Una
illustre iniziativa e per lei una notevole soddisfazione, prof. Pallottino. Una
sua considerazione.
"Ogni
anno il concorso Premio Scolastico
Basilicata è centrato su uno scrittore lucano. Quest'anno è stato dedicato
alla mia poesia dell'Acetosa sollevò il
capo, poesia civile, a ricordo degli inermi cittadini rioneresi
barbaramente trucidati dai nazifascisti nel settembre del 1943. E' motivo di
grande soddisfazione, e non tanto per il fatto che c'è chi presta attenzione
alla mia produzione letteraria. E' la prima volta che l'eccidio rionerese entra
nei circuiti della memoria storica della Resistenza, e dunque della storia
nazionale".
-
Il libro (almeno la prima edizione) è un
cofanetto d'arte tout-court: la sua poesia estremamente elevata quale momento
culmine di pathos; quindi l'arte del pittore rionerese Giovanni Brenna; la
prefazione dello storico Aldo De Jaco, (peraltro autore di una rilettura
storica delle Cinque giornate di Napoli, da cui il film di Nanni Loy); la
presentazione del prof. Giuseppe Russillo dell'ateneo barese (rionerese di
origine), ed infine la pubblicazione della cronaca di quel tragico settembre
rionerese del 1943, a cura di Francesco Nitti (datato 13 ottobre 1954). Una
poesia della memoria come una "Spoon River" di Master in chiave lucana. Come è
nata l'idea?
"Lei
fa riferimento alla prima edizione dell'Acetosa.
Ebbene sì, puntellata da firme e disegni prestigiosi, e giustamente a mo' di
specchietto delle allodole, se non altro per riscattare il "signor nessuno" di
fronte alla pretesa di proporsi quale ‘cantore' di quel misfatto. La seconda
edizione si presenta in veste nuova, corredata in prefazione solo
dell'altrettanto preziosa firma dell'ottimo critico letterario Luigi D'Amato.
Senza nulla togliere a nessuno, ci ha guadagnato la poesia, riposizionata al
centro, al cuore del volumetto. Mi
chiedi come sia nata l'idea. Da me, direi. Una tragedia da sempre nel mio
sangue, per via di una pallottola di mitragliatrice venuta a sfiorarmi, io in
braccio alla mia nonna. In realtà, fu l'impossibilità di una lettura
consequenziale dei fatti a reclamare la supplenza della poesia come luogo d'integrazione di una memoria
lacerata, di un reperto d'impossibile lettura".
- Vista la sua
intensa attività di intellettuale e anche di storico, ha mai avuto l'idea di
redigere una sceneggiatura su quei tragici fatti di Rionero? Ed inoltre, è
convinto che la rabbia o la impulsività da sempre manifesta nei suoi (nostri)
concittadini sia un retaggio di quelle ferite del '43, evidentemente mai del
tutto lenite?
"La
mia intensa attività di storico? Non scherziamo, non mi considero tale. Posso
vantare solo il modesto ruolo docente di storia e filosofia. No, di scrivere
una sceneggiatura non ci ho mai pensato, e non solo perché forse non ne sarei
capace. Di un'accanita malasorte, calata, a giudizio della Corte di Appello di
Potenza, sul nostro disgraziato paese prima il 16 e poi il 24 settembre di
quell'anno, che dire? Mi chiedi se la
storia rionerese sia stata condizionata da quei fatti. Non credo, o almeno,
fino a un certo punto. La mutazione del contesto antropologico, dovuta
all'emigrazione degli anni '50 ha svuotato il paese di rancori e passioni fino
ad allora mai sopiti, e quella tragedia da collettiva si fece privata, lasciata
al dolore dei familiari, è lì che l'odio non fu mai seppellito, almeno finché
all'ansia di giustizia, o di vendetta, è subentrata l'impotenza, la
rassegnazione, l'ansia di prendere le distanze da quel settembre. Oggi quella
tragedia è così che la si vive, come qualcosa di remoto, di estraneo, se non di
fastidio da rimuovere. Forse qualche accento significativo è nella sbornia di
modernismo degli anni '60, nel senso che tutto ciò che dei luoghi della memoria
storica è stato spazzato via, forse è da ricondurre alla smania di evasione dai
fumi funesti di una guerra vissuta in casa. E oggi ne paghiamo le conseguenze
sotto forma di nuove forme di estraniamento, di confusa aggregazione, di spazi
aperti a fenomeni deteriori di ogni sorta. Mi auguro solo che la prospettiva di
una grande piazza ci apra finalmente a nuove prospettive, ci faccia ritrovare
quel senso del futuro oggi smarrito, e per favore! Ci si affretti a portare a
compimento ciò che è nelle intenzioni dell'attuale Amministrazione: una sintesi
d'arte sul luogo dell'eccidio, se non altro per perimetrare, per riaffermare la
sacralità del ricordo, perché quella scheggia di memoria da troppo esiliata,
relegata nell'oblio, brucia, in realtà, perenne e tuttora urla vendetta,
reclama di essere pietosamente accolta, reclama ciò che ad oggi l'avarizia
della storia ha negato".
Armando Lostaglio
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