"TERRAPADRE MATERIALI POETICI DAL SUD" DI E CON
ANTONIO PETROCELLI
IL NUOVO SPETTACOLO È UN MONOLOGO LETTERARIO
E GRANDE PROVA ATTORIALE
Tursi - Dopo anni
di ideazione e preparazione, ha debuttato lo spettacolo "Terrapadre. Materiali poetici dal
sud" di e con Antonio Petrocelli.
Rappresentato in anteprima nei giardini pensili del Palazzo Ducale di Presicce
(Lecce), la performance teatrale ha
chiuso il Festival Salento Negroamaro,
con notevole successo di critica e pubblico entusiasta. Per due ore circa il
monologo in lingua e in dialetto lucano di Petrocelli, ha rapito l'attenta e vasta
platea con "un viaggio dinamico e critico attraverso gli scritti di figure essenziali della cultura del Sud",
ovvero con una originale riproposizione dei testi dei maggiori poeti lucani: Orazio, Morra, Scotellaro, Sinisgalli,
Pierro, Riviello, Di Consoli,Trufelli, Linzalone, con altrettante pagine
preziose tratte dalla Bibbia e di Battiato,
Bodini, Calamandrei, Leopardi, Lorca, Lucrezio, Luzi, Pagnanelli. Chiarisce
l'impegnato attore-autore di Montalbano Jonico: "l'insieme sollecita una prima
riflessione sulla ricchezza poetica e letteraria della nostra terra e
arricchisce, consolida e segna un tratturo di identità culturale legata al
territorio, che si misura con la sua storia e le sue radici, non solo luogo
(comune) di silenzi preistorici, di fatiche legate alla terra, di valori
immobili, ma luogo in cui il rovesciamento culturale appare possibile e
auspicabile. Il tentativo è quello di mettersi di fronte alle proprie fragilità
culturali per scoprirsi più solidi e autonomi". Così Petrocelli, con una laurea
e un romanzo alle spalle, spiega la genesi creativa: "Durante le mie letture ho
messo da parte pagine che mi sembravano preziose e essenziali da conoscere,
poi, le ho intrecciate in un discorso unitario
per comporre un organico percorso sull'identità culturale del Meridione e
della Lucania in particolare, affrontando i temi dell'amore, del lavoro, della
religione, della fertilità, dell'esistenza, della famiglia, della sofferenza,
della morte, come parti di una paternità culturale urgente nell'era
contemporanea". Ai materiali poetici alti, si alternano pezzi di repertorio in
dialetto, comico drammatici, "volutamente in un linguaggio basso per raccontare
al meglio luoghi, figure ed esperienze di chi consuma quotidianamente il suo
rapporto diretto con la terra: la nascita del cafone, la vita del pastore, le
imprecazioni dei contadini, le preghiere inascoltate di una madre, la delusione
di tesori mai trovati". Coerente il suo desiderio di volerlo presentare presto
in Basilicata, "se mi sarà data la possibilità". Dunque, uno spettacolo con
ridottissime necessità tecniche, ma di forte impatto culturale, per una grande
prova attoriale di uno dei più noti caratteristi del cinema italiano (con lievi
incursioni televisive) e come valore di un autentico intellettuale meridionale
(parole del regista Marco Bellocchio).
Salvatore Verde - da LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
DICHIARAZIONI
DELL'ATTORE-AUTORE
Durante le mie
personali letture ho messo da parte pagine che mi sono sembrate preziose e
essenziali da conoscere. Ho voluto
intrecciarle in un discorso unitario
per comporre un organico percorso sull'identità culturale del sud e
della Lucania in particolare. Molto sinteticamente ho imbandito ciò che io
definisco il tavolo del mio pasto poetico e lo offro a chi vuole favorire con
me.
È uno spettacolo la
cui struttura portante si basa sui testi
dei maggiori poeti lucani a cominciare da Orazio, Morra, Scotellaro, Sinisgalli, Pierro, Riviello, Di
Consoli,Trufelli, Linzalone, per sollecitare una prima riflessione sulla
ricchezza letteraria della nostra terra. A questi testi si aggiungono
altrettante pagine preziose tratte dalla Bibbia
e di Battiato, Bodini, Calamandrei,
Leopardi, Lorca, Lucrezio, Luzi, Pagnanelli, per arricchire, consolidare e
tracciare un tratturo di identità culturale legata al territorio, inteso come luogo della terra, il meridiano
in cui ogni sud si misura con la sua storia e le sue radici.
Terrapadre vuole essere
un viaggio dinamico e critico attraverso gli scritti di figure essenziali della cultura del Sud,
non solo luogo (comune) di silenzi preistorici, di fatiche legate alla terra,
di valori immobili, ma luogo in cui il rovesciamento culturale appare possibile
e auspicabile. La civiltà contadina con le sue raffigurazioni totemiche che
propongono una cultura inamovibile si presenta come destinata ad essere
distrutta e reinventata come l'alba di un nuovo giorno, secondo la felice
intuizione di Scotellaro.
Si affrontano i
temi dell'amore, del lavoro, della religione, della fertilità, dell'esistenza,
della famiglia, della sofferenza, della morte come parti di un tutto, di una
paternità culturale, che si presenta nell'era contemporanea come una urgenza,
come luogo del riconoscimento e dell'identificazione dei popoli del sud.
Ai materiali
poetici alti, si alternano pezzi di repertorio in dialetto, comico drammatici;
pezzi volutamente in un linguaggio basso per raccontare al meglio luoghi e
figure che hanno attinenza stretta con l'esperienza e la vita di chi consuma
quotidianamente il suo rapporto diretto con la terra. Quadri che fanno da
contrappunto critico e che raccontano la
nascita del cafone, la vita del pastore, le imprecazioni dei contadini, le
preghiere inascoltate di una madre, la delusione di tesori mai trovati. Materiali
alti e bassi si fondono per una lunga circumnavigazione e riflessione sulle
proprie radici.
Terrapadre inizia con il Canto Notturno di Leopardi perché nei testi
poetici scelti per lo spettacolo sentiremo echeggiare i temi che vengono
evocati da Leopardi e perché è un canto che, ponendo l'uomo al confronto con
l'universo, è nello stesso tempo esistenziale, materialista e teologico. Per
assurdo, proprio ciò che risulta destabilizzante per Leopardi (l'universo
stellare) può essere anche motivo di conforto: noi siamo figli del big bang e
quando moriremo ritorneremo alla materia stellare che ci ha generato. E in
questo credo che consista la nostra eternità. Dopodichè si succedono gli
sguardi con cui i vari scrittori vedono
il Sud e le sue contrade, per finire con la versione sorprendente e originale
di un pastore che ci dà la sua
interpretazione particolare dell'universo.
La traduzione della
poesia Postume Postume di Orazio in
dialetto introduce il tema di chi è partito per fare fortuna altrove e di chi
come la povera Isabella Morra è rimasta prigioniera a Valsinni senza poter
raggiungere il padre in esilio. Il capitolo su Isabella appare doveroso perché
tutta la sua poesia ha come fulcro la figura del padre assente. Se Dante viene
considerato il Padre della lingua italiana, per Isabella possiamo dire che ne è
la madre, sia perché Isabella ci ha lasciato memorabili endecasillabi di una
rara potenza espressiva, sia per la sua influenza su altri poeti italiani,
primo fra tutti Leopardi.
Il capitolo
dell'amore è occupato dalla petrarchesca poesia di Pierro sugli innamorati, che
racconta come due figli di contadini si ritrovano da un giorno all'altro
combinati dai propri genitori in matrimonio e di come apprendono giorno per
giorno il rumore confuso e piacevole dell'incanto amoroso, e dalla canzone
delle rime XII di Isabella che, spinta dalla sua fede, ci canta un amore
mistico e carnale, una descrizione appassionata del corpo amato di Cristo, con
un trasporto sensuale che può tranquillamente definirsi unico esempio
letterario di erotismo mistico. Il canto di Isabella introduce il capitolo del
rapporto con Dio e con la gerarchia della chiesa, in cui per pari intensità
mistica è presente una memorabile poesia canzone di Battiato. Il capitolo si chiude con la colorita
versione dialettale di Carpe Diem.
Una madre dolorosa
spiega al figlio neonato quanto sia duro lavorare sulla terra aspettando che piova e lo ammonisce a non
fidarsi dell'aiuto di Cristo e dei manacielli che regalano tesori. Il figlio
deve contare solo sulla propria intelligenza. Il tema della fertilità della
terra viene sviluppato da Lorca con il suo Grido
a Roma e dall'immancabile Orazio con la cristallina voce della Fons Bandusiae.
Il giro finale
dello spettacolo apre la riflessione costante su cosa significhi essere
fertili, di come gestire l'orgoglio di quello che si è con la necessità di
aprirsi alla conoscenza, senza chiudersi da soli in riserve indiane, ma
cercando padri che ci facciano sempre crescere.
Terrapadre è uno spettacolo di due ore che rivisita le proprie radici: il
tentativo è quello di mettersi di fronte alle proprie fragilità culturali per
scoprirsi più solidi e autonomi. Alfonso
Gatto quando parla di paternità culturale intende dire che riconoscersi nei
propri padri, sapere di chi si è figli è condizione indispensabile, per essere
in armonia con la propria storia e per proiettarsi nel futuro consapevoli delle
propria forza. Di fronte a spinte degenerative che hanno costretto a rifugiarsi
nell'assistenzialismo, nelle clientele, nell'antistato e nel familismo amorale,
il bisogno del padre deve tradursi in una convinta rivolta culturale che ci
permetterà di essere piuttosto che apparire.
Terrapadre, una rizollatura, è stato lo spettacolo di chiusura del
Festival Salento Negroamaro ed è stato rappresentato il 22 agosto nei giardini
pensili del Palazzo Ducale di Presicce (Lecce). Durata dello spettacolo: due
ore circa. Necessità tecniche: piazzato minimo, impianto di amplificazione,
microfono ad archetto obbligatorio.
Antonio PETROCELLI
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