Matera - Un'esperienza unica e forse irripetibile per Matera: la proiezione contestuale dell'anteprima nazionale dell'insuperato capolavoro di Pier Paolo Pasolini, "Il Vangelo secondo Matteo", e della prima dell'atteso film di Mel Gibson, "La Passione di Cristo". La circostanza si presta, com'è normale, a livelli di letture plurime, sia testuali che extra. Quasi inevitabile un parallelismo. Soprattutto per la scelta, da entrambi gli autori effettuata, di realizzare gran parte delle opere nella città dei Sassi, ormai acquisita al patrimonio mondiale dell'Unesco e in queste settimane al centro dell'interesse mediatico internazionale. Risaltano con immediatezza, tra le altre rilevabili differenze, alcune artistiche paradossalità. Intanto, colpisce la "policromaticità" del suggestivo "biancoenero" del film pasoliniano, appena restaurato, con una scala di sfumature notevoli, ascrivibili a Tonino Delli Colli, direttore della fotografia. Inoltre, la presenza scenica significante degli attori, amici del regista e tutti non professionisti, con i loro volti stempiati, sdentati, scavati, ruvidi, sofferti, umili; tutti elevabili al rango di icone popolari, che rinviano con naturalezza ad una realtà del Sud pre-televisiva, in ritardo nel consumo indotto dal boom economico, e ad una società in trasformazione, con la perdita della cultura contadina. E poi la città con i Sassi, l'altipiano murgico, le gravine, riprese con acume tecnico, ora con macchina a mano ora con rapide panoramiche, ma sempre evidenziandone con coerenza caratteristiche, particolari e totali, colte nella loro essenza vitale di "come realmente erano". Insomma, un set naturale di incomparabile bellezza, quasi privo di connotazione temporale e in grado di restituire sensazioni non solo antiche, ma anche ancestrali. Il carnalmente e possente film gibsoniano, d'altra parte, certo per scelta stilistica e tecnica, resa efficacemente dal responsabile della fotografia Caleb Deschanel, ha volutamente appiattito la scelta del colore, quasi in una dominanza monocromatica tra l'arancione scuro e i l marrone chiaro, avvalorata anche nei rapidi flash back. Quasi un senso di anonimo appiattimento dell'umanità massificata e globalizzata, rinforzato dai costumi che fanno intravedere una folla anonima (da notare che neppure tutti gli apostoli hanno un nome), mentre le riprese di comparse e figuranti sono sempre veloci, gli uomini hanno tutti la barba e i volti rendono a tratti la moderna inquietidune negli sguardi obliqui e sovratonali. Craco e Matera, infine, restano sostanzialmente sullo sfondo, con immagini di alcuni angoli particolari, almeno fino alle sequenze finali della neppure lunga crocifissione, quando i Sassi tornano a risplendere nel biancaceo tufo originario, a contrastare mosaicamente il corpo devastato del Cristo e l'oscurità incombente della morte. In estrema sintesi, si può affermare che da Pasolini ne ricaviamo un senso di verità, che va ben oltre quello di cinematografica realtà, pregno com'è di rimandi intellettuali, letterari e poetici. Da Gibson, la ricerca di assoluto rinvia all'artificio, alla verosimiglianza dell'arte, in una concezione del cinema altamente spettacolare e autoreferenziale. Curiosamente i due autori, pur con assunti diversi, ci danno entrambi una presenza scenica femminile di altissima drammaticità e credibilità. Salvatore Verde
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