L'impegno civile di
Francesco Vespe
Alla vigilia
della venuta di Monti mi telefona l'"Axelrod" locale della lista omonima
regionale, per propormi di intervenire alla manifestazione elettorale.
Solleticato dal Narciso che è in me, dò il mio consenso pensando fra me e me
che miglior tribuna non poteva capitarmi! Stando sempre ad Axelrod, avrei
dovuto fare un intervento per raccontare la mia rara esperienza di "cervello"
fortunato, rimasto "in patria" per fare un lavoro di grande "pregio"
scientifico e tecnologico. Ancor prima di avere la conferma definitiva già
immagino ed escogito delle iperboli oratorie in stile Kennediano!
Dopo un po'
di ore Axel mi contatta per confermare il mio intervento cambiandomi però
l'argomento. Infatti il mio è passato al "trota" (non si sfugge: da noi se non
è Clientelismo è Nepotismo!). Il mio nuovo tema riguarda l'opportunità con la
lista Monti della ricostituzione di una nuova area del Cattolicesimo
Democratico. Anche questo tema non era ostico a Narciso! Così riformulo i
contenuti ed escogito nuove figure retoriche. L'idea è di chiudere con una
frase tanto cara alla tradizione liberale anglo-sassone-americana: "Dio ci
benedica, Dio benedica l'Italia". Devo solo andare la sera a concordare i
contenuti del mio intervento con il "capolista". Appena entro nel comitato Axel
mi avverte: "Houston c'è un problema".
C'è cioè un problema di genere con 4
interventi da ripartire equamente con le femminucce. Per ora, a prova contraria,
esistono solo due sessi! Potrei lavorarci un po' su per passare all'altra sponda, ma non certo in
tempo utile per la venuta di Monti! Così Axel mi mette in panchina pronto a
subentrare nel caso uno dei "trota" chiamati ad intervenire, rinunciasse. Ci
appartiamo in uno stanzino e mi farfugliano qualcosa riguardante l'opportunità
di ricostituire un'area popolare nel costruendo partito di Monti e bla bla bla!
Narciso pur non capendo bene cosa gli si stia proponendo, ci sta! Addirittura
gli consegnano simbolicamente la chiave della sede del circolo regionale "Italia
Futura". Insomma uno zuccherino per lenire il dolore di partire riserva!
Ci
sono prima di tutto i "trota". Arrivo davanti al Duni. C'è molta ressa e
intravvedo nella folla Axel che mi conferma che la mia è panchina! Meglio così!
Ci avevo tanto creduto alla chance che all'evento mi ero presentato quasi in
pigiama: ovvero assolutamente impresentabile sul palco! Mi siedo in piccionaia
con Giovanni a destra e Giuseppe a sinistra. Finalmente entrano le guest-star
dell'avanspettacolo: i 2 trota e le due donne. Le donne meravigliose come
sempre nella concretezza e profondità
dei loro interventi. Come al solito fumosi ed inconcludenti quelli dei maschi
trota.
Il sangue di Narciso però sale alla testa quando uno dei trota attacca
con il suo discorso citando l'astronave atterrata
30 anni fa a Matera e dentro la quale da altrettanti anni lui sta svolgendo "lavoro matto e
disperatissimo". Se il merito e la qualità fossero stati veramente presi a cuore
per i Montiani o Montezemolo ,
così come spergiurato nella riunione della sera prima, quell'intervento avrebbe
dovuto tenerlo Narciso non un "trota" qualsiasi! Insomma un'altra ennesima umiliazione
con Narciso messo in ombra non solo dagli ingombranti papà (ormai coprono centro e centro-destra!),
ma oggi anche dai loro pargoli!
Dopo aver ascoltato il soporifero Monti e le
sue insufficienti e svogliate soluzioni proposte per la rinascita del Sud, Narciso
esce furibondo dal cinema! Il suo stato d'animo è lo stesso dell'emigrante
italiano in Germania che ritorna a Matera per votare e che, dopo averne passate
di tutti i colori durante il viaggio, le uniche parole che pronuncia nel film sono
quelle della più classica delle imprecazioni: A.F.i.C.! Stiamo parlando del film "Bianco Rosso e
Verdone". Così furibondo Narciso apostrofa quelli del comitato che incontra e
finanche gli ex-renziani e neo-montiani che, leggeri come sono più di una
piuma, credono di pesare così tanto da incidere anche sui prossimi equilibri
regionali.
Narciso punta dritto verso casa sua determinato a sprangarsi dentro,
chiudere il cellulare fino al 26 c.m. ripromettendosi di sparare a vista a
coloro che solo osano avvicinarsi...scopo elezioni. Si ripromette di ripiegare
esclusivamente sulla "politica del mestiere" come felicemente diceva
Rossi-Doria. Solo che purtroppo, se ciò era possibile ai tempi di Rossi-Doria,
Narciso teme che anche quella non sia più strada praticabile oggi. Lo assale
l'incubo che anche il luogo dove svolge il suo mestiere sia diventato una pozzanghera dove
guizzano superbe e luccicanti le
"trote"!
Francesco
VESPE
In questi
giorni ricorre l'anniversario del rapimento di Aldo Moro avvenuto esattamente
35 anni fa. Quel giorno (16 marzo) lo ricordo benissimo perché fu il mio primo
(ed ultimo) giorno di filone a scuola. La notizia mi raggiunse in biblioteca e
subito corsi al cinema Comunale (a quel tempo si chiamava Impero) dove si
radunarono partiti e popolo materano per discutere del gravissimo evento in cui
persero la vita i 5 uomini della scorta. Fu una perdita gravissima per la
democrazia italiana perché le Brigate Rosse colpirono uno dei più acuti e
sensibili politici della I Repubblica che avrebbe potuto tanto insegnare a
quelli della II e, perché no, anche a quelli della terza.
Moro fu il politico
che agli inizi degli anni 60 spalancò le porte del governo al Partito
Socialista e che, proprio in quei giorni che precedettero il suo rapimento,
aveva lavorato con successo al compromesso storico che stava aprendo le porte
del governo ai Comunisti. Era un politico che infaticabilmente cercava
punti comuni e di equilibrio sia con gli alleati che con gli avversari. Era
uomo che interpretava la politica come raffinata arte della mediazione
fra interessi privati e corti e la ricerca e l'affermazione del bene comune. Un
modo di intendere la politica che era si di Moro, ma una delle cifre politiche
più qualificanti del Cattolicesimo Democratico rappresentato in Italia
dalla "famigerata" DC e dal Partito Popolare Sturziano.
Peccato che persino gli
stessi cattolici italiani si vergognano oggi di questa storia che pur annovera
fra le sue pieghe figure grandiose di santità! Una cultura della mediazione
totalmente estranea alla II repubblica che è stata la stagione invece della
disinvolta autorappresentazione nelle istituzioni degli interessi privati spesso
in conflitto con quelli pubblici. Un modo di intendere la politica -di fatto
una versione degradata e casereccia del "laissez faire" liberista- che rende di
fatto inessenziale la fatica della mediazione politica! La prossima
repubblica invece si prospetta non meno problematica. M5S di Grillo ed il suo
"Rasputin" capellone alias Casaleggio, sta portando avanti un modello di
democrazia anch'esso controverso.
Facendosi forza sulla conoscenza (?) dei
nuovi mezzi di comunicazioni di massa (pare che li abbiano inventati loro!), li
ritengono così potenti tanto da fargli credere che sono maturi i tempi per
passare da una democrazia rappresentativa a quella diretta. In verità la
democrazia rappresentativa non è stata istituita perché era impossibile tecnicamente
istituire quella diretta, ma per delle ragioni ben più profonde. Per prendere
delle decisioni politiche in una società complessa occorre anche avere delle
competenze tecniche, ideologiche ed istituzionali che non si può
pretendere che ogni cittadino abbia. Una democrazia rappresentativa ha bisogno
di una élite culturale che possieda quelle competenze necessarie per poter
sviluppare soluzioni e programmi in modo meditato e responsabile.
Queste élites
politiche spetta ai partiti formarle, ma devono essere impastate con degli
ingredienti irrinunciabili senza dei quali si rischia un drammatico
scollamento con il paese. Queste elites devono avere come pre-requisito,
al di là della competenza tecnica, una tensione etica robusta e essere
sinceramente appassionati del bene comune. Le elites devono
possedere quella tensione educativa nei confronti del popolo
al quale va spiegato in modo infaticabile la complessità dei problemi e
delle soluzioni da adottare e, a loro volta, devono essere disposte a ricevere
ritorni da esso cogliendo il meglio di quello che la società civile
sa esprimere. In questo gioco dialettico fra popolo ed elites le strategie
della comunicazione devono svolgere un ruolo di supporto collaterale,
altrimenti si darebbe troppo peso alle truffe affabulatorie dei "venditori di
saponette" come oggi invece ahimè accade!
Oggi sopportiamo elites che
appiattiscono la loro proposta politica sul valor medio o, quel che è peggio,
sui desideri non educati che il popolo esprime come fa il sondaggismo. In
questo modo le elites ed i partiti sono diventate una detestabile brutta copia
della società che vogliono rappresentare. Un esempio per tutti è la percentuale
di indagati e condannati in parlamento. Se ci fosse la stessa percentuale nella
società dovremmo avere in carcere milioni di Italiani! Altro che specchio! La
necessità di far si che le proposte siano sottoposte a passaggi democratici
diretti ed informali che raccolgano consensi coinvolgendo i segmenti
"intelligenti" della società civile, è un'altra condizione da esigere. Infine
devono avere la capacità di indicare un'utopia verso la quale indirizzare
"biblicamente" il percorso di un popolo.
Mi rendo conto che questo è
requisito esigente e lo si può ritenere oggi solo un optional di lusso! Pertanto
la mediazione dei partiti è imprescindibile per una sana democrazia a patto che
forniscano una classe dirigente politica, programmi, siano popolari
e svolgano un ruolo educante. Erano questi i cardini sui quali si poggiava
l'azione politica di Moro. Nella II Repubblica come dicevamo gli
interessi invece di essere educati si sono auto-rappresentati. Nella III
repubblica c'è un passo ulteriore che viene compiuto in direzione di una
democrazia diretta che crede di poter fare a meno della mediazione dei partiti.
Che si sappia: nella storia questa idiosincrasia per i partiti democratici ha
portato a terribili e sanguinarie dittature! Noi abbiamo bisogno di buoni
partiti, non di cancellarli!! Ne va della nostra democrazia!
Francesco
VESPE
Un
mezzogiorno che nel corso della sua vita repubblicana ha vissuto di politiche
di assistenzialismo fallimentari (vedere le cosidette "cattedrali nel
deserto"), come può risollevarsi partendo dalle risorse proprie? Quali
sono i cambiamenti che noi cattolici con il nostro comportamento possiamo
apportare a questo stato di cose?
Questa è una
delle domande che i ragazzi della FUCI di Matera ha formulato anche allo
scrivente alcuni giorni fa in un incontro. Una delle 4 domande formulate non
evasa per mancanza di tempo. La cosa che contesto della domanda è l'aver citato
le "cosiddette "cattedrali nel deserto" come una forma perversa di
assistenzialismo inflitta al Sud. Un Sud a cui è stato erroneamente fatto
credere in questo secolo e mezzo di unità d'Italia, con una gigantesca mistificazione
dai risvolti psicosociali a volte tragici, che la sua arretratezza è stata
ereditata fin dagli inizi.
Studi socio-economici e best sellers come Terroni di
Pino Aprile e "Il sangue del Sud" di Giordano Bruno Guerra hanno spietatamente
messo in evidenza che, al contrario, fu proprio l'unità d'Italia a creare il
divario Nord-Sud. Uno studio di Daniele e Malanima, con dati statistici
quantitativi, ha ampiamente dimostrato che la forbice Nord-Sud, nel corso degli
anni si è andata progressivamente ampliata a partire dall'unità d'Italia. Forbice che ebbe la massima espansione
durante il periodo fascista ed in questi ultimi 20 anni di leghismo lombardo.
Detta forbice, al contrario, fu drasticamente ridotta invece proprio nella fase
post-bellica durante la quale furono applicate politiche serie di sviluppo per
il Sud attraverso la riforma fondiaria, la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ) e
per "colpa" delle cattedrali del deserto.
Al contrario le "cattedrali del Deserto" come l'ANIC, l'ITALSIDER, la
FERROSUD, giusto per citarne alcune vicine a noi, rispondevano ad una strategia
di sviluppo ben precisa concepita e poi attuata da economisti del FORMEZ di
Pasquale Saraceno. Una strategia che puntava per lo sviluppo, oltre che sull'agricoltura (Manlio Rossi-Doria), sulla
industrializzazione attraverso l'insediamento di grandi imprese a partecipazione statale al
Sud.
Le cattedrali del Deserto permisero a mio zio, così come a tanti padri di
famiglia, di tornare dall'esilio alla fine degli anni 60. Senza agricoltura ed
industria non si può pensare ad un reale sviluppo del Sud. Noi oggi siamo
frastornati da superficiali luoghi comuni illudendoci che il nostro sviluppo
possa evitare di passare dalla fase dell'industrializzazione, sopravvalutando
oltremodo le potenzialità della risorsa turistica o della mitologia dei
prodotti tipici. Poi negli anni 80 abbiamo avuto una perversa involuzione delle
politiche di intervento straordinario. Le risorse messe a disposizione dalla
legge 219/81 per il terremoto del 1980 e l'ultimo scampolo della CASMEZ, la
legge 64/86, sono state sciaguratamente consegnate esclusivamente nelle mani
della discrezionalità politica e serviti solo per alimentare consumi con gli
investimenti ordinari dirottati tutti al Nord.
Così alla fine gli ultimi
investimenti non hanno fatto altro che dare il definitivo abbrivio alle
politiche assistenzialistiche volute da sempre dal Nord per il Sud! Oggi la
sfida per lo sviluppo del Sud è prima di tutto etica nel senso che, bando agli
egoistici ed ignoranti leghismi, essa deve essere un imperativo categorico del
nostro paese che può ritornare ad essere grande solo con il pieno sviluppo del
mezzogiorno. La risorsa sociale, ancora ricca al Sud ma in fase di paurosa
erosione, è una delle carte sul quale occorre puntare con decisione. Risorsa
che sta alimentando lo sviluppo di realtà come India e Cina. E' la leva dello
sviluppo per il Sud sulla quale insistono Putnam con i nostri Cassano e Viesti
sul solco delle teorie weberiane. Dall'altra occorrono investimenti e capitali
che Nicola Rossi ritiene altrettanto indispensabili.
Risorse ed investimenti
che devono essere però sottratti all'intermediazione ed alla discrezionalità
della politica, per permettere di creare condizioni favorevoli sul territorio.Questo significa creare
infrastrutture, un più conveniente accesso al credito, agevolazioni fiscali ma,
soprattutto, creare centri di eccellenza con i quali trattenere ed importare
giovani brillanti. Ci servono per poter ideare, scrivere e realizzare progetti
competitivi da far finanziare dalla Comunità Europea che oggi sostituisce la CASMEZ. Piuttosto che sbraitare contro la
Merkel e la CE sarebbe meglio attrezzarci "militarmente"per poter accedere alle
risorse che mette a disposizione l'Europa.
Francesco
Vespe
|