Nova Siri (4.8.04) - A “CinemadaMare”, per l’intervista serale del direttore Franco Rina, è arrivata Lidia Ravera, scrittrice di successo già dagli anni Settanta, poi giornalista e sceneggiatrice di cinema e televisione di indiscusso valore. Prima di trasferirsi nella piazza di Rotondella, l’abbiamo incontrata con Mimmo Rafele, anch’egli sceneggiatore Rai dotatissimo e dirigente della Siae. D. Delle sue molteplici attività, ultimamente qual è la più praticata? R. La scrittrice, sicuramente. Sono un po’ stanca di fare tre lavori e l’età non mi consente di continuare con gli stessi ritmi. Certo, se trovassi un regista cinematografico che amo, per un bel film, mi butterei subito, ma non sopporto di macinare la stessa roba in tv. - Il cinema italiano oggi sembra in difficoltà produttiva e crativa? Con grande chiarezza: esiste una specificità negativa tutta italiana che si chiama conflitto di interessi. O stai con Berlusconi-Medusa-Rai , oppure sei fuori, praticamente da tutto Il gioco è bloccato per i talenti creativi, per la stessa immaginazione e le occasioni, a maggior ragione per i giovani, che sono i più indifesi. Poi, è vero che nessuno osa raccontare i nostri tempi, approfondendo la realtà che viviamo. Insomma, non c’è audacia e viene incoraggiato il conformismo, il bieco giovanilismo, la trasposizione dei best-seller più ovvi, e tutta la roba più facile. Forse la soluzione sarebbe tornare ad una dimensione artigianale e di gruppo, con piccoli film pieni di idee e con finanziamenti ridotti, il tutto favorito dalle nuove tecnologie digitali. - Quali requisiti di base devono avere i giovani che volessero avvicinarsi al mestiere di sceneggiatore? Senza esitazione: avere una grande curiosità per il mondo e la voglia di raccontare storie, scovate in ogni dove, superando gli stereotipi e le omologazioni. - Ci sono autori di talento oggi? Mi piacciono molto Matteo Garrone, Fiorella Infascelli, Francesca Comencini,, e qualche volta Silvio Soldini. - Difficile trovare un’erede di Suso Cecchi d’Amico. Esiste una specificità femminile nella scrittura della sceneggiatura? Concordo con Rafele, che le donne hanno scritto moltissimo, essendo state però pubblicate meno.Se una donna collabora nelle sceneggiature, come vado ribadendo da sempre, sicuramente i personaggi femminili, che hanno una psicologia complessa, si avvantaggiano di tale presenza, Sanno farle muovere meglio, tanto da risultare più vere, proprio perché entrano nelle loro storie con maggiore naturalezza. Sull’ utilità delle sceneggiatrici nei gruppi, però, solo alcuni l’hanno capito. Rispetto alla Cecchi D’Amico, bisogna capire che l’Italia è cambiata, non si lavora insieme fisicamente, non si “ozia” creativamente. Adesso ci si parla, magari molto al telefono, ma sovente gli sceneggiatori non si conoscono neppure, e non si condividono le stesse esperienze. Si va verso il sistema americano degli scrittori di cinema e televisione a contratto, anche se questo non esclude che si posano creare grandi cose. - Un appuntamento che si concretizza dopo un anno. Il suo rapporto con la Basilicata.Con due genitori molto anziani, capitano rinvii all’ultimo momento. Adesso però ci sono, vorrei visitare Matera e conoscervi meglio. Però a Maratea mi sono inventata con divertimento il seminario “Chi ha paura delle vacanze”, e devo dire che ha funzionato anche solo con intellettuali pure dall’estero, senza nani e ballerini. Salvatore Verde
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