Tursi - Il prof. Duilio CITI, docente di Restauro urbano alla Facoltà di Architettura dell’Università di Genova è stato gradito ospite per una settimana, su invito del tursitano Dino Di Paola, consigliere comunale con delega all’Urbanistica, architetto anch’egli, laureatosi nel 1998 presso la stessa università e proprio con il professore come relatore. Ha visitato anche parecchi comuni del materano.
Un bel rapporto? Durante la preparazione della tesi siamo diventati amici, per merito anche della particolare simpatia insita nel suo carattere che, ho appena scoperto, appartiene alla maggior parte dei tursitani da me conosciuti in questi giorni. Ho associato l’idea dell’invito di Dino con l’esigenza di andare a Matera. Non credo di essere blasfemo se dico che recarmi in Basilicata è stato un po’ come andare in Terra Santa, dopo aver visto “The Passion “ di Mel Gibson. Non ci ero mai stato: mi vergognavo un po’ anche di non aver mai visto i Sassi, data la mia professione di architetto-ricercatore-docente universitario. Quali impressioni ne ha ricavato subito? Al primo impatto con il paesaggio Lucano, nel tratto della “Basentana”, mi sembrava un territorio desertico, ingannato anche dai terreni smossi dall’aratura che, da lontano, sembravano incolti. Arrivato al bivio per Pisticci già ero più soddisfatto e, superato l’esteso alveo del fiume Agri, il verde aumentava sempre più in quell’alternarsi di uliveti a calanchi che, con la loro ondulata modulazione chiaroscurale, rendevano vivo il paesaggio anziché sopprimerlo appiattendolo. Poi finalmente Tursi. Un largo fiume di case suddivise in rioni che, dalla sommità del fantasma del Castello in Rabatana, scende attraverso una ripida scalinata sorretta da arcature; lungo il pendio, si ferma un momento per poi biforcarsi fino a giungere e ad allagarsi nella piana alluvionale sottostante. Nei dintorni si alternano cespugli di fichi d’india, rocce erose, oscure caverne e macchie verdi. Cosa l’ha incuriosita maggiormente? Certamente la Rabatana. E’ quasi vuoto il borgo, ma ho conosciuto la vecchia Antonietta, che arrivava parlando da sola, col suo fascetto di legna sulla testa, e Nicola Simeone, che ha tirato fuori il “ciuccio”, che chiama Teresina da quando glielo hanno imposto alcuni cineasti ed operatori televisivi. Le due religiose della chiesa di Santa Maria Maggiore, Suor Pacifica e Suor Celeste, ci hanno condotto nella cripta che custodirebbe una tomba forse dei Doria. Sì, proprio i genovesi, miei conterranei! Sulla piazza Plebiscito, dove le case si fermano prima di precipitare come due cascate, viene a passare il tempo un altro Nicola (Manfredi, ndr.) che abita nella vicina via Vittorio Emanuele (altra citazione estranea, lontana e, per forza, imposta). Un personaggio squisito che edifica spiritualmente tutti coloro ai quali parla. E’ nato il 24 settembre 1908. Eppure ha il cuore tra i più giovani di tutta Tursi, credo.Una mattina ho sentito un vociare di bambini provenienti dall’edificio vicino a dove alloggiavo; sulla facciata portava la scritta: Scuola Materna Statale. Con il solito risultato dello spopolamento e del calo delle nascite, pensai. E invece no, quella mattina erano ventitre i bambini, miracolosamente veri ad occupare gioiosamente quel caseggiato dall’insegna ormai desueta. E con l’occhio dell’esperto? Con Dino abbiamo notato che nelle case del centro storico i comignoli a volte non ci sono e la canna fumaria si ferma a mezza altezza del muro. Crediamo di aver capito che, in questa maniera, si evita di bucare il tetto, operazione sempre molto delicata. Ho conosciuto dei caminetti mai visti, con la bocca piccolissima e il fuoco da accendersi davanti, senza la cappa. Notiamo anche lastre di pietra sporgenti di fianco alle finestre, alla foggia di mensola, come in Liguria. Ancora non ci è dato sapere cosa vi appoggiassero sopra: il pitale, il secchio del latte, l’alveare, la cassetta per i piccioni viaggiatori, l’orcio per raccogliere l’acqua piovana, il vaso con i gerani? Bellissime le porte con lo sportello per aprire o chiudere il “ferro morto”, un sistema da copiare! Ad Anglona mi colpiscono molto il silenzio, la solitudine e i pilastri dell’antico santuario dedicato alla Vergine. Su tre lati di ognuno di essi la figura intera di un santo, a rappresentare una profonda quanto esplicita allegoria: come i pilastri reggono le strutture architettoniche di quella chiesa, così i santi sono i pilastri della comunità fondata da Gesù Cristo, cioè la Chiesa universale. Usciamo ancora sbigottiti per quella scoperta, quando mi vien di citare Albino Pierro, il poeta tursitano: “U jalle hè cantète./ Cchè aspèttese ?/ Ièsse dafore e zumpe:/ già nd’i strète/ di stu paìse zinne c’è nu sòue / ca sànete i cichète”. (Il gallo ha cantato. / Che aspetti? / Esci fuori e salta: già nelle strade / di questo paese piccolo c’è un sole / che sana i ciechi.). Sabato (sono) ripar(ti)to: Tursi – Chiavari km. 897, tutti d’un fiato per non correre il rischio di tornare indietro. Scheda bio-bibliografica del prof. Citi
Nato a Chiavari (Ge), 58 anni a gennaio, il prof. Duilio Citi si è laureato in Architettura presso il Politecnico di Milano. Tre anni dopo inizia a lavorare presso l’Università di Genova, con diversi incarichi, e dall’anno accademico 1990-91 è docente del corso di Restauro Urbano della Facoltà di Architettura. Indirizzi di ricerca sono le problematiche inerenti lo studio, la tutela e il recupero dell’architettura rurale dell’Occidente europeo, sintetizzate nelle principali pubblicazioni: “La Liguria”, Collana Italia Romanica, Milano, 1979 I^ edizione (ce ne saranno altre tre), tradotto e pubblicato anche in Francia e in Portogallo; in collaborazione con Santino Langè, i volumi: “Comunità di villaggio e architettura - L’esperienza storica del Levante ligure” (1985) e “L’eredità romanica - La casa europea in pietra” (1989), tutti per i tipi della Jaca Book di Milano. Nel 1980 ordina una mostra itinerante, che avrà 28 edizioni, dal titolo:”Equilibrio ambientale e recupero culturale dell’entroterra ligure”, seguita nel 1995 da un’altra dal titolo “Guida all’Abazia di Borzone”, preceduta dall’omonima pubblicazione. Nel 1981, su invito del prof. Pierre-Roger Gaussin, medievalista dell’università di Saint-Etienne (Francia), fa parte del Centre Europèen de Recherche sur les Congrégations et Ordres Monastiques, e nel 1986 svolge una serie di conferenze in Olanda sull’architettura dell’entroterra ligure. Dal 1995 è socio fondatore de l’ Association Internazionale pour l’Histoire des Alpes Luzern, e, dal 1999, dell’Associazione Culturale Amici di Archivum Bobiense, Bobbio. Salvatore Verde
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