BASILICATA COAST TO COAST (2010)
regia di Rocco PAPALEO
Interpreti (e
ruoli): Alessandro Gassman (Rocco),
Paolo Briguglia (Salvatore), Max
Gazzè (Franco), Rocco Papaleo (Nicola), Giovanna Mezzogiorno (Tropea), Michela Andreozzi (moglie di Nicola), Claudia Potenza,
Antonio Gerardi, Augusto Fornari, Gaetano Amato. Soggetto
e sceneggiatura: Valter Lupo, Rocco Papaleo; Fotografia: Fabio
Olmi; Scenografie:
Sonia Peng, Elio Maiello; Montaggio: Christian Lombardi; Suono: Francesco
Liotard; Costumi:
Claudio Cordaro; Casting
e aiuto regia: Livio Bordone; Segretaria di edizione: Viviana
Grimaldi; Direttore
di Produzione: Francesco Ruggeri; Organizzatore Generale: Massimo
Monachini; Produzione:
Isabella Cocuzza, Arturo Paglia
per Paco
Cinematografica - Eagle Pictures - Ipotesi Cinema; Distribuzione: Eagle Pictures; Durata 105 min;
Paese: Italia, 2010; Fotografia-Formato: colore; Genere:
commedia musicale; Prima nazionale: venerdì 9 aprile 2010. Location: Maratea, Lauria, Viaggiano,
Tramutola, Aliano, la diga del Pertusillo sull'Agri, Craco, Scanzano Jonico e
altri posti. Frase celebre: la
Basilicata
esiste, è un po' come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi.
Lungometraggio
interessante
e assai gradevole, solo in apparenza di facile lettura, da incastonare
a buon diritto nel filone
della migliore tradizione della commedia all'italiana e del neorealismo
(rosa),
dal tono lieve e mai banale, per il divertimento assicurato degli
spettatori non
soltanto lucani che ridono di gusto, con qualche applauso a scena
aperta, a
sottolineare le sequenze più riuscite. Insomma, a cinquantuno anni un
maturo debutto
registico oltremodo positivo per Rocco Papaleo, lucano verace che rende
il grande
tributo alla sua (e nostra) terra già nel titolo, come non accadeva nel
cinema
professionistico dai tempi dei corti e dei documentari d'annata. E anche
se non
tutto è perfetto (notiamo qualche ridondanza della sceneggiatura e in
alcuni
dialoghi, oltre il parziale affinamento della psicologia dei personaggi e
l'abbondanza dei primi piani, senza sottacere l'ideologia del disegno
filmico
più generale, supportato da un pregiudizio autoriale favorevole), è
comunque il
suo piccolo-grande capolavoro, a lungo sognato, inseguito, sedimentato e
costruito, dopo oltre venti anni di dignitosissima carriera come valente
musicista-cantante
e più noto attore del cinema italiano.
Papaleo
(nato nel 1958 a
Lauria, in provincia di Potenza) segna la sua prima regia con una
ispirata commedia corale, scanzonata e picaresca alla
Monicelli-Risi-Comencini,
a tratti poetica e geniale, e con tanta buona musica fintamente
improvvisata.
L'opera è destinata comunque a far
discutere sulla lucanità d'altri tempi (di)mostrata, però con rara
sensibilità,
acuta intelligenza e smisurata sincerità. Il film, infatti, è totalmente
ambientato
proprio nelle sue zone di origine e sono moltissime le amministrazioni
locali e
la stessa Regione che hanno dato il contributo, ritenendolo una
importante
operazione di marketing territoriale (il successo al botteghino di
questi
giorni in ogni parte d'Italia sembra dar loro ragione, salvo verificare
il previsto
ritorno di immagine e, a breve, legato
al cine-turismo). I luoghi sono quelli sempre affettivamente vicini che
più
hanno segnato la crescita intellettuale e di cineasta dell'ormai più
famoso
Rocco lucano, in particolare quelli della formazione, mentre gli anni
della
maturità sono stati vissuti altrove professionalmente (e non poteva
essere
diversamente).
Basilicata
coast to coast, da costa a
costa, dunque in progressivo senso orario dall'ovest a est, dal mar
Tirreno
allo Jonio, è il lungo itinerario che dà il titolo al film, mascherando
una
sorta di pellegrinaggio laico (dalla luce del giorno al buio conclusivo
rischiarato dalla luna, che sembra preludere a una nuova alba dopo la
sonata dei
lunatici), fino alle fondamenta delle inestirpabili radici (sacro e
profano si
intersecano più volte nella dialettica antico-moderno, dal Gesù
marateota alla
processione della Madonna Nera, dalla parrocchia al prete). E
l'attaccamento
alla propria terra è un sentimento universale, accentuato dalla
complessiva insistenza
dei protagonisti (chi più chi meno) a esprimersi con il dialetto, lingua
materna per eccellenza. Intenzionati a
partecipare a
"Scanzonissima: Festival del teatro-canzone di Scanzano
Jonico"
(in provincia di Matera), il gruppo, non esattamente
una band di musicisti (autodenominatisi "Le pale eoliche"), attraversa a
piedi la parte centro-meridionale della regione. L'intenso viaggio
inizia all'ombra della gigantesca statua del Cristo di Maratea e si
rivela per
tutti carico di imprevisti e di incontri inattesi, con qualche problema
nella
(post)modernità lucana (segnata solo dagli ipertecnici mulini a vento,
da un
enorme acquedotto, all'ombra del quale si registra un serio incidente
automobilistico, e da un tradizionale invaso artificiale a cono di
cemento). Ma
Papaleo predilige riferirsi sempre alla Basilicata (non Lucania),
storica nominazione
del territorio, notoriamente disabitato fuori dai pur numerosi centri
urbani,
dove gli abitanti scarseggiano e non si incontra neppure un cane. Le
uniche
bestiole sono i pesciolini rossi, limitati nei trasparenti contenitori
della
quotidianità, per uscire dalla quale bisogna dedicarsi all'arte e
affrontare
qualche rischio, come i pesci d'acqua dolce appena pescati e poi
liberati, o
come un gallo, al quale si dovrebbe "fare la festa" ed è invece
scambiato con
sei uova, oppure come un gregge di pecore, anch'esso nella fatica della
transumanza, considerando a parte l'anonima giumenta bianca (neppure una
gag la eleva a rango di protagonista animale), destinata solo a trainare
il
carretto dove sono caricate le vettovaglie degli aspiranti nomadi.
Nel
tragitto
discendente (dalla montagna al mare), virtuoso e non regressivo,
avanzano i
quattro amici pacifici e non violenti: Rocco
Santamaria (Alessandro Gassman), giovane attore già al tramonto,
percussionista;
Salvatore (Paolo Briguglia), dopo una
delusione amorosa studente fuori corso di medicina, alla chitarra;
Franco (Max
Gazzè), falegname "muto" a causa della
morte della sua amata, al contrabbasso; Nicola Plamieri" (Rocco
Papaleo), docente
di Educazione artistica, poeta e musicista sognatore. A loro si
aggiungono
compagni di strada, come la demotivata giornalista e operatrice
televisiva (Giovanna
Mezzogiorno), in conflitto con il padre onorevole, e poi una promessa
sposa che
si unisce per un tratto (Claudia Potenza), in vena di un inebriato e
trasgressivo
addio al nubilato. Con l'elogio della lentezza e di un ritmo ormai
inattuale,
nella rivisitazione di alcuni "veri luoghi comuni" (splendidi paesaggi,
gente
allegra e ospitale, invecchiamento della popolazione e qualità della
vita) la comitiva
imbocca vie non più praticate e si avventura nella natura, con il
rischio di
smarrirsi ma non di perdersi, confidando nel potere vincolante della
musica
salvifica. E nel reciproco confronto oltre che per ripulirsi, il
quartetto
maschile dovrà denudarsi, anche in senso letterale (compreso il regista
che con
questo film si è messo davvero a nudo).
Insomma, come molti grandi film
delle
varie cinematografie mondiali hanno insegnato ormai a diverse
generazioni, il tradizionale viaggio "on the road" assume
una connotazione metaforica, valoriale e anche terapeutica per chi lo
affronta,
fondamentale almeno quanto la meta (non sempre la si raggiunge con
successo).
Il cambiamento si rileva in termini di crescita interiore ed
esistenziale,
personale e collettiva, perché insieme non si cammina mai invano;
inoltre, la
consapevolezza emerge nella comprensione del sé e del mondo circostante,
ovvero
la realtà antropologica e
socio-culturale della Basilicata misconosciuta e marginale,
straordinariamente pervasa da silenzi e
solitudini, ma incredibilmente vitale e
ammaliatrice, con il senso dell'ospitalità e la ricchezza degli spazi
incontaminati. Intervallato
da brani musicali (realizzati con sicurezza dall'esperto Papaleo, già
co-sceneggiatore di Viola bacia tutti
di Giovanni Veronesi, altro intrigante film del 1997 sugli
"insegnamenti" della
strada), questa simpaticissima opera prima dal tono teneramente
autobiografico
e malinconico, abbonda di dialoghi cabarettistici, stralunati e
amarognoli, di rocambolesche ed esilaranti trovate,
molto efficaci per far risaltare la contraddittoria
condizione umana degli antieroici personaggi, giovanilistici eppure
crepuscolari, in un crescendo ingegnoso e appassionante fino all'atteso
sorprendente epilogo: l'obiettivo dell'appuntamento è vanificato, ma non
certo inutili
sono le ragioni che lo avevano ispirato, ricercato e animato.
Simpaticamente
misurato
come attore, con tutta l'ottima itinerante compagnia in stato di
grazia,
l'autore si rivela accorto nella scelta dei collaboratori: dal valente
co-sceneggiatore
Valter Lupo alla solare e umida la fotografia di Fabio Olmi, dalla
trascinante
la colonna sonora dei titoli di Gazzè al ritmico montaggio di Christian
Lombardi. Papaleo è anche oltremodo efficace nella sapiente regia,
distillando ambienti
e paesaggi funzionali e non oleografici o da cartolina, mentre sono
davvero
tanti i luoghi lucani affermati e/o mostrati: Trecchina, Latronico,
Tramutola,
Lagonegro, la Val
d'Agri, (i fagioli di) Sarconi, (l'Aglianico del) Vulture, (il
cinespettacolo
della) Grancia, oltre Craco, Aliano, Maratea e Scanzano Jonico (ma la
lista è
lunghissima nei titoli di coda dei ringraziamenti). Senza dimenticare
l'accenno
alle confinanti regioni meridionali: Tropea in Calabria e San Giovanni
Rotondo e
Radionorba in Puglia, oltre a Roccaraso in Abruzzo, in una sorta di
gemellaggio
tra località turistiche del post-terremoto.
Neppure mancano le altre
riattualizzate
citazioni letterarie e del cinema in Basilicata: Carlo Levi e Gian Maria
Volontè,
accomunabili nel Cristo si è fermato a
Eboli di Francesco Rosi, ad Aliano e nel paese fantasma di Craco,
set
naturale ormai noto anche a Hollywood; la doccia nei film
(spaghetti)western, diversi
dei quali girati proprio nei pressi del piccolo ponte crachese sul
Cavone; il
tocco e tono sovracaricaturale di alcune sequenze movimentate come in Terra
bruciata di Fabio Segatori (con uno
dei set nella diga del Pertusillo); Rocco
e suoi fratelli di Luchino Visconti, evidente nella affettuosa
storpiatura
"Rocco e i suoi cugini"; "I Basilischi" di Lina Wertmuller, nella passeggiate delle donzelle per le vie del paese; la presenza di Giovanna Mezzogiorno, già
attrice in
Lucania nel film Del perduto amore di
e con Michele Placido, il co-protagonista era lo stesso Papaleo; per non
dire
figurativamente dei corti di Luigi di Gianni (La
Madonna di
Viaggiano) e in quelli demo-antropologici di Ernesto De Martino,
degli anni
Cinquanta del Novecento; se allarghiamo lo sguardo oltreoceano, suggestioni lontane ci sovvengono perfino da Buster
Keaton
e Gaucho dei fratelli Marx, omaggiati dal personaggio loquacemente muto
di Max
Gazzè (che fa venire in mente, per la condotta mutacica, anche il personaggio di Pasquale in Bianco, rosso e Verdone di Carlo Verdone), e i moderni briganti-cavalieri "Knightriders " di George Romero, con il casco motociclistico in
testa , ma anche i film sulla mafia di Francis Ford Coppola e il cinema
di
genere dello stesso Quentin Tarantino che cita a sua volta i film italiani. Insomma,
non si
pratica tardivamente, come Papaleo ha fatto egregiamente, un salto qualitativo dietro
la mdp
senza una opportuna riflessione culturale sulla settima arte.
Alcuni
puristi ipercritici proveranno a storcere il naso, sostenendo la
mancanza di
denuncia, l'assenza di cattiveria e l'evanescenza dell'impegno politico
nella struttura dello
sviluppo narrativo, a loro dire non solo superficialmente connotato da
una comicità di tipo verbale,
che attinge alla tradizione orale e prealfabetica, e
teatrale-televisiva, di
impronta cabarettistica; con ciò non volendo ammettere che c'è tanto
buon
cinema in questo grazioso film sovraccarico di (con)senso e parodistico
nonsenso.
Lungi dall'essere un limite, tutto questo a noi pare una scelta di
pregio e non
da poco, in un periodo di acuta finzionalità
del potere e in coloro che ci rappresentano recitando, sovente
prim'attori d'avanspettacolo
anche nel dramma dei tanti problemi tuttora irrisolti della mitologico-magica
terra di Lucania.
Salvatore Verde
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