Rocco
Scotellaro, visse la vita politica come un poeta, utilizzò la poesia come
strumento di libertà
"Camminare attraverso la campagna lucana: il silenzio è rotto dalla voce dei grilli
e dal suono dei campanacci. E alzando gli occhi, ecco in cima a un colle avvolto
dalle nuvole, m'accompagna lo zirlìo dei grilli e il suono del campano al collo
d'un'inquieta capretta...Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d'argento e là, nell'ombra delle nubi sperduto giace in frantumi un paesetto lucano...".
Con questi splendidi versi il grande poeta Rocco Scotellaro descrive la
magia della bella terra di Lucania, la terra della luce, in quelle distese immense
di fili d'erba che tremano nel vento, in quella terra dove sorge il sole. Le
sue rime sono facili il suo lessico è contadino. Rocco Scotellaro nasce a
Tricarico, 19 aprile 1923, il padre Vincenzo era calzolaio e la madre Francesca
Armento una casalinga.
All'età di dodici anni si trasferisce con la famiglia a Sicignano
degli Alburni per iscriversi al collegio. In seguito si sposta a Cava de'
Tirreni, Matera, Roma, Potenza, Trento e Tivoli, dove porta a compimento il percorso
di studi classici. Nel 1942 frequenta la Facoltà di Giurisprudenza a Roma, però
senza conseguirne la laurea.
Gli viene assegnato un posto di istitutore presso
Tivoli ma, con la guerra e la morte del padre, avvenuta lo stesso anno, decide
di tornare nel suo paese natale. Membro del Comitato di Liberazione cittadino,
opera per il rinnovamento della vita politica e democratica nella Basilicata
del dopoguerra, conosceva bene il dramma dei contadini lucani, le carenze
alimentari e igienico-sanitarie, un caporalato spietato, l'estrema povertà.
Scotellaro
appartiene orgogliosamente alla società contadina, divideva i suoi pasti e i
suoi proventi con chi stava peggio di lui, prestava aiuto ai contadini in
maggiore difficoltà. A soli 23 anni viene eletto sindaco di Tricarico, coinvolge
il popolo nella vita amministrativa del paese e si impegna per l'apertura
dell'ospedale civile di Tricarico avvenuta nel 1947. Visse la vita politica
come un poeta, utilizzò la poesia come strumento di libertà. È protagonista
appassionato del momento epico dell'occupazione delle terre e della riforma
agraria.
Nel 1950 è accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere
dai suoi avversari politici e per questo costretto al carcere per 45 giorni
circa, Carlo Levi condusse una campagna a favore dell'innocenza del
sindaco-poeta. Scotellaro fu assolto con formula piena per non aver commesso il
fatto. A causa di questa vicenda, unita alla delusione scaturita dalla non
elezione a livello provinciale, abbandona l'attività politica per dedicarsi
maggiormente a quella letteraria, ma non abbandona mai
il suo popolo.
Si trasferisce a Portici presso l'Osservatorio di Economia
Agraria, dove collabora con Manlio Rossi-Doria agli studi per il Piano Regionale
di Sviluppo per la Basilicata. Profondo è il suo legame con Carlo Levi, Rocco
Mazzarone e il Movimento di Comunità di Adriano Olivetti. Gran parte degli
scritti e delle composizioni di Scotellaro furono pubblicate postume.
Ha
lasciato un «centinaio di liriche che - a giudizio di Eugenio Montale -
rimangono le più significative del nostro tempo». Vinse il Premio Viareggio
e il Premio San Pellegrino, entrambi nel 1954. Scotellaro fu poeta forte ma
anche delicato, fu autore anche di un romanzo "L'uva puttanella", di un'inchiesta
"Contadini del sud", un'opera teatrale "Giovani soli" e diversi racconti,
raccolti nell'opera "Uno si distrae al bivio". Rocco Scotellaro se ne è andato
a soli trent'anni, presagendo la sua fine: "O mio cuore antico, topo solenne
che non esci fuori sei giunto alla fine del tuo cammino".
Nei suoi occhi neri
c'era un' alba viva, c'era il tremolio dell'erba nel vento della sua amata
Lucania. Ma era anche fragile come un giglio, non conobbe mai l'amore di una
donna vera. Quel cuore che gli ardeva nel petto smise di battere a Portici il
15 dicembre 1953. Morì di notte.
Antonella
Gallicchio
Sempre
nuova è l'alba
Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
Che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra....
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perchè lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.
[1948]
(Rocco Scotellaro)
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