Dopo i primi tentativi
nelle grandi città, sembra che il
cinema, nato per convenzione in Francia nel 1895 e per molto tempo "fenomeno da
baraccone", sia arrivato anche a Tursi durante la Prima guerra mondiale, o
addirittura in precedenza. Così almeno ricordava Giuseppe GENTILE (1901-2001),
deceduto tre giorni prima dei previsti festeggiamenti del suo centenario, che
ci raccontò, ma non si sa con quanle fondamento, l'esperienza dell'epoca, apparendo
la descrizione di un sogno di bambino, poichè l'energia elettrica qui giunse
solo nel 1929 e in poche abitazioni
gentilizie e di possidenti, anche se, tuttavia, sembra verosimile come ricordo indiretto.
Negli anni Trenta, con il
Fascismo, dunque, anche nella non piccola comunità paesana, secondo i parametri
valutativi dell'epoca, essendo in forte ripresa demografica, le proiezioni si
ebbero con una certa regolarità. Erano cortometraggi del regime, con la
monotematicità dei contenuti documentaristici, tant'è che pure nelle lontane
periferie occorreva vivacizzare la visione con delle opportune "spiegazioni",
nel caso fornite da don Domenico CAMARDO, segretario politico del
Fascio, nell'apposita sala dell'ex municipio in via Pietro Giannone (un enorme
stanzone al lato del portone principale). "D'altronde il Duce parlava eccome e
vederlo senza sentirlo era un po' ridicolo", chiosa sornione l'ottantenne Salvatore
GIAMPIETRO. Operatore
cinematografico era Francesco (Ciccio) MARRA (1900-1976),
che aveva appreso mestiere, trucchi e arte a Napoli, tanto da diventare il
primo fotografo professionista del paese
fino al 1960 (quando passò alla locale esattoria), usando un proiettore ancora
a manovella, mentre i film continuavano ad essere senza sonoro e in
biancoenero.
La Chiesa locale, che
ebbe in seguito un ruolo fondamentale come esercente, si interessò al cinema
sostanzialmente solo dagli anni Cinquanta in poi, con l'arrivo del sonoro e nel
formato a 16mm, il cosiddetto passo ridotto. Fu il prevosto della Rabatana, don
Salvatore TARSIA (1900-1982), ottimo organizzatore e animatore della
vita sociale e civile del più antico rione, che pensò bene di abbinare musica e
cinema, necessariamente in forma parrocchiale, quasi a completamento delle
serate della banda musicale da lui curata. I film erano diventati finalmente
più lunghi e le storie appassionavano, con i movimenti molto realistici,
rafforzati da parole, musiche e rumori. "Prima all'aperto, al lato della chiesa
di Santa Maria Maggiore", ricorda Mario BRUNO (1930), "successivamente
le proiezioni si tennero nello stretto ma assai lungo locale ubicato nel
‘piccicarello', oggi via Duca degli Abruzzi, praticamente fino al termine degli
anni Sessanta, con una cadenza sempre più diradata degli appuntamenti serali e
festivi.
Nella parte centrale del
paese, il cinema fu sostenuto e proposto nel secondo dopoguerra, grazie alla
gentile disponibilità di Gaetanina FEDERICI, detta "Zichicc'",
mai maritatasi nonostante fosse benestante, che mise a disposizione del
colobrarese Ciccio "da Taliène" (1908-?), un ampio localone in via Vittorio Emanuele
(oggi di proprietà di Angelo DI GIAMMA). "Il gestore era elegante,
bello, intelligente e pure scansafatiche, praticamente un Dongiovanni, con una
vita familiare eccentrica, essendosi separato dalla moglie, un maestra di Bari
incaricata per caso nella scuola di Colobraro, e poi unitosi di fatto con una
giovane donna, somigliando, insomma, già la sua storia personale alla trama di
un film", ci sottolineano sorridendo gli stessi Bruno e Giampietro. Il maturo
ed affascinante cinematografaro possedeva una Balilla a tre marce e della sua
impresa era il factotum, essendo bigliettaio ed operatore, oltre che
proprietario dei due proiettori di 35 mm. (il "passo normale"), sia di Tursi
che del suo paese. "Per un anno, il locale funzionò con una o due proiezioni
alla settimana, quasi sempre di domenica, ospitando anche alcune serate di
rivista", aggiunge Giovanni RAGAZZO, 76 anni. Poi accadde un fatto
imprevisto che impose a tutti una nuova consapevolezza negli anni della
ricostruzione, e convinse la Curia ad occuparsene direttamente. D'altronde era
inevitabile che, con la comparsa degli operai edili nelle grandi opere
pubbliche di salvaguardia dell'abitato, sollecitate proprio dal Vescovo della
Diocesi di Anglona Tursi, si rafforzasse una vivace quanto moderna dialettica
con il mondo contadino, non più esclusivo nella formazione di un reddito
familiare, e quindi orientata prima verso i consumi necessari e poi verso
quelli voluttuari, compreso il divertimento di massa, con il boom economico che
non tarderà ad arrivare, insieme all'emigrazione nel triangolo industriale del
Nord, dopo la realizzazione di alcune importanti opere infrastrutturali nel
circondario.
Dunque,
"si era alla fine del 1948 o agli inizi dell'anno seguente", proprio mentre
nella sala stracolma si assisteva alla visione del film, e ancora oggi il
consistente gruppo dei pensionati di vico Cirillo ne ricorda perfino il titolo,
"La via dei Giganti" ("Union Pacific", Usa, 1939, b/n, 135', di Cecil
Blount DE MILLE, ndr), la pellicola si infiammò e provocò un rapido
incendio, oltre che un grande panico, al quale seguì l'incredibile baraonda e
un fuggi fuggi generale che devastò tutto il grande locale e distrusse le sedie
che abitualmente ciascuno si portava appresso da casa. "Da allora le Autorità
pubbliche intervennero e impedirono a Ciccio di continuare l'attività, tanto
che egli ritornò a Colobraro e non lo si vide più", continuano i nostri cortesi
e lucidi interlocutori. Fu dopo questa sfiorata tragedia, che causò solo
diversi feriti, ma non gravi, che alcuni
giovani preti tursitani, da poco ordinati presbiteri, presero l'iniziativa di
continuare tale attività. In un certo senso era quasi una scelta "forzosamente
obbligata nella continuità", e certo sarebbe stata più difficile una rinuncia
totale e definitiva a "questa forma di spettacolo popolare e, a volte,
‘volgarotta', ormai entrata nelle abitudini di svago degli abitanti, con la
partecipazione anche di molte spettatrici". Probabilmente animata da intenzioni
etiche, di tutela della morale comune e del senso del pudore, non disgiunta
dalla possibilità di ricavarne qualche onesto soldo, nelle vacanze di Natale
del 1949 lo spettacolo cinematografico fu restituito ai tursitani, come
provvide poi ad informare l'autorevole bimestrale "La Stella Di Anglona.
Bollettino Ufficiale della Diocesi di Anglona-Tursi", giunto all'anno VI,
nel numero 1-2 di gennaio-febbraio del 1950 (l'abbonamento annuo era di L.
400), con la direzione del vescovo, mons. Pasquale QUAREMBA (1905-1989?).
Infatti, nella rubrica "Cronaca della Diocesi", a pagina 26 si legge: "Per
iniziativa del Clero locale e spesie per i MM. RR. D. Salvatore Conte e D.
Antonio Missanelli si è avuto finalmente il cinema sonoro a passo normale a
Tursi. Installato nel salone dell'Istituto Vescovile ‘S. Andrea Avellino', ogni
sabato sera ed ogni domenica proietta delle pellicole morali e istruttive. Il
sano divertimento come influisce sulla formazione delle nuove generazioni;
l'utile misto al diletto, saprà mantenere e continuare la tradizione sana e
morale del nostro popolo. Congratulazioni con gli organizzatori ed auguri per
il conseguimento delle finalità che si sono proposti".
Gli scomodi posti a
sedere in ferro, il macchinario a passo ridotto e la gestione parrocchiale,
anche con il giovane prete don Maurizio ROMANO (poi rettore del
Santuario di Anglona), chiaramente ricordati dagli attuali pensionati, possono
essere collocati per un (breve?) periodo in contemporanea con l'esistenza del
locale di Donna Gaetanina. Sta di fatto che la svolta ufficiale era avvenuta,
la programmazione garantiva una certa regolarità, la partecipazione era
considerevole e il personale era assunto nel rispetto delle norme. Il successo
gestionale del "Cinema Nuovo Moderno" dev'essere stato notevole, se si praticò
addirittura una società di fatto tra don Antonio MISSANELLI (1922-1997) e il napoletano Guido
SILVESTRO, agevolata dalla precoce morte di don Maurizio e dalla
destinazione fuori regione di don Salvatore CONTE (1914-1998), anche professore di
filosofia, il quale, tra le tante attività intellettualmente degne, svolse
anche quella di colto ‘critico cinematografico' sulla rivista "Palestra Del
Clero" (edito dall'Istituto Padano di Arti Grafiche di Rovigo; si veda una
dotta analisi, pur in senso tradizionalista e anticomunista, del film di Claude
AUTANT-LARA "Non uccidere" e della coerente tematica dell'obiezione
di coscienza in caso di guerra, apparsa sul n. 12 del 15 giugno 1962). Verso il
1956-57, il noto giocatore di poker e l'intraprendente sacerdote resero più
accogliente il locale, con i rossi tendaggi di velluto raso, ma soprattutto
realizzarono la pendenza dell'intera "galleria", per una naturale e comoda
visione, oltre al rivestimento insonorizzante delle pareti. Risale a tal
periodo la prima cartellonistica esterna, all'incrocio tra via Oliva e Corso
Vittorio Emanuele, e la notevole presenza di Eva NOVA, da sempre l'unica
vera attrice famosa a Tursi, nel rinnovato locale, mentre si proiettava un suo
film.
I due amici, "l'insieme di sacro e profano", forzarono, inoltre, la
scelta dei titoli, seguendo una più aggiornata lista di film popolari, a volte
un poco ‘spinti', tanto che si ricordano diverse circostanze nelle quali
l'intervento diretto del Vescovo, a repentino consulto con collaboratori e
gestori, poteva o meno sbloccare il prosieguo di un film, ovviamente dopo gli
opportuni ‘piccoli' tagli e l'immediato montaggio in cabina, dove troneggiava
la nuova macchina a carboncini adoperata alternatamene negli anni da Giovanni
COSMA, Pasqualino (Lino) SILVESTRO, fratello di Guido,
e Umberto MIRRI (1911-1994), "solo allora, infine, si facevano rientrare
in sala i vocianti e spesso delusi spettatori, prima fatti accomodare fuori,
perché se il responsabile era ‘libero', la facciata era pur sempre
parrocchiale", si commenta(va). La gigantografia delle immagini e la ingenua
sprovvedutezza di spettatori neofiti, consigliavano proverbialmente ad alcuni
amici "di non scegliere i primi posti, perché in caso di lancio di coltelli o,
peggio, di spari rivolti verso il pubblico, era più difficile scansarli e si
rischiava di essere, quindi, ...colpiti, perché fidarsi è bene, ma non si sa mai,
mentre l'arrivo del treno nella stazione non faceva affatto paura, perché a
Tursi non c'era la ferrovia!". Poi, l'eccesso di abitudine causò l'oggettivo
allentamento dei controlli, e mentre Vincenzo MISSANELLI, fratello di
don Antonio, sedeva in biglietteria, le "maschere" Antonio Vincenzo
LASALANDRA (1915-1995) e Vincenzo RONDINELLI (1918) trovavano
crescente difficoltà a causa delle continue rischiose provocazioni e delle
risse, tanto che le spettatrici venivano sistematicamente irritate da
comportamenti scostumati o sconvenienti, quanto anonimi, fino a causarne il
loro quasi totale allontanamento. I generi più proposti furono quelli canori, i
drammoni popolari, gli spaghetti-western, i peplum-biblici-mitologici e quelli
della farsa-comicità a buon mercato. Di tanto in tanto, vi si svolgevano anche
spettacoli di altro genere, veramente pochi, con illusionisti e fachiri, o come
quel varietà "memorabile" con la "Signora Pina, uomo solo dalla cintola in su e
dalla voce, ma donna a tutti gli effetti", bloccata in procinto di calcare la
scena, ma "salvata" dal monsignore,
sollecitato per una decisione vincolante, che rispose con misericordia: "Ma si,
fatela lavorare con onestà".
Il ricordo
degli abituali frequentatori si ferma intorno al 1975, quando il cinema chiuse
definitivamente, per non riaprire più, non potendosi neppure riciclare con le
visioni a luci rosse, anche perché fallì l'ultimo tentativo di don Antonio
Missanelli e dell'imprenditore edile Antonio D'ALESSANDRO, di completare
in corso Vittorio Emanuele un nuovo locale, con platea e galleria (poi
acquistato dalla Provincia di Matera, per destinarlo a sede e quindi a
succursale dell'Istituto tecnico commerciale e per geometra). Per qualche anno
la vecchia sede continuò ad essere raramente utilizzata per improbabili
festival canori locali e per limitate rappresentazioni teatrali di volenterosi
giovani, prima che si ufficializzasse la necessità dell'adeguamento alle nuove
norme di sicurezza. La diffusione capillare della televisione e la molteplicità
di aggiuntivi divertimenti non bastano, forse, a spiegare il declino totale di
un rito collettivo serale, unico, irrepetibile e "magico". Ecco perché va
sostenuto l'attuale tentativo, portato avanti da mons. Francescantonio NOLÈ,
vescovo della rinnovata diocesi di Tursi-Lagonegro, e dal parroco don
Battista DI SANTO, di recupero e ristrutturazione dei locali,
auspicabilmente restituibili anche all'originaria destinazione.
Salvatore Verde
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