Nova Siri – Serata vivace e da ricordare quella di “CinemadaMare” a San Giorgio Lucano, con l’intervista in pubblico del direttore Franco Rina a Pasquale Squitieri, 65 anni, napoletano, regista tra i grandi e abbastanza prolifico del cinema italiano, anche sceneggiatore, da sempre controcorrente e impegnato. D. Un rapporto positivo con la Basilicata, ma un po’ sfortunato, perché il “Li chiamarono … briganti!” (1999), avrebbe meritato certo di più. R. Sfortunati sono coloro che non l’anno visto. Conosco bene la Lucania, e Matera è una bellezza mondiale, anche se non mi ispira molto. Proprio a Rionero ho trovato una documentazione rara sul brigantaggio post-unitario. - Pensa che il suo voler essere coerente, collocato su posizioni anticonvenzionali, con storie un po’ sovratonali, abbia limitato la sua riconoscibilità autoriale in Italia? Concordo. Era quasi inevitabile, come è accaduto a Pietro Germi. C’è tutto un cinema che è stato ignorato e che invece meriterebbe una riscoperta del valore, un “revisionismo”, come avviene all’estero. Il vero intellettuale deve alimentare dubbi. La rilettura della Storia è inevitabile ad ogni generazione, per dirla con Moravia, e come hanno fatto Gramsci, Croce, De Felice. Non c’è niente di più falso dei documenti ufficiali. - Mutato il quadro politico, si sta procedendo in questa direzione? E’ incredibile, ma non va così. Per due timori politici, dei comunisti e degli ex fascisti, i quali, dopo aver condannato i tanti aspetti negativi, impediscono di rivalutare però quegli aspetti positivi del regime, non volendo fare i conti con il proprio passato. In Francia ad esempio non hanno paura. Il nostro cinema è sempre minimalista, mentre io ho fatto film sul terrorismo (“Gli invisibili”, 1988), sulla droga (“Atto di dolore”, 1991), la mafia (“Camorra”, 1972, e “Il pentito”, 1985), il razzismo (“Il colore dell’odio”, 1989) e comunque sui problemi dell’Italia contemporanea, con gravi rischi di censura, anche preventiva. - Non mi pare che i suoi amici l’abbiano sostenuta nel passato. Poi è stato senatore della Repubblica. Può darsi, ma l’esperienza politica in Parlamento è stata straordinaria. Andava fatta, perché ti fa capire cos’è il potere dall’interno, quello che appare all’esterno è una buffonata. - Come procede nell’importante incarico del Ministro Urbani, per le incentivazioni al cinema digitale, quello del futuro. Nella lettera inviata al Ministro, chiarisco che ci si deve proporre di tutelare la cultura interdiscilplinare del cinema italiano e quanto di buono ruota intorno ad esso, come studio e attività. Il cinema di casa, però, costa troppo rispetto al mercato che ha. Le nuove tecnologie possono ridurre i costi, ma consentire la diffusione di idee innovative dentro. - Ai giovani darebbe un consiglio? Si, di studiare molto e di tutto, anche specificamente la tecnica. La formazione è fondamentale. Il cinema è materia sempre complessa. Salvatore Verde
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