Va ripristinata la tradizionale attribuzione dello stemma nobiliare della famiglia dei Donnaperna, in origine militari di carriera milanesi, divenuti marchesi di Colobraro, baroni di Pomarico, Calvera, Teana, Carbone, possessori delle tenute di Scanzano e Caprarico, perciò tra le più grandi della Basilicata, dal 1600 agli inizi dell’Ottocento. Diffuso con la pubblicazione del 1986, l’equivoco si è protratto fino ad oggi, come sovente capita, nel disinteresse per i fatti storici minori, comunque importanti per le realtà locali, le quali, invece, dovrebbero concepire la cultura non un fatto museale, ma discorso economico-turistico da curare e incentivare. Dunque, con la monografia biografico-genealogica dedicata appunto alla ricca e potente dinastia, l’incolpevole Rocco Bruno ha riprodotto al centro della copertina uno stemma disegnato (recante la data 1801), che il marchese Giulio Cesare Donnaperna di Senise aveva gentilmente, assieme ad altri materiali, messo a disposizione del maggior storico tursitano contemporaneo. E tutto sarebbe andato avanti nell’indifferenza collettiva, se Vincenzo Nuzzi, professore oggi in pensione, non ci avesse chiesto lumi sui due stemmi posti in un’arcata laterale destra della chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana, peraltro uguali ad un lapideo collocato nel balcone esterno dell’ancora contigua abitazione delle due anziane religiose (suor Celeste, la superiora, e suor Pacifica, sempre disponibili nel favorire ricerche e studi). Con immediatezza si è palesato il riconoscimento dello stemma ufficiale dei Donnaperna, confermato dall’esistenza integra di altri esemplari marmorei e in pietra presso le notevoli masserie tursitane, in località Pantoni di Sole e di Caprarico, entrambe edificate nel Settecento. Curiosamente, le stesse ed altre costruzioni sono riportate in fotografia in bianco e nero nel libro di Bruno, che però ha omesso lo stemma collocato in bella vista sui muri delle facciate d’ingresso. La stranezza, che non può essere distrazione, deriva dal fatto che Bruno, ci ha dichiarato, ha ritenuto “secondario” quelli locali, ed ha dato credibilità al disegno fornito (solo a lui?) dall’ultimo discendente vivente della nobile famiglia. In realtà è tutto il contrario, come dimostrano anche gli stemmi collocati nei palazzi posseduti in altri comuni, dove non sembra esserci traccia del successivo stemma (quello del libro, per intenderci - foto 1 -formato da tre rametti contornati da due ramoscelli di alloro sovrastati da una corona reale, che resta nel vero stemma - foto 2 e 3 - sopra la croce del riquadro superiore, mentre quello inferiore è attraversato da una fascia obliqua con tre gemme sovrapposte), la datazione del quale rimanda ad un periodo di prossima incipiente crisi degli eredi Donnaperna. Gli emblemi gentilizi, oltre ad un innegabile interesse araldico, possono essere utili a collocare anche gli eventi di un territorio, di un paese o di una parte importante di esso, oltre quelli familiari. Nel caso, a noi pare proprio di poter aggiungere un altro tassello alla storia della citata chiesa della Rabatana, laddove il doppio simbolo starebbe ad indicare l’originaria committenza dei lavori di ampliamento dell’antico luogo di culto, con l’aggiunta delle due fiancate laterali e gli altarini. In tal modo si avrebbe almeno una conferma della primigenia struttura quadrangolare e poi rettangolare del tempio arabo, quindi bizantino e solo in seguito recuperato alla cristianità. Diversamente, che altro significato avrebbe l’arbitraria collocazione arcuata degli stemmi dei Donnaperna, mai rimossi nel tempo? Tanto più che R. Bruno riporta nella sua citata monografia il testamento del 1771 (conservato nella casa degli eredi senisesi) di don Giuseppe Paolo Donnaperna, figlio di don Baldassarre e di Geronima Picolla, oltre che marito di Anna Maria Teodoro dall’8 dicembre 1755. Costui era così ricco, con il fratello Filippo Maria Donnaperna, da prestare 10.000 ducati alla regina Maria Teresa d’Austria (con atto notarile stipulato in Napoli nel 1765). Nelle sue vergate ultime volontà, a 66 anni, dichiara: “… Separata che si sarà la mia anima dal corpo, voglio che il mio cadavere sia seppellito nella sepoltura dei miei maggiori entro l’Insigne Chiesa Collegiata di questa città colle solite sagre funzioni nel primo giorno solamente della tumulazione….”. Se ne ricava la non casualità del volere, avendo la sicurezza della piena disponibilità della chiesa e la reiterazione familiare della sepoltura scelta. Perché mai, dunque tutto ciò? È innegabile perciò che la gerarchia religiosa gli dovesse quasi tutto. Compresa la costruzione delle navate laterali.
Salvatore Verde
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