Letture consigliate: Armando Lostaglio e i suoi doni
Una
immensa carriera. Monica Vitti compie 80 anni
Compie
ottant'anni il 3 novembre una fra le attrici più acclamate ed eclettiche della
storia del cinema: Monica Vitti, nome d'arte di Maria Luisa Ceciarelli. Una
carriera fra le più sfolgoranti (il suo esordio a soli quindici anni) che però
non l'ha mai vista primeggiare come una vera diva, secondo tradizione. Forse a
causa o in virtù del suo carattere versatile, o forse per la sua innata
capacità di rendere uniche le sue interpretazioni, dal teatro alla televisione
al grande cinema. E persino come scrittrice e regista. Originale il suo libro
"Il letto è una rosa" (Mondadori), del 1995.
La ricordiamo in un gremitissimo auditorium del Centro sociale di
Rionero, quando nel 1996 venne a presentarlo. Una serata indimenticabile, per
la sua affettuosa condivisione verso un pubblico che le dimostrava una
commensurabile stima. E lei, con la sua inconfondibile voce, rispondeva ad ogni
curiosità, mentre il Cineclub "De Sica" le ha consegnato una targa e una
pergamena con una poesia a lei dedicata.
Nel
‘95 Gillo Pontecorvo, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, le ha
conferito il Leone d'oro alla carriera. Meritatissimo, se si considera quanto
valore aggiunto ha offerto al cinema da diverse angolature, da quella
drammatica, alla commedia, a quello introspettivo: autori italiani e stranieri
si sono contesi la sua presenza sulla scena, per rendere le opere
drammaturgicamente autentiche ed intense.
Teatro
e film un po' minori all'inizio della
sua carriera, tenuto conto che durante gli anni ‘50, quando la Vitti entra in
scena, si vive una fase interlocutoria dopo il neorealismo: il grande cinema
che proprio in Italia celebra la sua imponenza. Eppure viene notata da un già
affermato Michelangelo Antonioni con il quale intreccia una relazione artistica
e sentimentale. Diventa la sua musa e la protagonista nella sua celebratissima
tetralogia dell' "incomunicabilità". E' la inquieta Claudia nel primo
capolavoro "L'avventura " (del 1960); sarà l'anno dopo la tentatrice Valentina
de "La notte" ; la impenetrabile Vittoria de "L'eclisse" (1962) e la nevrotica
Giuliana del "Deserto rosso" (due anni dopo), film che si aggiudica il Leone
d'oro a Venezia.
E' un sodalizio sentimentale fra il maestro e l'attrice (ben
più giovane) alquanto discreto e riservato, lontano dai riflettori, ma che
tuttavia non sfugge, specie per la critica sui film di un autore maestoso
seppur di non facile fruizione. Monica
Vitti è anche doppiatrice per "Il grido" del maestro ferrarese: è la voce di Dorian
Gray. E sarà anche la voce di Ascenza nel capolavoro di Pasolini "Accatone" e
la voce di Rossana Rory ne "I soliti ignoti" di Mario Monicelli. Sarà proprio
quest'ultimo maestro a mettere in luce la caratteristica brillante e forse più
popolare della Vitti. Con "La ragazza con la pistola" (1968) si inaugura una
stagione di nuove energie per il cinema visto al femminile. Con il capolavoro
di Ettore Scola "Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca"
(del 1970) accanto a Mastroianni e
Giannini, Monica Vitti entra di diritto
nell'olimpo dei grandi mattatori del cinema italiano. Nel
maggio1968 viene persino nominata presidente della giuria al XXI Festival del
cinema di Cannes, proprio nell'anno delle contestazioni, per cui nessun premio
cinematografico verrà attribuito.
Con
gli anni ‘70 sarà protagonista indiscussa di indimenticabili commedie, da Nanni
Loy, a Zampa, a Magni, a Risi, da Festa Campanile a Maselli, e nel contempo
saranno anche molti i registi fuori dei confini nazionali a volerla sul set.
Prima l'ungherese Miklos Jancsò ne "La pacifista" del ‘74 e quindi il
controverso Luis Bunuel con "Il fantasma della libertà" tre anni dopo. Alcuni
anni dopo il francese André Cayatte la vuole in "Ragione di stato" mentre nello
stesso anno recita per la televisione nella commedia "Il cilindro" di Eduardo.
Del 1973 forse il successo di maggior risonanza popolare, al fianco di Alberto
Sordi che la dirige in "Polvere di stelle".
Gli anni Ottanta la vedranno anche
regista con l'esordiente Roberto Russo per il film "Flirt" (la colonna sonora è
di De Gregori con la sua bellissima "Donna cannone") per il quale viene premiata a Berlino; quindi
dirige "Francesca è mia" (1986). Intensa e riservata anche la vita
sentimentale, sempre con autori di cinema. Dopo Antonioni sarà con il direttore
della fotografia Carlo Di Palma (che l'ha anche diretta in tre film a metà anni
Settanta, stupendo "Teresa la ladra") ed infine con Roberto Russo, che ha
sposato nel Duemila. Da allora, per ragioni di salute è pressoché sparita dalla
scena. Ma non la sua figura, la sua immediata ironia e l'empatia con il
pubblico che continua ad amarla.
Un
ricordo del tutto personale: Napoli, ristorante Zi'Teresa, la Vitti è seduta al
tavolo con Walter Chiari ed altri loro amici. Ci avviciniamo per un ossequioso
saluto. Lei si alza e ricambia, salutando con un bacio i bambini che erano con
noi. Un sorriso per nulla formale. Lo stesso che l'ha caratterizzata sulla
scena, così come nella vita.
Armando Lostaglio
Atto
di fede (Per parlare di Fenice e dintorni)
Un
medico di origine giordana ha confidato ad alcuni amici comuni che per abbattere
il tasso di colesterolo, consiglia un metodo antico dei pastori delle sue
parti: nove ceci crudi e una tazzina di latte freddo al mattino, da praticarsi
per una quarantina di giorni a periodi alterni. Una regola che un nostro medico
ha trattato non senza scetticismo: occorre intanto sapere se ha un effetto
placebo, adottare eventualmente una appropriata analisi statistica su un
campione di persone e, via via, concludendo che questo, come tutto nella vita,
ricadrebbe nella categoria di un semplice atto di fede. Si, proprio un atto di
fede, come accade nelle religioni e, perché no, nei credo politici; almeno un
tempo questo lo si lasciava presupporre. Un tempo, appunto.
Oggi
invece, ci arride la dichiarazione chimerica ed "indignata" della poetessa Patrizia
Valduga, che ha scritto: "Potessimo fare come in Belgio e stare senza governo
per un po', sospenderli tutti quanti, dal primo ministro ai sottosegretari e
portaborse, di un colpo, pluf, farli sparire; quanti soldi resterebbero nelle
casse dello stato, che sollievo per il debito pubblico; che sollievo per chi
non ne può più di volgarità, buffonerie, oscenità...E lasciare lì nient'altro che
la nostra idea di bene comune, il bisogno di giustizia, di onestà, di
rettitudine, di sobrietà, per purificare l'aria. Che sollievo".
Già,
purificare l'aria: che bisogno ancestrale, ma che livido presagio invece
incombe sulle nostre teste. Anche sull'invisibile puntino geografico che è
questa regione, la Basilicata, dove il verde dei campi, delle foreste, dei
monti innevati lasciano il posto agli "agenti inquinanti", e non solo in
termini ecologici. Agenti che spesso in questi anni si sono mostrati "con
quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così..." figure talvolta
eleganti spesso goffe, panciute, dal linguaggio corto e ripetitivo condito di
frasi analgesiche. Alla sonnolenza contadina e successivamente "cetomedista" ed imborghesita, hanno aggiunto
il perbenismo di facciata. Annuiva Emile Cioran che "di molte persone si può
affermare quanto vale per certi dipinti, cioè che la parte più preziosa è la
cornice". E intanto hanno svenduto anche
l'aria, quella salubre di una regione verde, con l'acqua, e il sottosuolo. E'
un male comune, purtroppo, se si pensa allo stupro subito dalla laguna di
Venezia con il petrolchimico, o alla Montedison nella periferia di città
stupende come Ferrara. Federico Fellini su questo scempio: "...e appare fra fumi
e vapori quel groviglio di gomitoli d'acciaio che sono i gasometri, le
cisterne, gli edifici fantascientifici, silente e magico come preziosa
astronave posata nel centro dell'Emilia..." Una immagine che evoca anche la
"nostra" Fenice, nel Basso Melfese (così lo chiamavano i nostri padri).
I
misfatti perpetrati dall'Agenzia regionale che avrebbe dovuto tutelare il
nostro territorio (l'Arpab) resteranno come una macchia indelebile, al di là di
eventuali possibili assoluzioni; eppure siamo tutti coinvolti, non fosse altro
che per l'aria che respiriamo, da nord a sud di questa regione. La respirano
anche loro "con quella faccia un po' così". E dire che all'Arpab e a Fenice ci
lavorano pure persone che vivono in quest'area geografica, nel
Vulture-verde-polmone di un tempo. Il tutto in nome del profitto, del capitale,
del tornaconto. Profetizzava nel secolo scorso quell'anarchico gallese
(Llawgoch): "il capitalismo è così diabolico che ti consegna a casa pure la tua
passione civile". Mai vaticinio fu più appropriato. L'indignazione fine a se
stessa rimane un palliativo, come l'atto di fede dei ceci proposti da quel
medico giordano. Mentre nell'aria (quella pulita) riecheggia la voce unica di
Giuni Russo con la sua "Atmosfera" (di Battiato), e appare prepotente
l'immagine di quell'osso scagliato in cielo che diventa astronave: l'incipit di
"2001 Odissea nello spazio". Avessero letto o visto opere d'arte o film
d'autore, quelle facce un po' così, avrebbero tradito molto meno la fede o le
aspettative anche di quelli che rompono vetrine nei cortei.
Armando Lostaglio
Tanto
ll'aria s'adda cagnà
"Tanto
ll'aria s'adda cagnà" cantava più di trent'anni fa Pino Daniele (in "Quanno
chiove" di un album fra i suoi più completi, "Nero a metà"); e quell'aria la si
avverte davvero in questi giorni, di pioggia appunto. E che si spera siano di
vero cambiamento. Il forse è sempre obbligatorio quando si parla di "palazzo",
di distanze spesso siderali fra i bisogni comuni e quelli dettati dalla
cosiddetta agenda politica. Ma ora il momento è fatale davvero, di quelli che
solo i tragici greci hanno saputo raccontarci col pathos necessario. L'economia
impone ben altre determinazioni. Non più comparse ai bottoni stanchi delle aule
parlamentari, ma gente che sappia giocarsela coi numeri, e non quelli del
lotto. Che sia posta la parola fine a quei balletti e agli spettacoli di
ciarlatani televisivi? E quanto si auspica ovunque, perché - lo sottolineava di
recente il critico Papi -: "C'è questo di nuovo e di spaventoso. Nessuno più
crede che i politici, in tutto il mondo ma in Italia di più, possano fare
qualcosa. Che abbiano ancora potere. La politica è percepita come un'attività
degenerata e inutile, come un'arte minore che non ha più alcuna possibilità di
influire, nel bene come nel male, sulle nostre vite concrete..."
Questo di nuovo
e spaventoso, dunque. La cosa che probabilmente alletta di più in questo
preciso momento di "nuovo" (o presunto tale atteso come governo "tecnico") è
che almeno spariranno per un po' (ma speriamo per tanto) i visi e le voci afone
eppure aggressive dei vari Larussa e Bossi, degli epigoni Calderoli e Gasparri
e molti ancora, quelli che sparlano di cose loro che ai comuni mortali è spesso
impossibile decifrare. Che sia anche questa l'aria pulita invocata? Purtroppo questi animali politici (come si definiscono con
pudore) sanno sempre come riciclarsi, come guadare il fiume da una repubblica
all'altra. Dei Mastella e Scilipoti si sentirà ancora parlare? Parleranno
eccome. Si udranno le invocazioni ad esistere anche dall'oltretomba. Li abbiamo
tenuti in vita nei mezzi d'informazione, in tv per prima, e forse lo spazio se
lo sapranno sempre recuperare. Nei momenti di magra (visibilità) D'Alema è
andato persino ai programmi tv dei fornelli e Fassino a ritrovare la sua tata nell'indecoroso
programma della De Filippi: e così la Sinistra poteva cantare il de profundis.
Quando coloro che hanno avuto una fede (sia essa politica che religiosa che
economica) assistono a spettacoli degeneri, alle violenze verbali, ai furti
autorizzati e camuffati, non può che far ricorso al proprio buon senso,
confortandosi con quanto scriveva l'autore irlandese Jonathan Swift, (era il
1726): "Chiunque sapesse far crescere due spighe di grano o due fili di erba
dove non ne cresceva che uno, sarebbe molto più benemerito dell'umanità; e
servirebbe molto meglio il proprio paese che tutta la genia dei politici e dei
politicanti messi insieme..."
Armando Lostaglio
Una
settimana dedicata alle donne
In
una settimana (quella scorsa) la donna è stata al centro della considerazione
pubblica a diverse latitudini. Sarà difficile trovarne un'altra con le
identiche particolarità. Di sicuro è stata la tragedia di Barletta quella che
ha particolarmente colpito nel profondo: cinque giovani vite spezzate nel fiore
degli anni. Una adolescente e quattro operaie sfruttate, malpagate lavoratrici
in uno stabile che collassa per incuria e carenze di manutenzione.
Intanto,
il Comitato norvegese ha assegnato il premio Nobel per la Pace 2011 a tre donne
del Continente Nero: Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakul Karman. Una
scelta di coraggio, dopo che nel 2004 un'altra donna africana aveva raggiunto
tale obiettivo: era la biologa Wangari Maathai recentemente scomparsa. "Non
possiamo raggiungere la democrazia e la pace duratura nel mondo se le donne non
otterranno le stesse opportunità degli uomini di influenzare gli sviluppi a
tutti i livelli della società." Questa è la motivazione a suggello dell'ambito
riconoscimento del Nobel. Ed
ancora, in questi giorni scorsi cade il quinto anniversario dell'assassinio
della giornalista russa
Anna
Politkovskaya, che fu assassinata nell'ascensore del suo palazzo, a Mosca. Fare
il giornalista, e farlo bene, è diventato uno dei mestieri più pericolosi nella
Russia di Putin, e Anna era una delle più scomode. Film e spettacoli teatrali
(interessante quello di Ottavia Piccolo, e il docufilm "211:Anna" di Serbandini e Massimetti) hanno celebrato
il coraggio di questa professionista della verità, che ha sfidato i poteri
occulti per denunciarne vessazioni e neocolonialismi.
A fare da contraltare nella considerazione della donna (sempre durante la
settimana scorsa), ci sono le abiette esternazioni del premier di questa
Nazione, il quale non perde occasione per far parlare di se e del suo modo
singolare di fare ironia dall'alto della sua carica. Ha dichiarato (proprio nel
giorno dei funerali delle sfortunate donne di Barletta) che il suo partito
cambierà nome, lo chiamerà il partito della gnocca, espressione che
caratterizza da sempre il suo operato, ignorando che il suo privato (a quel
livello) è anche pubblico. E pertanto, irride la comunità che rappresenta,
dileggia i suoi stessi sostenitori, fa scempio del suo incarico ottenuto
democraticamente. Non va aggiunto altro alla vergogna, la considerazione che ha
del suo ruolo e del popolo che rappresenta non ha eguali in un contesto
internazionale.
Armando
Lostaglio
Impressioni
di settembre
Sono
quarant'anni da quando "Impressioni di settembre" scolpì una generazione fra il
sogno e il divenire: quella voce graffiante e la musica della PFM si imposero
indelebilmente. "Già l'odore della nebbia
odor di grano /sale adagio verso me...sono solo il suono del mio passo..." Quel
brano come un affresco ha tracciato immagini di giovinezze che sapevano
guardare oltre, ma che le contingenze (disoccupazione e quant'altro) hanno
cercato di frustrare e ridimensionare.
Nella
prima metà del secolo scorso, un regista francese immaginò di girare un breve
film dal titolo forte per quegli anni "La rivoluzione". Sosteneva: "arruolerò migliaia di comparse e le filmerò
mentre assaltano l'Eliseo. Alla fine tutti, comparse comprese, capiremo di
essere usciti dalla finzione e di avere invaso la realtà..." Un regista
visionario era Jules Les Jour, che non riuscì a girare mai un suo film. Anni
visionari ma ricchi di futuro, lo stesso che usciva dalla ricostruzione e dagli
anni del boom. I Settanta gettarono le basi per una generazione che
rappresentava la transizione, verso la costruzione di una nuova società e di
più evolute economie. Perché, cantava la PFM: "... intanto il sole fra la nebbia filtra già / il giorno come sempre sarà";
il giorno del cambiamento che poi non accadde, almeno nel senso in cui si era
immaginato. Per giungere quindi all'epilogo di questa parabola che inscrive la
società contemporanea (almeno in questo Paese) proprio come la intravede
Dostevskij (due secoli fa).
Questo scriveva il sommo scrittore russo: "Sono un
uomo ridicolo. Loro dicono che sono pazzo. Sarebbe un avanzamento di grado, se
per loro non rimanessi pur sempre ridicolo come prima. Ma adesso ormai non mi
arrabbio più, adesso li trovo tutti cari, anche quando ridono di me. Mi
metterei addirittura a ridere anch'io assieme a loro, non di me stesso, ma per
amor loro, se non provassi tanta tristezza a guardarli. Provo tristezza perché
essi non conoscono la verità, mentre io la conosco..." E' questo l'inizio del
"sogno di un uomo ridicolo", ed è ovvio che ad essere biasimati siamo noi, che
non "conosciamo la verità" e che subiamo angherie e vizi senza intervenire
sulla scena nella "presa dell'Eliseo". L'uomo ridicolo (col suo potere) fa bene
la sua parte, si diverte coronando i suoi sogni. Ma il cambiamento (ancora una
volta) sembra che si annunci. E' questa almeno una delle impressioni di
settembre, mentre altri uomini (ridicoli?) si preparano a riprendersi la scena.
Nel nostro Eliseo, senza di noi.
Armando Lostaglio
Socrate, una tragedia scritta da Pasquale Tucciariello
Non
si sa se prima d'ora fosse stata scritta una tragedia su Socrate: almeno nella
nostra regione non vi è alcuna memoria. Ci è riuscito Pasquale Tucciariello, il
quale ha prima pubblicato un testo (edito dal Centro Studi Leone XIII, febbraio
2011), e quindi, con la caparbietà che lo caratterizza da sempre, lo ha
trasposto - come era conveniente - sulla scena, grazie alla professionalità di
una regista di consumata esperienza, Giusi Zaccagnini. Ha origini materane la
regista, ma vive da anni a Roma, ed ha incrociato sul palco, fra gli altri,
personalità come Dario Fo e Giorgio Albertazzi. E' lucana nel profondo, come lo
sono l'autore e gli attori della nascente Compagnia Teatrale Fedro, che porta
in scena - venerdì 4 novembre in anteprima a Rionero - la tragedia ispirata al
sommo filosofo greco.
Un
testo che, ad un primo impatto, può apparire addirittura presuntuoso, perché
scrivere ancora oggi di Socrate, trattarlo nel suo insegnamento prima e nel suo
epilogo tragico poi, può apparire tedioso, persino fuori dal tempo. E invece
no: Socrate riecheggia sempre nelle aule dei licei del mondo, si veste di
attualità ogni qual volta si tenti un ragionamento sulla giustizia, sull'etica,
sull'umanità. "L'intatto potere di provocazione della sua filosofia - scrive
Ernesto Miranda sul libro suddetto, che anticipa la messa in scena - è
un'operazione culturale urgente quanto ineludibile". Tuttavia,
imbattersi nella scrittura (prima
testuale poi teatrale) di Pasquale Tucciariello, leggerla ed appassionarsi in
quel crescendo di situazioni da agorà e tribunali ateniesi fino al suo epilogo,
appare persino esuberante per la passione umana e civile che l'autore intende
imprimere.
Il
testo teatrale, a cui collabora con grande esperienza la regista Zaccagnini,
rende più fluida la sua divulgazione scenica, sebbene rimanga ricco di
espressioni poetiche che gli attori della "Fedro" interpretano non senza
plausibile fatica. La scenografia - disegnata con i brillanti costumi da Rosa
Preziuso - è esile e dinamica, essenziale per una Atene che fa da sfondo ai
pensieri del maestro. E' un Socrate mitigato e convinto, specie nei rapporti
con i massimi pensatori della sua epoca. La scena crea situazioni che dal
classico ambiscono ad una ricercata modernità. Un Socrate che sovverte le
abitudini consolidate e contamina le tradizioni.
E' nei versi del Coro che la
tragedia di Tucciariello ci rende maggiormente partecipi verso una poetica
pubblica che non è del tutto compiuta nel tempo moderno. Il Coro come specchio
che riflette gli umori collettivi. Il Coro che stimola il ragionamento di
Socrate ed è il Coro che chiosa la sua tragedia, la fine del passaggio su
questa terra. Nel Coro del Vento d'Egeo, vige una poesia estrema, carezzevole
quasi, che ci ragguaglia persino agli odori della Grecia antica, quella che
confina e si insinua persino nella nostra: altra Grecia d'Enotria.
La
tragedia rimane godibile e leggibile ad ogni dimensione umana, ed ha trovato
una equa proposizione di scena. E con attori (Rizzitiello, Corona, Pergola,
Lostaglio, Sterlicchio e gli altri) in grado di entrare in quei personaggi che
hanno scritto le basi di una civiltà di cui, dopo millenni, siamo irrimediabilmente
figli, malgrado non sempre se ne avvertano gli effetti in termini di civiltà e
costume. Troppo spesso siamo degli Aristofane involontari, nel senso che le sue
"Nuvole" dell'autore greco continuano ad offuscare spesso i nostri sentimenti
più nobili, rendendoci replicanti involontari di una satira appena nefasta nei
confronti del Maestro, di Socrate, che ci lascia un patrimonio di sentimento,
di aspirazione alla giustizia, fondamentale per la civile convivenza.
Armando Lostaglio
Renzi
come Rossi e Cabrini?
Chi
viaggia intorno ai cinquant'anni ricorderà la bellissima affermazione della nazionale di
calcio ai Mondiali di Argentina: era il 1978 e, in panchina, un indimenticabile
Ct: Enzo Bearzot. Criticato come sempre accadeva, e pure alla vigilia di quel
Mondiale, il compianto Ct portò con se dei giovani che erano una scommessa. E
la sua temerarietà, quella scommessa, gliela fece vincere. I giovani talenti
erano Paolo Rossi, Marco Tardelli, Antonio Cabrini, poco più che ventenni. La
lungimiranza gli diede ragione, perché al Mondiale successivo quei ragazzi
diventarono campioni del mondo. Se è vero che il calcio è un po' una metafora
della vita (come sentenziavano Sartre e Soriano), perché non "azzardare" il
futuro su un giovane? Può accadere in
politica, ma si può tentare anche in altri campi.
Certo in politica appare ben
più artificioso, magari rischioso giocandosi la partita su una collettività
intera. Eppure, fuori dal coro di questi giorni convulsi dove i mercati a
rischio dettano l'agenda del mondo, si può azzardare un "Cabrini" che giochi
meglio di quanto si possa immaginare? Puntare su Matteo Renzi, che magari il proprio
talento lo avrà già dimostrato affermandosi poco più che trentenne alla guida
di una importante città come Firenze. E' comunque il personaggio politico più
discusso del momento, la cui partita se la gioca quotidianamente sui tavoli di
una città particolarmente bella e difficile, un arduo banco di prova come lo
sono le amministrazioni civiche. E' dunque un amministratore piuttosto che un
politico che se ne sta a premere bottoni in un'aula del parlamento. Nel
contempo fa specie la vetusta inclinazione dell'attuale management del suo
partito (il PD) che insiste ad invocare le dimissioni del premier e "...poi si
vedrà" .
Lo ha di recente affermato Bersani. Ma che vuol dire questo? Cosa sarà
mai questa previsione dell'incerto? Il poi si vedrà evoca piuttosto quel
problematico film di Bellocchio "Salto nel vuoto" (1980), laddove si consuma un
dramma individuale e familiare; ma nel nostro contesto il salto nel vuoto
diventa collettivo, di una nazione, di una economia imbarbarita di stoltezze
dei pochi ai danni dei più. Di noi tutti insomma, coinvolti un una voragine di
zeri che ci inghiotte e di cui non avremo mai la contezza. Per questo sarà
meglio un nuovo Paolo Rossi, in un campo senza reti ma con la fiducia da
recuperare? Ci vuole coraggio per rischiare, probabilmente l'attuale drammatico
momento non lo consentirebbe. E poi, non c'è più Bearzot.
Armando Lostaglio
Gli
sprechi dei vitalizi politici. Mentre al pensionato Scola...
E'
encomiabile la battaglia intrapresa anche dalla stampa regionale contro gli
sprechi della politica. Sacrosanta seppur tardiva, ma "non è mai troppo tardi".
Vitalizi e sperperi in una regione impoverita come questa, con cifre che
all'apparenza non saranno nemmeno eccessive nel computo di danni erariali che
questa regione, come altre, è costretta a subire. Eppure, fa effetto rendersi
conto che basta aver fatto parte anche di una sola consiliatura per aver
diritto ad un vitalizio perenne. Inoltre, gli attuali consiglieri chiedono persino spese di
trasferta anche se sono in vacanza.
Gli operai in cassa integrazione o quelli
della Fonte Cutolo in licenziamento prendono atto. Pensioni d'oro pur non
operando più nelle istituzioni locali, dunque. E fa effetto apprendere, in un
tale contesto, che un regista della levatura morale e culturale come Ettore
Scola percepisca una pensione alquanto comune. L'ottantenne Scola percepisce
(per sua ammissione in una recente intervista) 1400 euro al mese. Quale
vertigine ci assale, che abisso fra il contributo offerto alla umanità dalle
opere di un cineasta come Scola, rispetto all'impercettibile apporto dato (e a
che prezzo) da uno a caso dei tanti "pensionati" di lusso di questa regione. Un
film su tutti e si è nella storia: "Una giornata particolare".
Fa
bene la stampa locale ad evidenziare quegli sprechi, mentre aleggia nell'aria
un inafferrabile "Coda di lupo" di De André. Fa bene la stampa a stigmatizzare
gli scempi di cui la classe degli Invisibili non fa altro che prenderne atto. Già
il secolo scorso il poeta cantastorie Gill Scott-Heron ironizzava in America
sulla pigrizia della "middle-class", avvertendo che "la rivoluzione non verrà
programmata in televisione" (The Revolution Will Not Be Televised"). Una
profezia, una lungimiranza, o che altro? Stimiamo Scott-Heron, anche perché il
suo primo romanzo si intitola "The Vulture" (L'avvoltoio).
Armando Lostaglio
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