Situato su un pianoro ad est all’abitato, proprio di fronte all’antico quartiere arabo della Rabatana, il complesso conventuale con annessa la chiesa di San Francesco dei Frati Francescani è tradizionalmente collocato nel XV secolo, quando, pare, sia stato autorizzata la costruzione da papa Eugenio IV, per l’esattezza nel 1441, sollecitato dal vescovo tursitano Giacomo Casciano, che l’aveva fortemente voluto, con la munificenza del Conte Niccola e degli abitanti. Dopo quelli di Venosa, Atella e Miglionico, di poco antecedenti, fu probabilmente uno dei primi conventi francescani in Basilicata e tra i maggiori sotto la regola dei Minori Osservanti, ospitando mediamente e in continuità una ventina di frati. La costruzione è un notevole esempio di architettura sacra, a pianta quadrata di circa 50 metri di lato, sviluppata su un dislivello di tre-sei piani, mentre il campanile e alcuni particolari interni rimandano a suggestioni arabo-bizantine. Aperto e funzionante fino alla seconda metà dell‘Ottocento, anche sede cimiteriale fino al 1894, è stato definitivamente chiuso da mons. Giovanni Pulvirenti nel 1914, per mancanza di frati, ma in precedenza aveva seguito da vicino l’evolversi dell’epopea del brigantaggio, della crisi vocazionale e del disimpegno etico-religioso dei frati, e anche della lotta del filoborbone Vescovo Gennaro Maria Acciardi contro l’annessione al Regno d’Italia. Proprio tale vescovo, si dice, abbia fatto eseguire interventi conservativi sul campanile, preservandolo da rischi, così come lo si può ammirare ancora oggi. L’ingresso della chiesa è stato adibito a cappella gentilizia della nobile famiglia dei Latronico, ma è notorio che sia stato per secoli una sede culturale di primaria grandezza per gli studi di filosofia e teologia e per la formazione di allievi, novizi e studenti. La rinomata biblioteca fu bruciata dai francesi nei primi decenni dell’Ottocento, avendo occupato il presidio monastico dal 1807 al 1818. Il prevosto della chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana, mons. don Salvatore Tarsia, con ammirevole testardaggine ha continuato a celebrarvi saltuarie funzioni religiose per la festa di Sant’Antonio fino agli anni Sessanta del Novecento. Dopo decenni di colpevole abbandono totale, l’ex convento è da anni in fase di lenti, quanto saltuari lavori di consolidamento in sicurezza e di recupero strutturale. Del 1991 è la dichiarazione ministeriale di “interesse nazionale”. Salvatore Verde
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