Un pozzo di acqua salata, vicino al Pescogosso, nella locale storia della medicina tradizionale
"U puzz' d'acqua saprìte", letteralmente "il pozzo d'acqua
salata", è un luogo tursitano insediato nell'immaginario potente della storia
della medicina tradizionale, per la stranezza del sito e la (presunta)
efficacia medica preventiva e curativa nel corso dei secoli.
Tuttora in discreto
stato di conservazione, l'antichissima struttura in pietra si colloca proprio a
ridosso dell'alveo destro del torrente Pescogrosso, nell'attuale Pineta, a un
paio di chilometri dalla periferia nord dell'abitato, di fronte il Santissimo,
uno noto sito archeologico tutto da indagare. In compagnia di Salvatore Di
Gregorio, fotografo ed esperto come pochi del vasto territorio di Tursi, e con
mio figlio Leandro D., anch'egli giornalista (si consiglia di avventurarsi
sempre in compagnia), notiamo che la costruzione perfettamente cilindrica è
alta quasi tre metri e profonda altrettanto, incastonata nel terreno
misto-argilloso. La fonte sorgiva ha avuto nel tempo una sua indubitabile
frequentazione terapeutica, per uomini e animali domestici, durata fino alla
metà del XX secolo.
Sovrastata da una collina rossastra di origine ferrosa e
circondata (oggi) da cespugli, l'acqua salmastra non fuoriesce dal sito
naturale, mentre il sottostante torrente da un trentennio ha perso il suo
rigagnolo, invece prima attivo perfino nei caldissimi mesi estivi. I medici consigliavano
ai pazienti con diversi problemi di salute, non esclusi i bambini, di bere quell'acqua
naturale, di accreditato effetto. La posologia variava da un cucchiaio a un
litro (per asini, muli e cavalli), tanto che qualcuno assai ingegnoso la
vendeva imbottigliata nel paese ancora tra le due guerre del Novecento.
Di
sicuro valeva per i problemi digestivi o come lassativo, ma si dice pure di un
suo (incerto) utilizzo per svariati disturbi: dalle vie respiratorie alle
malattie della pelle, ferite, punture di
insetti, herpes; dai gargarismi per denti e gengive al sollievo, con impacchi
caldi, nei disturbi del fegato e dei crampi allo stomaco o all'intestino; altri addirittura facevano il
bagno nell'acqua salata, magari dopo una scampagnata.
Poi d'improvviso il
definitivo e apparentemente inspiegabile rigetto, legato invece al ritrovamento
verso il 1955 dei chiari resti di un feto o di un neonato abbandonato, si
racconta proprio dentro il pozzo. Da lì il totale rifiuto di frequentare un
luogo ormai ferito dalla tragicità del destino o, più probabilmente, dalla
fragilità e disperazione umana. Ma forse, con ragionevolezza, a farlo ritenere
ormai inutile, è stata la logica conseguenza delle migliorate condizioni di
vita, con i progressi scientifici della medicina.
Salvatore
Verde
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