LA MIA ESPERIENZA DI GIURATO IN UN FESTIVAL DEI
CORTOMETRAGGI di
Salvatore Gentile
La traccia emotiva che la visione di un film esercita sui nostri
sentimenti è, a mio avviso, la misura più diretta della sua qualità. Questa
però è una misura empirica! Un film viene giudicato anche per i suoi aspetti
tecnici: la recitazione, la fotografia, la sceneggiatura, ecc... Le immagini del film rappresentano il
racconto, l'espressione del regista; lo
sforzo e l'impressione che suscita sulla spettatore è la ricerca della sua universalità.
Un film di solito non è didascalico. L'idea che io me ne sono fatto è che un buon film di solito sollecita, non
spiega; le immagini che si susseguono devono sollecitare un'emozione nello
spettatore. Spesso, nella visone di "corti", che sono giunti in ultima serata,
dopo aver affrontato varie selezioni, ritroviamo qualità davvero eccellenti. Diventa
perciò difficile decidere quale premiare in base alle categorie di riferimento,
senza fare grandi torti ad altri.
Per fortuna un festival è già di per sé un percorso premiale, per l'esperienza
di comunanza e di confronto, che esso favorisce tra i giovani filmakers, come e
soprattutto nella strutturazione caratteristica
di CinemadaMare.
Un concorso così strutturato diventa un
modo per stimolare gli autori a togliere quello che può esserci di superfluo
nel proprio lavoro, a migliorarne la qualità espressiva, a calibrare l'impatto
interpretativo sul pubblico. L'interesse dell'autore è sollecitare il cuore
degli altri; ed egli, apriori, non sa quanto ci riuscirà. Il messaggio del
regista deve essere espresso in maniera evidente, ma senza operare grossi tagli
o astrazioni dalla realtà, che renderebbero più ardua l'interpretazione da parte dello spettatore. Nei
film, sia nelle fiction che nel documentario, e soprattutto nei corti, la cinepresa/videocamera va alla
ricerca dei significati. In questa esperienza, lo sforzo maggiore nel mio
impegno di giurato, è stato quello di far coincidere il mio punto di vista con
le intenzioni del regista. Ho cercato di vivere così il mio ruolo, inseguendo i
particolari dell'azione filmica. Nella mia attività quotidiana di clinico della
salute mentale, il seguire le tracce che
il paziente mi offre nel rapporto dialogico, è diventato un moto spontaneo
della mia azione investigativa.
L'analisi della tecnica cinematografica è un compito che ho lasciato più
volentieri ai due tecnici "esperti di cinema", il presidente della giuria Salvatore Verde e il critico Armando Lostaglio. Assieme all'esperto di estetica e design,
l'architetto Gianni Mitola, abbiamo
cercato invece di inseguire, ognuno dal proprio punto di vista,
l'interpretazione dell'intenzione dell'autore. E ciò che più ha catturato la mia attenzione
in questo compito valutativo è stato seguire l'ipotesi intenzionale sul
regista, oltre alla riflessione sull'emozione che la visione propria del film
mi ha suscitato. L'analisi dei contrasti tra lo sviluppo del sentimento sollecitato e la rappresentazione
scenica del film, mi ha portato a decidere per un giudizio piuttosto che un
altro, più benevolo o più critico.
Il rincorrere tipico di certa cinematografia medio-orientale è reso nel film di Firouzeh Usufzay, giovane regista pachistana, nella sua più
naturale espressione, benché realizzato su un costrutto ben solido ed
ideologico. L'autrice di Life in the gutter gate, propone un film documentario, che si sviluppa
invece, come in un film neorealistico di
rosselliniana e zavattiniana memoria, in cui il messaggio più forte è dato
proprio dall'incertezza del reale e dall'appropriarsi di una propria identità, da
parte dei due giovani protagonisti del film.
Le immagini ben ritagliate, dello stupendo paesaggio africano nel film documentario
Asamara
di Jon Garano e Raul Lopez, hanno catturato la nostra attenzione sulla realtà
estrema dei bambini africani.
Miente, della regista spagnola Isabel de Ocampo, è un film con una storia forte, con un ottimo
montaggio e ben recitato dalla stessa regista, interprete principale della fiction.
Davvero un ottimo manifesto per allertare i giovani dell'Est rispetto all'idea
della facile "sistemazione" nell'Europa occidentale.
Nel Fiume di sogni, il meglio
è dato dai due bambini filippini sordi, che nella limitatezza della loro
espressione comunicativa, riescono con soave leggerezza a trasmettere i loro
sentimenti anche ad un pubblico straniero. Riteniamo che il lavoro di
preparazione dei due bambini e la capacità di cogliere la salienza della loro espressività sia il merito più grande del
regista filippino Michael Angelo
Dagnalon.
I contenuti dei "corti" sono sempre molto concentrati, come il mosto
ribollito, che deve esprimere l'intensità della sua essenza. Questa
probabilmente è la motivazione che ha portato
la fiction italiana "Il mio ultimo giorno di guerra" di Matteo Tondini ad aggiudicarsi il
premio della giuria popolare, "Epeo 2009"; il valore di un messaggio forte,
anche se reso in maniera bastevole dal punto di vista recitativo.
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