Già dall’epoca dei Romani, che qui persero una battaglia contro Pirro e dove forse passò anche Spartacus, Tursi era ritenuto un luogo strategico e di transito. Inaccessibile e fortificato dai Goti nei secoli V-VI, tra i più popolati e fiorenti, diede rifugio e grandezza ai vari signori delle altalenanti dominazioni di Bizantini, Normanni, Spagnoli, Borboni, Francesi e del Regno d’Italia. Divenne anche sede di una diocesi millenaria nella vicina Anglona e, per poco, “capitale” della Basilicata nel ‘600. Poi, tra terremoti, frane e pestilenze, conobbe il declino, ma ha conservato quasi intatti, nel borgo della Rabatana, i segni della dominazione dei Saraceni (che importarono la coltivazione delle famose arance) prima dell’anno Mille: una struttura architettonica araba e alcuni autentici gioielli d’arte, e, sulla collina di Anglona, la Basilica-Santuario della Madonna, nota nel mondo. E’ anche la “Città” del grande poeta Albino Pierro (1916-1995), per anni candidato al Nobel, che ha immortalato il dialetto tursitano, ormai tradotto in quaranta lingue. Storia, cultura e attualità si incrociano, dunque, in un vasto territorio ritenuto dagli esperti ineludibile, anche per la costruenda viabilità trasversale Tirreno-Adriatico (cioè da Bari a Maratea, passando per l’enorme Parco del Pollino). Quasi al confine con la Calabria, ma in provincia di Matera e tra due fiumi, l’antico centro si trova a 25 km. dal mar Jonio, seguendo la strada statale 106 fino al bivio di Policoro, essendo pure ottimamente collegato alle dorsali viarie della Val d’Agri e della Sinnica (dall’uscita di Lauria, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria). Proprio nel periodo tra Natale e l’Epifania, nella Rabatana, lungo stradine e vicoli, tra burroni, grotte e calanchi, sono maggiormente visibili i segni di una tradizionale partecipazione ai sacri rituali della suggestiva liturgia della natività, legati in particolare alla prima grande chiesa di Santa Maria Maggiore, nella quale si venera(va) il culto (bizantino?) della Madonna dell’Icone, elevata ad Insigne Collegiata con Bolla di papa Paolo III, nel 1546, dopo la traslazione della diocesi a Tursi (dal 1543 Anglona-Tursi e dal 1976 Tursi-Lagonegro). In essa si conservano, tra gli altri pregevoli reperti artistici, il portale, un’acquasantiera in pietra, il magnifico crocefisso del Cinquecento (celebrato nella recente mostra di Matera “Scultura lignea in Basilicata”) e il “trittico” della Scuola (Napoletana?) di Giotto, “restituito in queste settimane e ricollocato dopo un restauro quasi trentennale”, ci dichiarano in anteprima il sindaco Salvatore Caputo e l’assessore alla cultura Francesco Ottomano, che si sta occupando della sicurezza. L’altro autentico tesoro è nella preesistente e sottostante cripta, adibita a cappella funeraria della importantissima famiglia De Giorgiis, dove è collocato un mirabile presepe in pietra, eseguito nel 1550 da Altobello Persio da Montescaglioso (più che da Stefano da Putignano), e un attiguo locale interamente affrescato da Giovanni Todisco (o Giovanni Sabatani), il tutto perfettamente inserito nella eccezionale funzionalità liturgica. Quando la raffigurazione del presepe francescano si diffuse anche nella nostra provincia, con una variegata tipologia di materiali, come espressione di un sentimento popolare molto radicato, la complessa fattura presepiale, colpì “per la grandezza dell’insieme e l’armonia degli spazi, la collocazione scenografica su tre livelli sovrapposti e i colori della pietra unica utilizzata, il realismo raffigurativo, le espressioni statuarie insieme con il simbolismo al tempo in auge, oltre ai rimandi di elementi colti e popolari, riferimenti al passato, forme realistiche e bucoliche, citazioni dell’attualità”. Un viaggio anche interiore tra segni, simboli e significati, da riscoprire. Salvatore Verde
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