Lo
strattonamento della politica verso la Magistratura di Salvatore Cesareo
E'
di alcuni giorni fa la notizia che, alla pubblicazione delle motivazioni della
sentenza, che ha portato alla condanna del senatore del Pdl, Marcello
Dell'Utri, non sono mancate innumerevoli, come sempre, le accuse tra i due schieramenti
politici principali nazionali. Da destra, quella che sicuramente ha suscitato
più scalpore, è stata l'esternazione secondo cui, nel caso fosse stato il
giudice Borsellino a valutare le motivazioni dell'accusa, non avrebbe mai
condannato per associazione mafiosa il sen. Dell'Utri a sette anni di
reclusione.
Qui
si rende necessario, a mio avviso, un piccolo ripasso della storia recente
italiana. Il 19 gennaio prossimo, Paolo Borsellino avrebbe compiuto
settant'anni. Un maledetto pomeriggio di luglio del 1992, un'autobomba lo uccise,
assieme agli agenti della scorta. La figura del giudice, accostata sempre all'amico
di mille battaglie e purtroppo, del medesimo destino, Giovanni Falcone, è
l'emblema della legalità che viene presa in considerazione, ogni qual volta c'è
da fare una riflessione sull'intero operato della magistratura nei giorni
nostri.
Per
molti, infatti, il nostro è un Paese in balia di giudici politicizzati e
profondamente accaniti contro un determinato schieramento politico. Forse ci si
dimentica che la magistratura, come viene contemplato anche nella Costituzione
Italiana, è un organo indipendente che non può e non deve essere assoggettato a
nessuno schieramento politico, né tanto meno può essere al servizio di una
maggioranza o, peggio, del Governo. In tutta questa serie quotidiana di batti e
ribatti tra Associazione nazionale magistrati e partiti politici, vengono visti
come "mosche bianche" di un sistema profondamente malato, solo le figure di
Falcone e Borsellino.
Come
spesso accade, però, ci si dimentica facilmente del passato per lasciare spazio
all'autoincensamento del presente. Era palese agli occhi di tutti, infatti, che
nei cinquantasette giorni che trascorsero tra la strage di Capaci e quella di
via D'Amelio, nessuno fece abbastanza per salvaguardare la vita del giudice
Borsellino. Senza tuttavia lasciarsi andare alla mera narrazione dei fatti, che
hanno segnato in negativo la storia della Prima Repubblica, voglio attirare
l'attenzione su ciò che la magistratura è e rappresenta nel nostro Paese oggi e
di come i giudici vengono giudicati dall'opinione pubblica nel loro lavoro. Per
comprendere questo, è necessario attuare una profonda riflessione sul
triangolo politica-magistratura-opinione
pubblica nazionale, che non è mai stato idilliaco, oggettivamente. Basti
pensare che anche Falcone, ai tempi della costituzione della super-procura antimafia,
veniva considerato un "servo" dell'allora guardasigilli Claudio Martelli,
mentre Borsellino veniva additato come un personaggio in cerca di notorietà a
tutti i costi. Questo fece presagire il loro tragico destino, che con maggiore
attenzione nelle misure di protezione, si poteva non dico evitare, ma
sicuramente, circoscrivere.
La
magistratura, oggi, viene considerata profondamente collegata al centro-sinistra,
per sovvertire il voto degli italiani che hanno consegnato il Paese nelle mani
di Silvio Berlusconi. Molti però, gli stessi che considerano la magistratura di
parte, dimenticano forse che la figura del premier, e di qualche suo stretto collaboratore,
non è mai stata limpida fin dai suoi esordi al fianco del primo ministro Bettino
Craxi, agl'inizi degli anni Novanta. In una delle ultime interviste rilasciate
prima della sua morte dal giudice Borsellino a due giornalisti francesi, che si
può trovare facilmente su internet, emerge come le sue indagini stavano
vagliando la posizione proprio dell'emergente imprenditore televisivo Silvio
Berlusconi, a causa dei sui rapporti con Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano,
ribattezzato "Lo stalliere di Arcore".
Vittorio
Mangano, lo ricordiamo, venne assunto nella tenuta di Arcore con le mansioni di
stalliere, dopo essere emigrato dalla Sicilia, sua terra natale, per sfuggire
all'accusa di appartenere a Cosa Nostra.
A
distanza di poco tempo da quell'intervista, ci fu la terribile deflagrazione di
via D'Amelio, seguita a ruota dalla caduta della Prima Repubblica.
Cosi,
nel giro di pochi mesi, la storia dell'Italia cambiò profondamente. Ed è curioso
che oggi si sbandieri la voglia di riconoscersi nella figura dei due giudici
uccisi da Cosa Nostra nel 1992, quasi come a testimoniare che dall'una o
dall'altra parte del parlamento e degli opposti schieramenti politici ci siano
solo giustizialisti contro persone perbene e viceversa. Penso che se potessero
rispondere con la loro ferma coscienza, sia Falcone che Borsellino,
respingerebbero al mittente le affermazioni che ancora oggi, a distanza di
diciotto anni dalla loro morte, vengono mosse loro. Una domanda, infatti, mi rimbomba
dentro da tanto tempo... Ma non è bastato tutto il fango che è stato buttato
addosso a questi due eroi durante la loro esistenza? Perché accanirsi ancora
contro chi non può, suo malgrado, controbattere? I politici sono stati eletti
dal popolo, per occuparsi dei problemi della collettività, nel rispetto di considerazioni
socio-economiche ed etiche, che tale compito comporta. Sommessamente, mi
permetto un invito: ognuno svolga onestamente il proprio mestiere, senza
lasciarsi andare a inutili prese di posizioni che non fanno altro che danneggiare
ancor di più la situazione di una nazione in piena crisi economica e sociale,
mentre i cittadini stentano a rapportarsi con i politici che li dovrebbero
rappresentare.
Salvatore
Cesareo
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