E’ possibile una nuova e totalmente inedita interpretazione del toponimo “Tursi”, anch’esso di derivazione arabo-saracena? Si è sempre creduto che fosse arabeggiante solo il nome “Rabatana”, anticamente: “Arabetana”, “Arabatana”, “a’Rabbatana”, tradotto con “tana degli arabi”, forse dal latinismo “arabum tana”, più probabilmente da “ribad” o “ribat”, cioè “luogo (di culto?) fortificato” o “città libera(ta)”. In tal modo, probabilmente, si designava la tipologia di “insediamento-borgo-centro abitato”, poiché di “rabat”, in senso letterale “mettere insieme, aggregato”, ce ne sono diverse in Basilicata (a Tricarico si distingue addirittura la saracena dalla “rabata” o “ravata”) e altre nel Mediterraneo, per limitarci alle più famose città (due notevoli Rabat nell’isola di Malta; l’arcinota capitale del Marocco, fondata però nel XII secolo; Rabastens-de-Bigorre, negli Alti Pirenei, nel sud della Francia, simile alla nostra pronuncia dialettale “rabatèn”, oscillante però con “ravatèn”). Riteniamo, invece, che pure “Tursi” abbia le stesse origini linguistiche, tant’è che la popolazione è detta tursitana, mentre sarebbe stato lecito attendersi: “tursini”o “tursesi”, oppure “turs(i)ensi”, e così via, proprio come oggi chiamiamo gli abitanti ”rabatanesi”.In sostanza, un insieme di fonti disparate, ma divergenti sui tempi e tutte a partire dal X secolo in poi, cioè dopo la permanenza dei Saraceni in loco, ha ricavato la denominazione da “Terra di Turco”, prima di “Turci” e “Turcico”, supposto fondatore del castello forse al tempo dei Goti (fine V sec.), dal quale deriverebbe la “Terra di Turcico”, poi “Tursikon”, capitale del Tema di Lucania dei Bizantini, quindi “Turcicus”, “Tursico” (anche “Terra di Tursico”) oppure “Tursio”. Altri l’attribuiscono a “Turris”, riferendosi alla torre (del castello o in forma singola); nella stessa scia anche la derivazione da “Turrito” o “Torre di Turrito”, ovvero dal greco “Torre”, ovvero “Torcia” o “Torsia”, anche nel senso di argini per le piene invernali, mentre nel volgare antico si ritrova “Tursico”, “Torre di Tursico”. Dunque, due le scuole di pensiero storicamente dominanti, alternatesi nel tempo, stranamente oppostive nei secoli, riferite o ad una persona o alla torre. Come dire: leggenda o realtà costruita. Entrambe ricavate a posteriori e sostenute dal mito fondativo di un eroe o dalla simbologia fortezza. Sul nome leggendario nulla è dato sapere, tanto che la nebulosità del tempo lo (ha fatto) indica(re) anche come potente uomo d'armi, proprietario della zona o mercante, aggiungono altri. Se il discorso “torre” appare inverosimile e senza fondamento, anche il castello reale di dimensioni medie non poteva assurgere nell’immaginazione popolare all’aura nominale e negli stessi signori a forme di garanzie assolute, se è vero che nessuna famiglia dominante vi abitò stabilmente o a lungo. Inoltre, con maggiore aderenza realistica, deve pur significare qualcosa il fatto che Tursi non abbia conservato il toponimo “Castel(lo)” o “Torre” (come accaduto in molte parti d’Italia, a Torre a Mare, Annunziata, Faro, del Greco, Pellice, e altri, per fermarci a quelli più noti in Italia, con semplice linearità, senza considerare i parecchi nomi complessi come Porto Torres, Torricella, Torriglia, Torrita di Siena, ecc.), né assunse nel nome altre presunte caratteristiche geografiche minori, come “Fosso”, nelle sue innumerevoli varianti altrove note, né poteva essere per “Monte” o “Pian(oro)”. In altri termini, la precisa straordinarietà del riparo naturale ha sempre prevalso comprensibilmente nell’immaginario delle popolazioni che si rifugiarono nel quartiere della Rabatana, sorto prima e sviluppatosi successivamente con evidenti limiti di territorio. D’altronde, è risaputo che Tursi fosse notissimo già dall’antichità per essere stato un invidiabile luogo naturalmente fortificato ed inespugnabile, con i suoi ripidi burroni a contornare il triangolare lembo di collina sul quale era situato il castello, che dominava le valli dei navigabili fiumi Agri e Sinni. Al contempo, contrariamente a quanto avvenne in tante parti d’Italia, rispondendo a delle logiche di psicologia sociale e religiosa, non si inclusero nella dominazione neppure gli evocativi “Santo” o “Madonna”, e anche questo non può essere casuale, nonostante la millenaria Diocesi di Anglona di rito latino nel territorio tursitano, che domina(va) il Metapontino, nel Golfo di Taranto (esattamente come il vasto territorio sardo di Anglona, che ingloba il Turritano in provincia di Sassari, nell’entroterra del Golfo dell’Asinara: una casualità che andrebbe indagata a fondo). In tutto questo dualismo, la principale e stranissima singolarità deriva dalla totale mancanza di riferimenti alla presenza araba, con certezza tra la metà dell’800 e del X secolo, con molti ripetuti ritorni fino al ‘500. Perché escludere il collegamento a livello lessicale, semantico e concettuale con il nome arabo-saraceno “Tursah”, cioè Tursi? Così riportato anche nel 1154 dal massimo geografo arabo del tempo Abu 'Abdallàh Muhammad, noto come El Edrisi, nella sua rappresentazione tolemaica del planisfero (ben conservato a Oxford). A conferma della positiva fissazione nella cultura araba della denominazione (ma nel mondo latino proseguì ancora), riferita all’intero insediamento e non solo alla primigenia Rabatana. I grandi Atlanti De Agostini ci ricordano la derivazione dall’antico arabo “Turaq” o “Taraq”, “colline-sito collinare”, oppure da “Tur’at” o “Tur’ah” (in Sudan), “qualcosa di scritto antico” o “canale di collegamento-piccolo corso fluviale” (da notare pure che nessun centro abitato italiano porta nella denominazione “canale”), poi “Tursàq” (come in Iraq, al confine centrale con l’Iran, dove esiste pure “Turshiz”, in precedenza anche “Torshiz”, nel nord-est, variante dell’odierna Kàshmar) e infine Tursah, potendosi anche congetturare un innesto linguistico dei due ceppi terminologici. Centro vescovile di prima grandezza, Tursi non poteva essere (stato) esente da un duro scontro di religione, con la definitiva vittoria della Chiesa di Roma su quella d’Oriente e sull’Islam, poi sapientemente occultato. Il nome più latinizzabile nelle sue declinazioni trascritte, con facilità mimetizzabile proprio a causa delle varianti intercorse, e più legato alla descrizione del territorio, ha finito con il prevalere in un luogo rilevante per la cultura arabo-saracena, che manterrà anche la denominazione minoritaria del borgo antico. Insomma, si denominò strategicamente Tursi, tra colline (le prime dalla foce) e canale (affluente del Sinni), per ricordare un importante centro, anche della produzione segreta delle arance (e del cotone), d’importazione araba, a quel tempo lungimirante fonte di ricchezze, contaminazioni e sicurezza. Salvatore Verde
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