Leonardo Sinisgalli, poeta e
ingegnere, lucano immortale
«Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti.
Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all'ombra». Così si esprime
Leonardo Sinisgalli, il poeta delle due muse, per il fatto che in tutte le sue
opere ha sempre fatto convivere cultura umanistica e cultura scientifica.
Leonardo Sinisgalli nacque il 9 marzo 1908 a Montemurro, in provincia di Potenza, da
Vito e Carmela Lacorazza.
In quella casa, nella strada che oggi porta il suo
nome, trascorse tutta la sua infanzia in compagnia della madre, poiché all'età
di tre anni rimase senza padre, costretto a partire per l'America. La sua casa
natale si trova a strapiombo sul fosso di Libritti, una fitta boscaglia che fu anche
rifugio di briganti, luogo a cui il poeta rimase sempre legato.
Montemurro,
non poteva offrire scuole di maggiore livello, per studiare era
necessario andare via: "Mi preparavo a
partire ogni giorno. E io sapevo che quei tesori che ancora potevo toccare con
mano non li avrei ritrovati mai più". Il piccolo Leonardo avrebbe preferito
frequentare la bottega dal fabbro, continuare a vivere giorni spensierati nel
suo amato paese natale, tra i suoi affetti, ma nel 1917, suo malgrado, fu
mandato in collegio a Caserta, dai Salesiani.
Il giovane si preparava ad andare
incontro alla sua vita, ma quegli anni furono freddi, bui e carichi di
nostalgia: "Io dico qualche volta per
celia che sono morto a nove anni, dico a voi amici che il ponte sull'Agri
crollò un'ora dopo il nostro transito; mi convinco sempre più che tutto quanto
mi è accaduto dopo di allora non mi appartiene, io sento di non aderire che con
indifferenza al mio destino, alla spinta del vento, al verde al rosso".
Diplomatosi
al Liceo Scientifico "Rummo" di Benevento, Sinisgalli si laureò poi
in Ingegneria all'Università di Roma, divenne anche pubblicitario e fu collaboratore
della Pirelli e della Finmeccanica; inoltre, fu chiamato da Adriano Olivetti, quindi
direttore generale dell'ENI e collaboratore di Alitalia, dividendosi tra Milano
e Roma. Fu pure contattato da Enrico Fermi, che lo voleva tra i suoi allievi.
Nella
capitale frequentò i primi membri del movimento artistico della Scuola romana e
divenne grande amico di Ungaretti. Aveva già iniziato a scrivere alcuni versi
ma la sua vocazione non era ancora limpida, almeno fino a quando, nella sua
vita, apparve Sergio Corazzini. Sinisgalli portava con sé e non si separò mai dalle
liriche di Corazzini, ma fu l'amico Mimì Bonelli ad aprirgli definitivamente il
cuore e la mente alla poesia, tanto che il giovane Sinisgalli scrisse i suoi
primi versi, la raccolta Cuore, in
una edizione pubblicata da lui stesso nel '27.
Di idee antifasciste, dopo l'8
settembre 1943 aderì alla Resistenza romana; il 13 maggio dell'anno successivo,
trovato il suo indirizzo nel taccuino di un fermato, fu arrestato dalle SS nella
sua abitazione e poi liberato grazie all'arrivo degli alleati. La sua poesia,
che ricorda il gusto dell'ermetismo, appartiene alla generazione di Montale, Moravia,
Pavese, una generazione inquieta, di vite vissute nei duri anni del fascismo.
Amarezza e insoddisfazione continua, per la sua condizione di emigrante, fanno
parte di tutta la sua poesia. Molto spesso nelle sue opere sono presenti
aneddoti e luoghi della sua infanzia, tra le molte raccolte ricordiamo, Poesie, 1938; Campi Elisi, 1939; Vidi le
Muse, 1943; La vigna vecchia,
1952; L'età della luna, 1962; Il passero e il lebbroso, 1970; Mosche in bottiglia, 1975 (con questa
raccolta vinse il premio Viareggio); Dimenticatoio,
1978. Il poeta-ingegnere ebbe sempre vicino il fratello Vincenzo, giornalista e
scrittore, che aveva una grande capacità: capire al volo le direttive del
fratello e realizzarle.
Leonardo Sinisgalli morì a Roma il 31 gennaio 1981, riposa
nel cimitero di Montemurro, nella cappella di famiglia da lui stesso
progettata. "Al pellegrino che s'affaccia
ai suoi valichi, a chi scende per la stretta degli Alburni o fa il cammino
delle pecore lungo le coste della Serra, al nibbio che rompe il filo
dell'orizzonte con un rettile negli artigli, all'emigrante, al soldato, a chi
torna dai santuari o dall'esilio, a chi dorme negli ovili, al pastore, al
mezzadro, al mercante la Lucania apre le sue lande, le sue valli dove i fiumi
scorrono lenti come fiumi di polvere".
Questa era la Lucania che tanto
amava Leonardo, con le immense distesa di erba che tremano nel vento, i suoi
profumi, le sue tradizioni. Questa è la terra che tanto ricordava e di cui aveva
immensa nostalgia: "Io tornerò vivo sotto
le tue piogge rosse. Tornerò senza colpe a battere il tamburo, a legare il mulo
alla porta, a raccogliere lumache negli orti. Udrò fumare le stoppie, le
sterpaie, le fosse, udrò il merlo cantare sotto i letti, udrò la gatta cantare
sui sepolcri".
Antonella Gallicchio
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