"CinemadaMare" attende i premi - Intervista ad Aureliano Amadei, regista del film "20 Sigarette"
Nova Siri - Si
chiude giovedì 18 agosto, con la cerimonia notturna di premiazione, la nona
edizione di "CinemadaMare", il festival itinerante dei record diretto dal
giornalista Franco Rina, lucano di Nova Siri, dove da sempre si svolgono le
fasi finali del concorso. Che è diventato ormai il più grande raduno di giovani
cineasti provenienti da tutto il mondo. Dovrebbe essere la talentuosa e impegnata regista del
cinema indipendente statunitense Debra Granik, autrice del premiatissimo film "Un
gelido inverno" (tra gli altri, candidato
a quattro premi Oscar), a consegnare l'ambito "Epeo CinemadaMare 2011" (e
1.500 euro) al vincitore del miglior film scelto dalla platea serale degli
spettatori.
Sul palco anche il sindaco della cittadina Jonica Giuseppe
Santarcangelo e il giornalista e regista tursitano Salvatore Verde, presidente
della giuria di esperti (composta da Angela Divincenzo, Ermanno Gabriele
Scarcia, Giuseppe Lasalandra e Luca Silvagni) che assegnerà i premi in denaro
per la migliore regia, sceneggiatura, fotografia, colonna sonora originale, il
miglior montaggio e il/la miglior interprete. Le proiezioni dei film brevi
inizieranno come sempre intorno alle ore 21 in piazza M. Troisi. Dopo quattro
fasi e una lunga selezione nelle regioni del centro-sud dell'Italia, questi i
corti arrivati alla finalissima: "Khanevadeh Salem" (Iran, 6 min.) di Amir Hossain Torabi; "Estigma"
(Spagna, 15 min.) di Paula Lekuona; "Tempus" (Italia, 14,23 min.) di Ivano
Fachin; "The Medic" (Malta, 11,20min.) di Raymond Mizzi; completa la cinquina,
il film selezionato ieri sera "I Could Be Your Grand Mother" (Francia, 18,30
min.) di Bernard Tanguy. Molto attesi anche i riconoscimenti e le attestazioni della
"CinemadaMare Weekly Competition", i film girati dai filmmakers nei set naturali
durante i viaggi e nelle numerose tappe, proprio nello svolgimento della
rassegna. Nell'odierno
pomeriggio, volendo coniugare al meglio la promozione del territorio del Basso
Sinni con il binomio "cinema e turismo", un'ultima escursione di tutta la carovana
del festival a Valsinni, con l'autorevole accoglienza del sindaco Gennaro
Olivieri e la collaborazione del Piot Metapontino. Nell'antica Favale si
visiterà il caratteristico borgo medievale e il celeberrimo castello a ridosso
del fiume, nei pressi del quale si consumò la triste e tragica vicenda della poetessa
Isabella Morra, la cui modernità esistenziale e proto femminista ha molto
intrigato anche l'americana Granik, da una settimana ospite d'onore della manifestazione internazionale e
impegnata nella formazione con autentiche lezioni di cinema.
Verdiana C. Verde
Intervista ad
Aureliano Amadei, regista del film "20 Sigarette"
Nova Siri - "Ricordi atroci, intensi e duraturi, che
segnano in profondità, rinnovati con meticolosa lucidità e autenticità di
sentimenti prima nel romanzo autobiografico (scritto con Francesco Trento,
ndr) e poi nel film, in una
rielaborazione della tragedia davvero incancellabile per un sopravvissuto".
Soppesa le parole, tra riavvicinamento e distanza, il giovane regista romano
Aureliano Amadei, autore di "20 Sigarette", film d'esordio intenso e rigoroso,
che quasi nulla risparmia allo spettatore, in grado di restituire efficace
incisività e visionarietà, con una tecnica narrativa in soggettiva, "quasi a restituire allo spettatore come io
vedevo le cose". Giustamente premiato, tra i numerosi altri riconoscimenti
con il Globo d'Oro come Miglior opera prima. Il suo incontro al festival
itinerante "CinemadaMare, davanti alla platea di filmmaker arrivati da tutto il
mondo, l'intervista del direttore del festival Franco Rina e il successivo
dibattito con i giovani a notte fonda, si sono rivelati tra le maggiori
opportunità di riflessione, almeno sulla stringente attualità politica anche
internazionale, sul ruolo contrastante dei media e sulla personale esperienza
dell'acuto dolore. Il film, infatti, è una notevolissima ricostruzione pure
interiore dell'attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003, nel quale persero
la vita diciannove italiani, 17 militari dei carabinieri e dell'esercito (tra i
quali Filippo Merlino, sottotenente di Sant'Arcangelo di Potenza) e due civili
(uno era il regista Stefano Rolla). Tra i quaranta feriti Amadei, unico
sopravvissuto del gruppo a quella terribile esperienza.
Domanda
- Come nasce (il romanzo e) il film?
A.Amadei - "Ero
nella troupe e solo da ventidue ore in Iraq, giusto il tempo di fumarmi un
pacchetto di sigarette. Dopo la strage ho iniziato a pensarci subito. Per due
anni non ho potuto camminare e anche adesso ne porto qualche segno. Ma non volevo
fare un film di guerra, bensì di sentimenti profondi, di umanità non
superficiale trovata in quell'avventura, oltre i ruoli sociali e i luoghi
comuni. Un ricordo che mi spingeva al racconto, con il quale convivo
quotidianamente, in uno strano processo di rielaborazione: il pensiero non mi
abbandona, né si può dimenticare, perciò ricordo per continuare a vivere, e
dunque, al confronto, tutto assume una sua più giusta e naturale collocazione e
relativa importanza".
Da
una esperienza così tragica se ne esce certamente cambiati.
"In questo senso:
io ero e resto pacifista e anarchico, non condivid(ev)o le missioni all'estero,
ma questo non mi impedisce di riconoscere l'inadeguatezza delle proprie idee e
di vedere la complessità vera dell'animo umano, con tutte le sue intime contraddizioni.
Tutti i militari in missione non sono eroi, come tanta propaganda imbastisce,
ma neppure possono essere liquidati con l'esatto contrario, ritenendoli dei
mercenari. Un uomo è qualcosa di più della divisa che indossa, dello schema
sociale nel quale lo si vuole ingabbiare. C'è una ricchezza multiforme in
ciascuno di noi. C'è molto da imparare a vivere anche dal senso di colpa".
Nel
film sembra che coesistano più generi e stili.
"È così. Dapprima
avevo cercato di visionare taluni film che pensavo mi potessero agevolare
nell'ideazione. Poi, con gli sceneggiatori, volutamente lo abbiamo strutturato
in più codici espressivi, dalla commedia iniziale allo psichedelico, dal noir
al bellico, all'horror, quasi a restituire il senso dello spaesamento del protagonista
e lo spiazzamento dello spettatore rispetto alla narrazione, esattamente come
avviene nella quotidianità della vita,
con i suoi scatti imprevedibili".
L'utilizzo
della soggettiva, peraltro tipico di tanto cinema dell'orrore, è una scelta
linguistica e tecnico-formale assolutamente coerente.
"Si, è il modo più
onesto che avevo a disposizione per restituire il mio punto di vista, senza
dover cedere a forme esplicative lunghe e laboriose oltre che inutilmente spettacolarizzanti".
Dove
le riprese? Difficoltà per l'esplosione?
"Abbiamo girato
vicino a Roma e in Marocco, in ventuno giorni, ed è stato montato in digitale
in circa tre mesi. La scena dell'esplosione è stata lunga e laboriosa, con una
settimana di preparativi. Ciak unico con un'unica cinepresa. Senza possibilità
di errore, che a un debuttante regista non sarebbe stato perdonato. Ma tutto è
andato bene".
L'Arma
dei carabinieri come ha reagito al film?
"È stato un
susseguirsi di reazioni, dapprima freddine e poi sempre più di appoggio
convinto, agevolato dal crescente successo di critica e di pubblico. Alla
Mostra di Venezia quindici minuti di applausi. I commenti elogiativi del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ci ha fatto l'onore di
venirlo a vedere alla prima romana, nella sala vicino al Quirinale.
Soprattutto, l'appoggio dei familiari delle vittime. Insomma, un insieme di
cose che non poteva lasciare indifferenti o con code critiche fuori luogo".
Notizie
sul suo prossimo progetto.
"Ci sto pensando
molto. Leggo parecchio e devo valutare ancora quello da realizzare. Posso dire
che sarà di tutt'altro genere. Non soltanto perché sarebbe difficilissimo per
me replicare un film simile, di più perché ho necessità vitale di fare altro".
Il
cinema digitale, con i suoi bassi costi e la maneggevolezza tecnica, aiuterà la
"democratizzazione" del cinema?
"Vorrei che
accadesse, ma non è così. Il mezzo tecnico aiuta e le idee sono certo più
importanti, ma il tutto è inserito ancora in una logica chiusa di sistema, con
tutte le sue regole ferree".
L'impressione
di questa esperienza festivaliera.
"Per me vale un
vostro slogan pubblicitario, mi dicono: Basilicata, bella scoperta. Sono
passato una sola volta in vita mia dai Sassi di Matera e poi in un viaggio di
attraversamento su un trenino. La costa Jonica è molto accogliente e i paesini
assai caratteristici, ma la cosa che più mi ha segnato è stato l'arrivo in
auto, lungo un paesaggio struggente e di mirabile e onirico fascino: nel verde
intenso, vicino al lago, sotto le montagne
(la Val d'Agri, ndr), che mi ha evocato subito la scena finale di "Blade
Runner" capolavoro di Ridley Scott. E poi, confesso che amo i laghi e quello lucano (la diga del Pertusillo, ndr)
vorrei perlustrarlo in barca a vela. Insomma, una regione poco conosciuta e
lontana nell'immaginario, ma di incredibile bellezza, accoglienza e bontà
(aria, ambiente, cibo e rapporti). Prima di ripartire (ieri, ndr) e raggiungere
i miei familiari nel Parco nazionale d'Abruzzo, ho chiarito al direttore Rina:
se mi inviti arrivo di corsa, ma per starci parecchio e a fianco dei giovani.
‘CinemadaMare' è una formula festivaliera unica e geniale".
Verdiana C. Verde
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