CinemadaMare, intervista esclusiva al grande regista iraniano Mohsen Makhmalbaf
Si è
appena conclusa la undicesima edizione di CinemadaMare, il festival itinerante,
presto diventato il più grande raduno di cineasti provenienti da tutto il mondo
ed esportato in diverse regioni italiane. La formula innovativa, di far
realizzare i film in ogni tappa ai giovani accreditati, si deve all'intuizione
del direttore Franco Rina, giornalista lucano proprio di Nova Siri, dove si
svolge da sempre la fase finale.
Il prestigioso Epeo 2013 è assegnato dal
pubblico al Miglior film, mentre la giuria di esperti attribuisce i sei premi
speciali (ne daremo conto domani, perché la cerimonia si è protratta a notte
fonda). Ma su CinemadaMare giganteggia ancora la presenza dell'altro ieri del
pluripremiato grande regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, che abbiamo
intervistato in esclusiva prima del definitivo ritorno a Londra, ma dopo la
proiezione del suo capolavoro "Viaggio a Kandahar" (2001) e dopo il sopralluogo
in cerca di location a Tursi.
D. -
Maestro, lei ha annunciato proprio qui a CinemadaMare di voler girare il suo
prossimo film anche nella nostra regione. Può anticiparci qualcosa e quali
ambientazioni potrebbero interessarla.
R. - Posso
dire che lo realizzerò nell'Italia meridionale e vorrei davvero lavorare in
Basilicata. Si tratta di un film che non richiede finanziamenti ingenti. Sono
impegnato nella ideazione di almeno tre film, uno è già pronto e sul contenuto
mantengo un comprensibile riserbo, anche se lo potremmo definire di realismo
fantastico. Tre anni addietro ho visitato Matera e i Sassi, adesso il
territorio e la Rabatana di Tursi. In verità sono paesaggi di sconvolgente
attrattiva. Non io ho sognato di essere qui, ma ho quasi l'impressione che il
mio viaggio aspettasse che ciò accadesse. Tursi è un luogo oltre
l'immaginazione, un luogo che ne contiene molti altri e ognuno dei quali
meriterebbe di farci un film. Se per sventura tutto scomparisse, nella ricostruzione
si dovrebbe cominciare da un habitat unico, variegato, magico e incantato come
questo, che ti spinge verso l'arte e irrobustisce l'ispirazione.
D. - Da un
millennio il paesaggio è definito "le terre del silenzio", riattualizzato come
"la terra del ricordo" dal poeta tursitano Albino Pierro .
R. - In
persiano sarebbe "sarzemini sokoot", dal significato plurimo e complesso, che
investe l'inconscio e la razionalità, un luogo della profondità dell'anima, di
struggente fascinazione, che si addice al senso di realtà visionaria e
dell'etica del mio fare cinema. Che è sempre attento a mantenere viva la
curiosità dello spettatore, il suo bisogno di sognare e a veicolare la
comprensibilità del messaggio. Amo molto il cinema neorealista italiano e Federico Fellini in particolare.
D. - È
anche una critica aperta al capitalismo (hollywoodiano)?
R. - Si
certo. Ne riconosco il progresso della tecnica, ma il capitalismo riduce tutto
alla esasperazione della competizione, alla ricerca del denaro, alla perdita
dell'essenzialità dei valori. Così dalle mie parti, all'inverso, tutto è
pervaso di dogmatismo, anticamera del fanatismo, causa dello stallo involutivo
della "primavera" araba.
Salvatore
Verde
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