Tursi - Era gremita di alunni, genitori e docenti, l’ampio salone del primo piano della scuola Secondaria di 1° Grado “Sant’Andrea Avellino”, in via Roma. Raramente si ricorda una simile presenza affollata, ancor più lodevole per la qualità culturale dell’evento. La testimonianza di vita, elevata ad arte della sofferta memoria, al contempo con amabile partecipazione e distacco esistenziale, di una famosa sopravvissuta ai campi di sterminio, è stata fortemente voluta per la fine dell’anno scolastico e del progetto didattico sul “Novecento”, dai docenti di Lettere Raffaella SCOGNAMIGLIO ed Emma MIRRI, che ha introdotto la serata. Illustre ospite: Elisa SPRINGER, autrice di due magnifici libri autobiografici: “Il silenzio dei vivi”, 1997, e “L’eco del silenzio”, 2002, entrambi per i tipi veneziani di Marsilio. Donna straordinaria, come poche volte capita di incontrare, è di quelle che lasciano un segno indelebile, che scaturisce quasi naturalmente dai protagonisti della Storia, nel caso anche loro malgrado. Circondata da una notorietà ormai internazionale, solo tardivamente accettata, è stata destinataria dell’affetto sincero di tutti gli astanti, sempre in rispettoso mutismo. D’altronde, nel film “La vita è bella“, Roberto Benigni e Vincenzo Cerami ce l’hanno ricordato: “il silenzio è l’urlo più forte”. Quasi che esso scaturisse dal disagio della incongruità delle parole pronunciabili in alcune tremende circostanze. E la vita della professoressa Springer è stata davvero incredibile, anzi, al limite del brutto sogno, peggio, nel pieno dell’incubo. Quello collettivo del nazifascismo, con le immonde leggi razziali, l’orrore della guerra “mondiale”, le deportazioni, i forni crematoi, la miseria, e il senso incombente, devastante e pervasivo della morte. Nata a Vienna nel 1918, da una famiglia di commercianti ebrei di origini ungheresi, Elisa Springer aveva solo 26 anni quando, nell’agosto del 1944, venne internata ad Auschwitz, poi trasferita a Bergen Belsen, dove conobbe Anna FRANK, e poi a Theresienstadt. Incarnate “le orribili umiliazioni del più grande campo di sterminio nazista, che è cosa diversa dai campi di concentramento”, ha puntualizzato Lei stessa, è riuscita a sopravvivere e a tornare prima nella sua città e poi in Italia (oggi vive a Manduria, in Puglia), celando al mondo intero, ma prima di tutto a se stessa, la spaventosità del male subito, come il numero della marchiatura sul corpo, tenuto nascosto da un cerotto al braccio. E’ l’arrivo del figlio Silvio SAMMARCO, medico, deceduto nel 2001 per infarto, a 51 anni, che la spingerà a ritrovarsi, ad aprirsi e a urlare piano, dopo mezzo secolo, il racconto di una discesa agli inferi dell’umana follia e la difficilissima risalita. Dal video documentario realizzato con spezzoni di documenti e interviste rilasciate a giornalisti Rai e Mediaset, emergono immagini crude e pietose che le scorrono dietro, sempre seguite dalla Springer con lo sguardo abbassato e con gli occhi semichiusi. Poi si esprime con parole, tono e gesti, intrisi di intima dignità e rassegnazione. Stessi sentimenti che manifesta quando comunica di essere da oltre un anno in lotta contro il cancro allo stomaco, causa del subìto intervento chirurgico che l’ha molto debilitata, ma solo nel fisico, anch’esso ormai intaccato. Alla fine, in segno di riconoscenza, i ragazzi le hanno offerto un cesto di doni e un bel mazzo di rose rosse, altri hanno voluto renderle omaggio con i loro brevi ma intensi interventi. Il parroco don Battista DI SANTO l’ha ringraziata “per l’insegnamento di vita, convinti come siamo che tutto può essere ripetuto ancora, essendo non automatico che ciò non accada mai più”; il dirigente scolastico prof. Aldo Mario ZACCONE, per il quale “è sempre tempo di sentire, riflettere e meditare, per adoperarsi affinché non si ripetino errori ed orrori, avendo tutti bisogno di riconciliarci con l’eterno Bene e una Pace nuova”; il sindaco Salvatore CAPUTO, sinceramente emozionato come tutti, ha confessato il suo “profondo senso di rispetto per una persona ed un evento importanti, che onorano la nostra comunità e aiutano ad abituarci al clima necessario di tolleranza e di comprensione in ogni aspetto della vita”, ma anche il suo desiderio “di averla ospite ancora l’anno prossimo, in una ricorrenza istituzionale e pubblica”. Accettato l’invito, la signora Springer si è allontanata con l’accompagnatore, seguita dagli sguardi carezzevoli della folla. Per non poco è sembrata ancora presente in sala, poiché nella nostra mente riecheggiavano alcune sue frasi: “Quando i cadaveri sono davvero tanti, più di quanto ne immaginiate, con il tempo si rischia perfino l’indifferenza, essendo impegnati solo a sopravvivere. Ma non mi sono mai pianto addosso. I giovani vogliono avere tutto e subito, ignorando l’etica del sacrificio, la sola che ci fa veramente apprezzare le cose belle. A volte penso che la storia sia passata invano. E anche i Palestinesi hanno le loro ragioni. Le ferite dell’animo non si chiudono mai. Tuttavia, anch’io devo perdonare, se voglio essere perdonata. Apparteniamo tutti alla stessa razza e siamo tutti figli di un unico Dio. Si piange e si ride tutti allo stesso modo. Come voi, ho sempre amato la vita”. Da un racconto di morte, l’elaborazione di un lutto che si conclude con l’inno alla pienezza del vivere.
Salvatore Verde
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