Intervista a Babak Payami di
Salvatore Verde.
Il grande regista iraniano sarà
ospite di CinemadaMare, sabato 11 luglio a Matera
Babak Payami, quarantatreenne regista e
sceneggiatore indipendente tra i più interessanti
del nuovo cinema iraniano, sarà ospite sabato alla tappa di Matera (11-16
luglio) del Festival CinamadaMare.
"Una doverosa presenza legata all'emergenza della questione iraniana -
chiarisce il direttore della rassegna Franco Rina, giornalista del network "La
7" - I nostri giovani filmaker, nel rendergli omaggio, manifestano solidarietà
e sostegno a chi lotta per la democrazia e la libertà, senza le quali neppure
l'arte ha possibilità di manifestarsi appieno".
Abbiamo intercettato Payami, esule in Italia, mentre si avvicina alla Città dei Sassi.
D. - Dal suo osservatorio di cineasta indipendente, qual'è
la situazione attuale in Iran?
R. - I miei ultimi film in Iran mostrano il mio punto di
vista. Il voto è segreto (2001)
rivela le dinamiche interne, dove il
sistema politico e il popolo sono enormemente alienati l'uno dall'altro, a
causa del fascismo religioso che governa. Il trentennale regime è
principalmente il prodotto di una ideologia che fallisce dentro la cultura
islamica. Ma la crescita della classe dirigente
era inevitabile in un paese con enorme potenziale economico e
geopolitico. I giovani iraniani oggi sono una guida riformista e non gli
elementi riformisti dentro il regime. Il
movimento verde del 2009 rivendica uno stato basato sui principi fondamentali e
universali di libertà, giustizia e autodeterminazione. Circa 40 milioni di
giovani uomini e donne, la maggior parte
dei quali è nata dopo la rivoluzione islamica, hanno dimostrato che i loro
interessi, desideri e aspirazioni sono molto più civilizzati rispetto a quelli di
una primitiva teocrazia islamica che cerca di forzare ovunque l'uniformità
sociale, politica e religiosa. La delimitazione della tragica caduta della
dottrina della Repubblica Islamica dell'Iran è nella stessa storia (di una
società storicamente multiculturale, multietnica e multi religiosa): ogni
dittatura è destinata a fallire, con la dicotomia soldi/potere. Il mio ultimo
film, Il silenzio tra due pensieri (2003), mostrava l'inizio della
fine di un simile governo.
- Anche le ultime elezioni presidenziali sono state una
mera illusione?
- Ho sempre ritenuto che tale sistema elettorale non
abbia nessun rapporto con i principi della democrazia. Gli eventi recenti hanno
dimostrato che la volontà del popolo sovrasta il controllo di un regime che si
dissolve. Nel film Il voto è segreto la futilità di questa illusione era descritta
dietro la maschera di una farsa surreale.
- La Settima Arte contribuisce al processo di
democratizzazione?
- L'arte in generale potrebbe non essere in grado di
cambiare la società, però potendo avere un impatto sulla visione che si ha
della società, portandola a riflettere su se stessa. Penso che l'arte è nel
migliore dei casi una cristallizzazione dello status quo e, nel suo massimo
splendore, la proiezione di tale condizione in un futuro ipotetico. Fino a che
grado l'arte possa aiutare lo sviluppo sociale è indefinibile. La politica è un
mondo di realismo, mentre l'arte è un
mondo di idealità, che a volte può ispirare il cambiamento della realtà,
poiché illuminante o ispiratrice per i
suoi spettatori. Gli artisti iraniani
hanno dimostrato l'efficacia della loro resistenza di fronte a un regime che
cercava di ridurli al silenzio in modo assai brutale. La motivazione ideologica
mina l'arte, perciò la distribuzione delle vaste risorse del regime iraniano
per supportare opere ideologicamente orientate è fallita. Tale disastro ha aumentato il loro risentimento verso la
comunità delle arti e degli artisti indipendenti, aumentando la repressione. Ma
l'oppressione e la dittatura corrompono l'arte, sempre.
- Come è cambiato il cinema in Iran?
- La produzione dei film in Iran ha più di 100 anni. La
vasta storia culturale ha avuto un'influenza diretta anche sul cinema.
Nonostante la censura, la cattiva distribuzione delle risorse e la limitazione dei
registi indipendenti, il cinema iraniano ha goduto di una ricca tradizione
estetica e tecnica. Gli sviluppi tecnologici nella produzione dei film hanno
aiutato i registi indipendenti a superare gli ostacoli posti dalla censura.
- I suoi lungometraggi hanno una lunga
sedimentazione di scrittura e realizzazione, oppure lo si deve ad altre difficoltà?- - Ho fatto tre film
durante i cinque anni tra il 1998 e il 2003, quando il mio ultimo film è stato
confiscato e mi hanno costretto all'esilio. Ci ho messo tempo per riprendermi
dagli attacchi viziosi del regime contro di me e il mio lavoro. Ora sto facendo
film fuori dall'Iran, costruiti in Italia.
- Il linguaggio utilizzato (con altri autori come Kiarostami, Makhmalbaf, Panhai) è anche
una poetica dell'essenza del cinema-cinema (piani sequenza, macchina fissa, primi piani insistiti,
dialoghi scarsi, attori non noti, ecc.): stile necessitato o anche una velata
critica al cinema miliardario occidentale e ipertecnico?
- Non credo che un certo stile nell'arte scaturisca come
una forma di protesta contro un altro stile. Nel processo della creazione di
film ci sono molti fattori in gioco. La censura governativa in molti Paesi come
l'Iran, i requisiti di una storia particolare, l'economia necessaria, così come
le scelte artistiche dei registi sono tra i tanti fattori che influenzano lo
stile di un film. I film che ho fatto in Iran hanno descritto situazioni e
storie che richiedevano determinate scelte stilistiche, basate e limitati alla
mia conoscenza di regia. Avrei potuto fare scelte diverse se avessi dovuto fare
un film sul furto di una banca in Tehran o un film sull'assassinio di una
giovane ragazza innocente in mezzo a una protesta pacifica sulle strade di
Teheran!
- Il prossimo film?
- Sebbene lo stia realizzando fuori dall'Iran, come molti
miei colleghi iraniani sono condizionato a una certa segretezza, finché sarà
pronto per la distribuzione, spero molto presto. Solo allora potrò parlarne
serenamente. Le vecchie buone abitudini sono dure a morire!
- Il
suo è un gradito ritorno.
- "Si, la regione
Basilicata mi è molto cara, al di là della bellezza naturalistica, poiché ho
imparato tanto dalla sua ricchezza culturale. Molti dei miei migliori amici
sono nativi di Potenza, dove sono stato la prima volta nel 2003, onorato di
essere nella giuria del locale Film Festival di Antonello Faretta. Ci sono
ritornato due anni dopo per uno dei miei workshop filmici (realizzando molti
corti). Con amici registi internazionali evochiamo sovente amabili ricordi di
questa regione. Sono onorato del nuovo invito per Matera".
Salvatore Verde
(collaborazione tecnica e traduzione di Ahmad Rafat e
staff di CinemadaMare)
Scheda - Babak Payami (Teheran, 1966), pluripremiato regista e
sceneggiatore iraniano. Cresciuto in Canada, dove ha studiato cinema a Toronto
e girato alcuni cortometraggi e documentari, è poi rientrato in Iran. Un giorno in più (One more day - Yez rouz bishtar, 75'), 1999,
segna il suo esordio nel lungometraggio, che lo impone da subito all'attenzione
della critica internazionale. Il voto è segreto (Secret ballot -
Raye makhfi, 105'), 2001, ottiene il Leone d'Argento a Venezia, per la miglior regia. Risale al
2003 l'ultimo film, Silenzio fra due pensieri (Silence between two thoughts -
Sokoote beine do fekr, 95'), capolavoro potenziale, completato all'estero con
materiali di lavorazione, dopo la censura e il sequestro dei negativi in
patria. Con assoluto rigore formale, semplicità e poesia l'autore affronta temi
di grande complessità e impegno civile e sociale (l'anelito alla libertà degli
oppressi, la degenerazione del potere, l'assurdità della prevaricazione
fondamentalista religiosa), stimolando una profonda riflessione politica
globale invisa al regime dittatoriale iraniano, che lo ha costretto all'esilio,
proprio in Italia.
s.v.
dal quotidiano LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO del 9 luglio
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